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Bitcoin e anonimato: realtà o cattiva reputazione?

Di Davide Grammatica

L’uso di Bitcoin è considerato ancora da molti come un mezzo di pagamento anonimo e non rintracciabile. Tuttavia, rivela più informazioni di quanto si pensi

Bitcoin e il suo velo di Maya

Le criptovalute, e in generale Bitcoin, hanno la reputazione di essere una forma di pagamento anonima, senza possibilità di tracciamento né di interferenza. E questo pensiero si aggira ancora nella mente di molti, nonostante ormai siano all’ordine del giorno episodi che dimostrano il contrario.

Se si guardasse più da vicino il funzionamento di Bitcoin, infatti, si scoprirebbe che non funziona esattamente così, e che le transazioni su blockchain rivelano molte più informazioni di quanto si possa pensare.

Origini di un malinteso

Alla base di questo pregiudizio c’è con grande probabilità un malinteso di fondo, che consiste nella mala interpretazione della parola stessa. “Anonimo” deriva dal greco “anonymu(m)” (ανώνυμος), e significa, letteralmente, “senza nome”. Ciò sta a intendere che, a qualcosa di realmente “anonimo”, non si possa associare non solo un “nome” in senso proprio (es. Mario Rossi) ma nemmeno un qualsiasi riferimento comune volto a definirlo in qualche modo, identificandolo.

Dall’altra parte c’è Bitcoin che, per essere utilizzato, necessita di un portafoglio virtuale dove possa essere archiviato. Questo portafoglio crypto, per sua natura, si nasconde dietro a un codice, e solo questo particolare potrebbe bastare a far cadere tutto il castello di carta della narrazione ambigua sull’anonimato di Bitcoin.

Tuttavia, andando un po’ incontro alle dicerie, si potrebbe dire che “anonimato” non sia perfettamente adattabile a BTC, ma che questo conservi comunque degli aspetti che ben si legano con l’impossibilità di essere tracciato. L’indirizzo di un wallet, in questo senso, sarebbe da intendersi come uno “pseudonimo”, tramite il quale non sarebbe possibile, allo stesso modo, risalire al proprietario, data la sua natura codificata.

La blockchain e l’anonimato

Per togliere ogni dubbio bisogna quindi andare a guardare alle fondamenta di tutto l’ecosistema di Bitcoin, ovvero alla blockchain. A prescindere da come funzioni (spiegato molto bene qui, se si volesse approfondire), basti sapere in questo momento che la blockchain è una sorta di grande registro di tutte le transazioni eseguite a partire dalla sua nascita. Nel caso di Bitcoin, di quando è nato, quando è stato utilizzato, e da chi.

Questo registro è pubblico, ed è consultabile da tutti in qualsiasi momento. In altre parole, chiunque può vedere e verificare quando e dove un determinato wallet è stato utilizzato per eseguire una transazione. Sebbene il soggetto che ha effettivamente eseguito un’operazione con Bitcoin si nasconda dietro il codice identificativo del wallet, quindi, la sua attività è perfettamente rintracciabile, senza possibilità di essere depistati.

Un’operazione del genere, se applicata ad un individuo, sembrerebbe implicare che si conosca l’indirizzo del wallet di sua proprietà. Ma non è affatto una condizione necessaria, e può essere più semplice di quanto si possa pensare riuscire a risalire a una persona che si nasconde dietro a un indirizzo, partendo anche solo da pochi elementi.

Mettiamo per esempio che l’amico di una vita Daniele abbia comprato una Tesla in BTC: si potrebbe verificare sulla blockchain quali indirizzi Bitcoin abbiano effettuato delle transazioni a favore di Tesla, scremandoli successivamente in base al lasso di tempo in cui è verosimile sia stato effettuato il pagamento. Se non bastasse, si potrebbero incrociare i portafogli con una seconda attività svolta da Daniele, come il pagamento di un abbonamento a una piattaforma streaming, e a quel punto il gioco è fatto.

Il ruolo degli exchange

Se è dato per assodato il fatto che qualsiasi pagamento in BTC possa essere perfettamente rintracciabile, il discorso cambia leggermente se a tema c’è il suo acquisto. Il risultato, tuttavia, rimane lo stesso.

Il modo più semplice per acquistare BTC, al giorno d’oggi, è farlo tramite un exchange centralizzato, ovvero il mezzo che consente lo scambio di una valuta FIAT con una criptovaluta. Ogni CEX, nella grande maggioranza dei casi, richiede una verifica dell’identità per consentire che venga effettuato uno scambio. Può essere la carta d’identità, il passaporto o una patente di guida, fatto sta che, proprio come una banca tradizionale, un CEX ha bisogno di conoscere l’identità di chiunque usufruisca dei suoi servizi, e per questo ha implementati i protocolli KYC (know-your-customer).

Anche in questo caso i registri sono pubblici, e le autorità di stato, per esempio, potrebbero benissimo consultarli per verificare che non siano state effettuate transazioni sospette, come nel caso di tentativi di riciclaggio di denaro.

Il prezzo dell’anonimato

Detto ciò, non si vuole nemmeno nascondere il fatto che, effettivamente, dei modi per conservare il proprio anonimato ci siano. Il problema, non poco rilevante, è che sono metodi complicati o, semplicemente, costosi. Si potrebbe per esempio sfruttare un protocollo speciale, oppure pagare qualcuno che effettui l’acquisto come sostituto, come una vittima sacrificale al KYC. E con le origini delle transazioni coperte, potrebbero in effetti essere sufficienti pochi passaggi per far perdere le proprie tracce.

O ancora, un’altra soluzione potrebbe essere quella di procurarsi Bitcoin tramite il mining. Questa pratica, alla base della sopravvivenza di Bitcoin stesso, potrebbe però non essere troppo redditizia (o potrebbe non valerne la pena), sia per le risorse non indifferenti necessarie per partecipare, sia per il suo rilevante consumo di energia (che varia a seconda del luogo in cui si decide di “minare”)

Un’ultima pratica per riuscire a evitare una procedura di KYC è l’utilizzo di un ATM Bitcoin, che implica l’utilizzo dei contanti e il pagamento di una commissione. Ma basti questa constatazione per giudicare quale delle due valute sia quella più trasparente… il contante, in fin dei conti, è e rimarrà molto probabilmente il mezzo di pagamento anonimo per eccellenza.

"Dei modi per conservare il proprio anonimato ci sono. Il problema, non poco rilevante, è che sono metodi complicati o, semplicemente, costosi."

Altri esempi

Infine, non esistendo solo BTC, è giusto ricordare anche altre opzioni di criptovalute che consentono di conservare il proprio anonimato. Il primo caso è Monero (XMR), il più popolare, ma sono molto conosciuti anche i progetti Zcash e Dash. Tutti quanti, in generale, utilizzano una tecnologia per “offuscare” l’indirizzo del portafoglio.

Monero, in particolare, sfruttando una blockchain privata, riesce a garantire l’anonimato degli utenti che sfruttano il token, combinando la struttura con l’uso di indirizzi nascosti, ovvero dei wallet usa e getta che fungono da proxy per il proprio portafoglio effettivo. E il livello di privacy raggiungibile permette addirittura di nascondere l’importo della transazione.

Un ulteriore esempio, che vale la pena riportare, è invece Tornado Cash, che permette di ottenere la possibilità di effettuare una transazione in forma anonima tramite un sistema a doppio portafoglio, per interrompere la catena delle transazioni tra indirizzo d’origine e di destinazione.

Il caso Ucraina

Il recente conflitto tra Ucraina e Russia ha invece permesso di analizzare il tema dell’anonimato sotto un ulteriore punto di vista, che lo inquadra come elemento cruciale per i prossimi sviluppi del mondo crypto.

In primo luogo, la raccolta fondi, che ad oggi ha portato a raccogliere più di 50 milioni di dollari, si è svolta grazie alla tecnologia delle blockchain pubbliche, la cui trasparenza ha aiutato anche a far sì che si creasse un circolo virtuoso nelle donazioni.

E il tema dell’anonimato si è inserito nella discussione in rapporto a due dinamiche principali. Da un lato, donatori anonimi che hanno potuto conservare la propria identità non avendo problemi ad effettuare una donazione in modo trasparente e tracciabile. In secondo luogo, l’intreccio inevitabile del tema con tutto il sistema di regolamentazione del settore, anche in virtù di ciò che potrebbe comportare l’utilizzo delle criptovalute in certe circostanze. Una su tutte, il tentativo di eludere le sanzioni dell’Occidente da parte degli oligarchi russi.


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