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Cina e materie prime: la strategia del Dragone

Di Gabriele Brambilla

La strategia del Dragone è complessa e le consente di avere il controllo delle filiere produttive. Approfondiamo il tema Cina e materie prime

Cina e materie prime: la strategia del Dragone

L'importanza delle materie prime per la Cina

La Cina è diventata in pochi decenni il principale consumatore mondiale di materie prime.

Non si tratta solo di numeri legati alle esportazioni: è la logica stessa del modello di sviluppo cinese (urbanizzazione, industrializzazione pesante, infrastrutture e, oggi, transizione energetica) a rendere il controllo delle risorse una priorità strategica.

Per Pechino, assicurarsi forniture stabili significa garantire la crescita economica, la coesione sociale e la capacità di competere su scala globale. Per questo motivo, la politica estera cinese integra sempre più aspetti commerciali, finanziari e infrastrutturali finalizzati all’accesso alle materie prime.

Leggi di più: le materie prime

Fame di risorse e strategia

Negli anni 2000, la crescita cinese ha trainato la domanda mondiale di materie prime come acciaio, rame, carbone e petrolio. Più recentemente si sono aggiunti minerali critici per la transizione energetica, tra cui litio, cobalto e nichel.

La strategia di Pechino non è mai stata soltanto “comprare materie prime”, ma mirava a un progessivo controllo della catena del valore. Questo significa non limitarsi a importare, ma investire in giacimenti, impianti di raffinazione, infrastrutture logistiche e aziende di trasformazione, in modo da catturare valore lungo tutta la filiera.

In aggiunta a ciò, il Paese ha lavorato parecchio anche sulla produzione interna, complici le abbondanti risorse offerte dal territorio.

La Belt and Road Initiative (BRI) è uno dei veicoli principali di questa politica. Porti, ferrovie, terminale logistici e reti energetiche costruite o finanziate dalla Cina facilitano i flussi di materie prime verso i mercati cinesi. In Africa e in Asia Centrale, accordi infrastrutturali sono spesso accompagnati da concessioni minerarie o contratti di fornitura a lungo termine. Il modello è pragmatico: offrire sviluppo e connettività in cambio di accesso preferenziale alle risorse.

Tra gli esempi possiamo menzionare il porto di Gwadar (Pakistan) e le infrastrutture realizzate in Africa orientale o nel Corno d’Africa. Questi nascono come piattaforme logistiche che rendono più agevole il transito di commodity verso la Cina.

Non dimentichiamoci poi del potere che il Dragone riesce a esercitare con queste operazioni. La Cina guadagna così terreno e si pone sempre più come superpotenza globale, in diretta competizione con gli Stati Uniti.

Fame di risorse e strategia

Terre rare: il punto di forza cinese

Tra tutte le risorse strategiche, le terre rare occupano un ruolo centrale.

In breve (troverai poi un articolo per approfondire), si tratta di alcuni elementi chimici essenziali per la produzione di magneti permanenti, semiconduttori, turbine eoliche, motori elettrici e componenti militari. Come si intuisce facilmente, sono elementi indispensabili per svariate produzioni dei nostri tempi.

La Cina, oltre a possedere importanti giacimenti, ha costruito una posizione dominante nella lavorazione e raffinazione di questi materiali. Molti Paesi devono importare prodotti raffinati, non solo minerale grezzo, in quanto privi delle infrastrutture dedicate alla lavorazione.

Questo rapporto di forza crea un potere strategico significativo: controllare la raffinazione significa avere leva commerciale e geopolitica su produzioni essenziali per l’industria high-tech globale. Le reazioni occidentali derivano proprio da questa dipendenza.

L’Europa, ma anche gli Stati Uniti, sono stati decisamente miopi e hanno sottovalutato il ruolo che le terre rare avrebbero avuto. Ora si prova a colmare il gap, ma ci vorranno anni e anni; nel frattempo, la Cina si gode la posizione privilegiata che si è costruita nel tempo.

Approfondisci: cosa sono le terre rare

Qui energia: dal petrolio alle batterie

Nel settore energetico, la Cina è il più grande importatore netto di petrolio al mondo. Pechino ha sviluppato relazioni strategiche con molti Paesi produttori e investe in infrastrutture che riducano la vulnerabilità dei suoi approvvigionamenti.

Tuttavia, la transizione verso veicoli elettrici e sistemi di accumulo ha spostato l’attenzione verso risorse critiche per le batterie, in primis il litio, il cobalto e il nichel. In poche parole, il “nuovo petrolio” per la Cina sono i materiali necessari per la mobilità elettrica e lo stoccaggio energetico.

Da qui nasce l’esigenza di tessere nuove tele commerciali con Paesi dome Cile, Argentina e Bolivia, che compongono il “triangolo del litio” sudamericano. Le aziende cinesi stanno partecipando a progetti di estrazione e stabiliscono partnership con operatori locali.

Anche in Africa c’è attività. Il Congo è ricco di cobalto e molte società provenienti dalla Cina hanno investito in miniere o accordi di fornitura, integrandole nelle catene delle batterie.

Infine, non dimentichiamoci della Russia, con cui la Cina ha stilato accordi strategici per forniture energetiche e progetti congiunti, inclusi swap energetici e partecipazioni in giacimenti.

"La Cina ha creato una fitta rete di accordi per ottenere tutte le risorse di cui necessita"

Africa e America Latina: nuovi fronti strategici

La presenza cinese in Africa è ormai strutturale con investimenti in miniere, concessioni per estrazione, costruzioni di infrastrutture portuali e stradali. Il modello “infrastrutture per risorse” ha portato a risultati concreti, ma solleva anche questioni di governance, indebitamento e sostenibilità ambientale.

In America Latina, la Cina si è fatta avanti per garantire l’accesso a rame, litio e petrolio. Il gigante cinese tende a preferire accordi a lungo termine, joint venture o investimenti industriali che comprendono non solo l’estrazione ma anche la trasformazione e la logistica. Anche in questo caso, si sollevano le stesse problematiche: la fame di risorse genera effetti collaterali che colpiscono l’ambiente e le popolazioni locali.

Comunque, possedere risorse è solo una parte della strategia. La raffinazione, la logistica e la capacità di trasformare la materia prima in componenti ad alto valore aggiunto sono il vero vantaggio competitivo. La Cina ha investito pesantemente per controllare porti, flotte e aziende di trasformazione. Questo significa che, in caso di tensioni, può esercitare una pressione non solo sui prezzi, ma sui tempi e sulla disponibilità reale delle forniture.

Rischi, contromisure e mercati

La strategia del Dragone non è priva di punti deboli. Tra i principali rischi troviamo:

  • Dipendenza da rotte marittime critiche, come lo Stretto di Malacca: una vulnerabilità strategica che Pechino cerca di mitigare con rotte alternative e accordi terrestri. Tuttavia, le complessità restano.
  • Concentrazione della filiera di raffinazione: la dipendenza della Cina dalla lavorazione interna delle terre rare la espone a rischi di ritorsioni politiche o a problemi ambientali che possano ridurre la produzione.
  • Rischi geopolitici: tensioni con gli USA, sanzioni o politiche di decoupling tecnologico possono alterare l’accesso a tecnologie avanzate e a mercati chiave. Un esempio lampante sono stati gli scambi di dazi e il blocco dell’export tra i due giganti.
  • Resistenza locale e sostenibilità: i progetti di investimento possono incontrare opposizione locale per questioni ambientali o sociali, complicando operazioni e tempi di ritorno degli investimenti.

Quanto alle contromisure, molte economie occidentali e paesi partner stanno cercando di ridurre la dipendenza.

Le strategie sono differenti e includono, ad esempio, lo sviluppo di capacità domestiche di estrazione e raffinazione (ove possibile). Chiaramente, ciò richiede tempo, ossia anni di lavoro; i risultati non possono quindi essere immediati.

Per quanto possibile, si cerca anche di diversificare sia le rotte che i fornitori. Difficile in un contesto dominato dalla Cina, soprattutto per quanto riguarda le forniture di certi materiali, ma qualche alternativa è possibile trovarla

In aggiunta, si possono siglare accordi multilaterali che garantiscano accesso alle risorse critiche.

Infine, troviamo gli investimenti nella ricerca per ridurre l’uso di materiali critici o per riciclare materie prime. È il caso dell’Unione Europea (ma anche degli States), che puntano a sostenere la produzione locale di semiconduttori, batterie e materiali critici.

In Europa, il riciclo avrà un ruolo chiave nel futuro, unito alla creazione di riserve strategiche condivise di materie prime e terre rare.

Dando uno sguardo ai mercati, la domanda cinese è un volano per i prezzi delle commodity. Quando Pechino accelera gli investimenti pubblici o stimola l’industria, i prezzi di rame, ferro, litio e altri materiali salgono rapidamente. Questo crea opportunità per i Paesi esportatori e per gli investitori in materie prime, ma anche volatilità legata a decisioni politiche o a shock geopolitici.

Per gli investitori è fondamentale monitorare diversi fattori tra cui:

  • Le politiche industriali cinesi e i segnali di domanda strutturale.
  • Gli investimenti e gli accordi bilaterali nei Paesi produttori.
  • Le evoluzioni tecnologiche che possano ridurre la domanda di una specifica risorsa.
  • Le tendenze nelle capacità di raffinazione e processing a livello globale.

"Dai rischi alle contromisure straniere, la strategia cinese è un tema molto complesso"

In conclusione

La strategia cinese sulle materie prime è un disegno coerente: non si limita a comprare, ma punta a controllare catene del valore, infrastrutture e capacità di trasformazione.

Questo approccio dà a Pechino leve economiche e geopolitiche che vanno oltre la semplice importazione.

La risposta internazionale non sarà né rapida né semplice: richiede investimenti, coordinamento e tempo. Nel frattempo, capire come la Cina muove i suoi pezzi sullo scacchiere delle materie prime è una chiave essenziale per interpretare i mercati globali dei prossimi decenni.


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