Strategy sarà il nuovo “cigno nero” crypto? Cosa c’è da sapere

Di Davide Grammatica

Il piano di Michael Saylor: tutto quello che c’è da sapere su Strategy. Potrebbe veramente essere il nuovo “cigno nero” crypto?

Strategy sarà il nuovo “cigno nero” crypto? Cosa c’è da sapere

Il piano geniale (e folle) di Strategy

Michael Saylor lo conosciamo tutti. È il presidente di Strategy (ex Microstrategy), maggior detentore aziendale di Bitcoin e per questo azienda famosa in tutto il mondo. Ma questo aspetto non è il solo elemento che contraddistingue questa realtà.

A interessare gli investitori è infatti la politica singolare della società, che continua ad emettere debito per comprare sempre più Bitcoin (nell’ordine dei miliardi di dollari, ogni mese).

Sapere il perché di questo atteggiamento è fondamentale per capire il ruolo di Strategy nel mondo crypto, e quale sia il peso specifico di questo attore del mercato nel bene e nel male. Le implicazioni di questo processo, infatti, potrebbero essere più grandi di quanto ci si potrebbe aspettare.

Per qualcuno, in questo ciclo di mercato dalle note ribassiste, Strategy potrebbe correre il rischio di diventare il nuovo “cigno nero” per l’industria crypto. Per questo, proviamo a delineare quali potrebbero essere gli scenari innescati dall’attività di questa azienda, nel bene e nel male.

Che cos’è Strategy?

La community crypto ha imparato a conoscere Michael Saylor come uno dei principali “sponsor” di Bitcoin, in termini anche divulgativi. Da tempo si muove per promuovere l’adozione crypto attraverso canali aziendali e politici, ed è stato a conti fatti uno dei primi nel farlo negli Usa.

Strategy è un’azienda che, di per sé, si occupa di business intelligence, pur essendo conosciuta prevalentemente per le sue partecipazioni in Bitcoin.

Il suo core business, del resto, è proprio BTC. O, più nello specifico, emettere debito per acquistarlo. Il primo acquisto della prima criptovaluta è datato 11 agosto 2020, e da lì il “pac” non è mai stato interrotto.

L’emissione del debito avviene in uno specifico “formato”, ovvero nel “convertible bond”. Ed è motivata da un’ipotesi molto semplice: “There is no second best”. In altre parole, niente e meglio di Bitcoin, e mai nulla lo sarà.

Come in una partita di poker, Strategy fa “all-in”, con l’obiettivo di diventare in futuro una “Bitcoin Bank”. Non una banca tradizionale, che emette prestiti, ma una che emette debito, per acquistare sempre più BTC. La scommessa è quindi che Bitcoin possa performare meglio della valuta fiat (e interessi) presa in prestito.

L’operazione stessa comporta un APY (sui generis) su Bitcoin. Per Saylor, i BTC acquistati con i soldi altrui generano una rendita, guadagnando rispetto al suo prezzo medio di carico. E proprio rispetto a ciò si basa il valore delle azioni dell’azienda.

La questione dell’emissione del debito

Lo strumento utilizzato per la maggiore da Saylor per emettere debito è il “bond convertibile”, ovvero un’obbligazione a tasso quasi 0. Si tratta di un titolo di debito, che permette di raccogliere una cifra x emettendo delle cedole per farsi finanziare acquistando obbligazioni. Alla scadenza di queste obbligazioni si restituisce l’importo a un tasso di interesse definito, ma la clausola di convertibilità permette di riottenere il capitale a determinate condizioni.

Se a scadenza del titolo, infatti, il prezzo delle azioni di Strategy è superiore a un parametro definito all’emissione (“conversion price”), il creditore riceve un pagamento in azioni. Il vantaggio è per il creditore, ma anche per Strategy. Paradossalmente, è proprio questa convertibilità (e quindi le azioni di Strategy) ad attirare gli investitori, visto che i tassi di interesse offerti sono molto bassi.

I nuovi round di emissioni sono annunciati di volta in volta, per un’operazione che potrebbe definirsi a tutti gli effetti “in leva”, con un debito utilizzato per comprare BTC.

Ultimamente, poi, il processo è stato ulteriormente complicato. Nell’ultimo round di emissione del debito (il 10 marzo, per 21 milioni di dollari), Strategy ha introdotto una seconda categoria di azioni (STRK) oltre alle classiche MSTR. Questa è definita azione “preferred”, con privilegi maggiori rispetto a quelle comuni, e con un dividendo perpetuo dell’8%.

In più, i possessori di STRK avranno una precedenza sugli altri in caso di liquidazione dell’azienda, venendo rimborsati con $100 per azione.

Perché Strategy ha successo?

Cosa spinge gli investitori a gettarsi in questi round di emissione? Del resto, un’operatività in leva su Bitcoin comporta dei rischi non da poco.

Dal punto di vista del creditore, un primo vantaggio è l’ottenimento di un’esposizione alla prima criptovaluta senza averne possesso diretto. Questo non riguarda, per ovvie ragioni, i retail, ma può attirare molti fondi o diverse realtà finanziarie, che ancora guardano con sospetto gli ETF spot.

Mettendo da parte un attimo i rischi di fallimento della società, inoltre, l’investitore si assume rischi molto bassi. Lo scenario peggiore è che, con il mancato raggiungimento del “conversion price”, il creditore rivede tutto il suo capitale indietro a un piccolo interesse. Lo scenario migliore, invece, consiste nell’ottenere delle azioni che già di per sé varranno più della cifra data in prestito.

NB: anche in caso di bancarotta, ad ogni modo, gli obbligazionisti avrebbero un vantaggio considerevole in tema di rimborsi, davanti agli azionisti.

Da un altro punto di vista, tutta l’operazione potrebbe essere assimilabile all’acquisto di un’opzione su BTC, ma senza pagare un premio.

I vari scenari

In base all’andamento del prezzo di Bitcoin, le implicazioni per Strategy potrebbero essere molte. Determinare il prezzo di BTC per il quale la strategia di Saylor potrebbe venire compromessa, inoltre, non è banale.

Si può prendere in considerazione il prezzo medio di carico. Sotto questo, l’azienda finirebbe per avere una perdita non realizzata, ma finché ci sono perdite limitate l’azienda potrebbe ancora sopravvivere.

Ripagare il debito, tuttavia, potrebbe spingere Strategy a vendere le sue partecipazioni in Bitcoin, e proprio questo scenario potrebbe innescare le conseguenze peggiori, con la fiducia degli investitori potenzialmente distrutta.

Una variabile fondamentale è quindi la liquidità disponibile, necessaria per evitare il rischio di vendita degli asset, ovvero BTC.

Il worst case scenario

Determinare i criteri precisi per i quali Strategy sarebbe costretta a vendere i propri BTC è pressoché impossibile. Bisognerebbe determinare l’ammontare del debito, il giorno di inizio del finanziamento del debito, il giorno di scadenza, il prezzo di carico di BTC e la liquidità di cassa in quel determinato momento.

Un bear market potrebbe essere controllato a dovere dalla società senza che questa sia costretta a scelte critiche. Ma non un crollo del mercato oltre un certo punto.

Se BTC scendesse tanto da rendere il controvalore degli asset di Strategy minore del debito che deve ripagare, allora per la società sarebbe la fine, e parleremmo di bancarotta.

L’effetto su BTC potrebbe essere devastante. Le aziende che hanno investito fino ad oggi nella prima criptovaluta potrebbero tirarsi indietro, e nuove regolamentazioni avrebbero la scusa perfetta per essere redatte.

Potrebbe essere uno storico “buy the dip”, ma ritornare agli ATH successivamente potrebbe richiedere parecchio tempo.

Le preoccupazioni attuali

Il movimento ribassista di BTC in questi giorni ha già messo in allerta gli investitori, e si è già notato quanto Strategy sia suscettibile agli umori di BTC. Dopo un calo del 5,57% venerdì 7 marzo, MSTR ha sofferto molto la difficoltà di BTC con un -11% in poche ore la scorsa settimana.

Il prezzo di acquisto medio di Bitcoin da parte di Strategy è stimato essere, secondo BiTBOintorno ai $62.500, mentre per Lookonchain si salirebbe ai $66.400. In altre parole, la società avrebbe ancora un bel margine prima di finire in una situazione di perdita non realizzata, ma comunque non sufficiente per lasciare gli investitori tranquilli.

La performance di Bitcoin, a sua volta, non è supportata dal mercato azionario, anch’esso messo in difficoltà dalle problematiche derivate dalla nuova politica commerciale di Trump (ovvero i nuovi dazi imposti a Messico e Canada). E l’annuncio relativo a una nuova riserva strategica nazionale in Bitcoin non sembra essere riuscito a compensare le insicurezze degli investitori.

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