Tasse e criptovalute: Italia pecora nera a livello globale
Di Davide Grammatica
Nel disegno di legge di bilancio 2025 discusso al Consiglio dei Ministri è stata aumentata l’aliquota sulle plusvalenze da criptovalute al 42%. Una stangata per i crypto-investitori in Italia
Tasse sulle crypto dal 26% a 42%
Un aumento del 61% in un solo anno fiscale. È quello che si desume dal disegno di legge di bilancio 2025 discusso nei giorni scorsi al Consiglio dei Ministri, per un’operazione che ha scosso l’intera community crypto italiana portando l’aliquota sulle plusvalenze dall’attività in criptovalute dal 26% a 42%.
Le implicazioni sono molte, ma a far storcere il naso sembra essere un’idiosincrasia di fondo che mette a fuoco la (si presume) mancanza di cognizione di causa degli addetti ai lavori.
Questo è ciò che emerge dall’annuncio stesso della nuova aliquota, comunicata dal viceministro dell’economia Maurizio Leo in conferenza stampa in attesa che il testo del ddl verrà discusso in Parlamento. Si parte dalla stessa “formula” utilizzata da Leo, che parla di “plusvalenze su Bitcoin” facendo riferimento (verosimilmente) alle cripto-attività in generale, fino alla causa di questo incremento, dovuta, secondo il viceministro, “a un fenomeno che va diffondendosi”.
Nulla di più, nulla di meno, per un trattamento fin da subito giudicato per niente equo dagli interessati, nonché dannoso per lo Stato stesso da molti punti di vista.
Questo focus on è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 18 ottobre 2024. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
Una proposta irrazionale
Le ragioni sono semplici. Ogni altro investimento finanziario è oggi tassato in Italia al 26% (e già questo basterebbe a sottolineare l’irrazionalità della manovra), ma soprattutto rimarrebbero tassati secondo questa aliquota prodotti con sottostante BTC (fondi vari o ETP), con una penalizzazione dei singoli investitori “diretti” nell’asset.
In altre parole, tutto ciò creerebbe una distorsione nel mercato con scelte di investimento derivate da questa disparità fiscale, in totale contrasto con l’idea di neutralità necessaria a tutelare le decisioni di investimento dei singoli cittadini.
Per non parlare della palese disincentivazione nei confronti di nuovi utenti o nuove società ad avvicinarsi all’industria crypto, un settore tra i più in crescita a livello globale e potenzialmente foriero di innovazione e nuovi posti di lavoro nel Paese.
Per le società già esistenti, invece, ciò causerà un pesante calo delle attività e del fatturato. Piattaforme di compravendita potrebbero vedere volumi di scambio in diminuzione, e i servizi di custodia potrebbero perdere utenti.
L’obiettivo del disegno di legge
Viene da chiedersi, dopo alcuni giorni passati a elaborare la questione a mente fredda, quale potrebbe essere la strategia del governo dietro a questa manovra fiscale. Il pensiero va subito a un tentativo di “far quadrare i conti” in un momento storico in cui le spese sono molte: la manovra, presa nel suo complesso, pesa ben 30 miliardi: 21 coperti da spese minori e maggiori entrate e 9 di deficit.
Tra diminuzione del cuneo fiscale, pensioni lasciate sostanzialmente inalterate e nuovi fondi per la sanità (anche se su questo ci sarebbe molto di cui discutere) i soldi andavano recuperati da qualche parte. Con buona pace del mantra governativo del “non aumenteremo le tasse”.
Della questione si era già dibattuto nelle scorse settimane, e la soluzione si pensava potesse derivare da un nuovo gettito fiscale derivato da banche e assicurazioni tramite una nuova tassa sugli “extraprofitti”. Si è scoperto però che questo (che avrebbe dovuto coprire, per esempio, le nuove spese sulla sanità) sarà recuperato tramite una “ripresentazione in altra forma” del tributo. Anzi, nemmeno un tributo (o imposta, come lo si voglia chiamare), come sottolinea Francesco Renne sul Sole24Ore, ma un “rinvio” della detrazione di alcune voci di bilancio che genererebbero un effetto di “cassa” pari a poco meno di 3,5 miliardi di euro.
Insomma, un trucco per far quadrare il bilancio, e nemmeno fino in fondo. Potevano aiutare nuove accise e riforma del catasto (tanto discussa in Ue), ma sono argomenti rimasti entrambi fuori dalla Legge di Bilancio.
Il mondo crypto rimane l’unico settore a subire un esplicito aumento della tassazione. In maniera estemporanea (giusto lo scorso anno era stata introdotta la normativa) e soprattutto in un contesto logico-giuridico non semplice. Come accennavamo, ogni altro provento finanziario è tassato al 26%, e non si capisce perché questo dovrebbe cambiare solo per una classe di asset.
Evidentemente, questa è anche la prova di quanto le casse dell’erario siano in difficoltà.
Facendo due conti, inoltre, riesce difficile immaginare che il nuovo gettito proveniente dalla nuova aliquota sulle crypto possa aiutare particolarmente. Guardando all’OAM, gli italiani deterrebbero oggi circa 2,2 miliardi di euro in asset digitali. E anche se tutti quanti vendessero i propri asset alla fine dell’anno con un profit del 100%, questo garantirebbe nuove entrate per €352 milioni (il 16% in più rispetto alle entrate calcolate con la vecchia aliquota). Considerando però che anche questo scenario risulta del tutto inverosimile, non si capisce il vero fine di tutta l’operazione.
"Il mondo crypto rimane l’unico settore a subire un esplicito aumento della tassazione. In maniera estemporanea (giusto lo scorso anno era stata introdotta la normativa) e soprattutto in un contesto logico-giuridico non semplice"
Un incentivo all’evasione
Più volte, in passato, ci siamo occupati su TCG di tassazione in materia crypto. Abbiamo elaborato addirittura un corso sulla nostra piattaforma Learn. Sappiamo bene, quindi, quanto già oggi sia complicato per i contribuenti riuscire a dichiarare e adempiere ai loro obblighi fiscali inerenti le crypto-attività.
L’investitore deve dichiarare singolarmente ogni sua operazione, ed è di fatto impossibile farlo senza l’ausilio di un software. Se già questo elemento ha scoraggiato molti a non dichiarare per nulla le proprie crypto, figuriamoci un aumento della tassazione del 61% in un anno.
Le conseguenze sono facili da immaginare. Gli potrebbero finire per utilizzare piattaforme no-kyc e non dichiarare in numero ancora maggiore. E quelli che pure avevano le migliori intenzioni potrebbero essere indotti a migrare i propri capitali all’estero, modificando la residenza fiscale e provocando, quindi, un gettito fiscale addirittura minore.
Le tasse sulle crypto nel resto del mondo
La nuova aliquota è, di fatto, la più alta al mondo. La tentazione per gli investitori italiani, quindi, non sarà di doversi trasferire dall’altra parte del globo, come le Isole Cayman o in Malesia, ma relativamente vicino, in un qualsiasi stato dell’Ue.
Proviamo a offrire una panoramica. In Germania l’aliquota potrebbe sembrare più alta di quella italiana (45%), ma ci sono pochi semplici criteri da rispettare per ottenere aliquote più basse o addirittura nulle. I profitti realizzati a oltre un anno dall’acquisto, per esempio, sono tassati allo 0%.
In Francia l’aliquota sulle plusvalenze per trader “occasionali” (ovvero chi non lo fa di professione) è del 30%, mentre in Spagna si spinge massimo fino al 28%. In Austria la tassa sulle crypto è del 27,5%, e riguarda diverse operazioni (non solo la vendita, ma la spesa, in certi casi).
Più a nord, in Finlandia, l’aliquota sui gain varia dal 30% al 34%, mentre in Polonia è in vigore una flat-tax del 19%. In UK, fuori dall’Ue ma sempre in zona euro, i profitti sono tassati dal 10% al 20%.
In Svizzera e Slovenia, a un passo dall’Italia, le imposte sulle crypto non le hanno nemmeno. Per evitare di pagare le tasse non servirebbe quindi prendere un aereo e trasferirsi in Bielorussia, a Hong Kong, a Singapore o negli Emirati Arabi Uniti, ma semplicemente spostarsi di qualche chilometro passando per lo Spluga o per la Valle d’Isonzo. Del resto, solo gli Stati Uniti tassano i ovunque risiedano, a meno che rinuncino alla loro cittadinanza.
Senza contare, poi, che i paesi che non impongono alcuna tassa su questi asset lo fanno appositamente per attirare i capitali degli imprenditori, scommettendo sullo sviluppo di una tecnologia emergente e potenzialmente impattante dal punto di vista sociale (a partire dai posti di lavoro creati).
Conclusioni
Oltre che incomprensibile, l’aumento della tassa sui profitti dalle operazioni crypto in Italia rischia di essere addirittura incostituzionale. L’articolo 3 della Costituzione recita che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, e non si capisce perché i detentori di una singola classe di asset debbano essere trattati diversamente da altri investitori che non ci scommettono.
Per ora, quantomeno, la legge non è ancora in vigore. Occorrerà aspettare lunedì prossimo per vedere il testo della legge arrivare in Camera dei Deputati, per delle discussioni che potrebbero protrarsi fino al 31 dicembre 2024, termine ultimo per l’approvazione.
Storicamente, il percorso parlamentare delle leggi di bilancio del passato ha sempre abituato a stravolgimenti improvvisi, per cui rimane un barlume di speranza perché il governo faccia un passo indietro sull’argomento.
Nel mentre segnaliamo una petizione aperta sull’argomento su Change.org, e l’appello del nostro Luca Boiardi al viceministro Leo.
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