Travel Rule, exchange e criptovalute

Di Gabriele Brambilla

La Travel Rule è sulla scena già dagli anni Novanta e oggi si estende anche al mondo crypto. Vediamo di che si tratta.

Travel Rule, exchange e criptovalute

Parliamo di regolamentazioni...

Di tanto in tanto dobbiamo tornare a trattare delle regolamentazioni; oggi daremo spazio alla Travel Rule, scoprendo di che cosa si tratta e come impatta sugli attori del mondo crypto.

Con il passare degli anni, anche il nostro settore ha intrapreso un percorso in cui le istituzioni danno forma a normative dedicate, o applicano regole già esistenti. Di frequente, ciò porta sia degli aspetti positivi che negativi. Da un lato si danno infatti maggiori sicurezze, che contribuiscono ad attrarre nuovi capitali e investitori; dall’altro, si ha a che fare con un contesto più rigido e che si allontana dallo spirito delle criptovalute.

Capiamo che cos’è la Travel Rule e come tocca direttamente la nostra operatività.

Che cos'è la Travel Rule?

La Travel Rule ha origine negli Stati Uniti degli anni Novanta ed è parte delle regolamentazioni antiriciclaggio. Con il passare del tempo, essa si è estesa in tanti altri Paesi al Mondo grazie al FATF, un’entità internazionale dedicata alla lotta al riciclaggio di denaro e terrorismo.

La Travel Rule non è altro che una procedura che gli attori coinvolti nel sistema finanziario devono rispettare. Essa richiede la trasmissione di informazioni relative a chi invia e chi riceve il denaro in una data transazione. In base alle somme in gioco, possono scattare determinati requisiti più stringenti.

Tra le informazioni comunemente condivise rientrano i nomi delle parti, gli indirizzi e i numeri di conto coinvolti nella transazione.

Come dicevamo, la procedura porta con sé aspetti positivi e negativi.

Da un lato è importante contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo. Inoltre, vi è maggior trasparenza in generale, che è sempre un fattore positivo. Però, in contemporanea si riduce significativamente la privacy delle parti. Siamo quindi in un territorio di scontro, che si amplifica ulteriormente quando ci spostiamo sulle criptovalute.

Leggi di più: la tassazione crypto in Italia

Travel Rule crypto ed exchange

Dal 2019, il FATF ha caldamente suggerito di estendere la Travel Rule anche ai provider di servizi legati agli asset virtuali (VASP) come gli exchange di criptovalute, ma non solo. Nella raccomandazione finiscono infatti anche altre piattaforme di gestione e, più in generale, i wallet di tipo custodial.

Applicare la Travel Rule nel mondo delle criptovalute è tutto fuorché banale. Il settore è relativamente giovane e fa parecchio leva su decentralizzazione e anonimato. Valori che reggono la blockchain e a cui gli utenti non vogliono rinunciare.

A oggi, i CASP (Crypto Asset Service Provider, “eredi” dei VASP) devono seguire quanto stabilito da un Regolamento UE del 2023. Qui trovi il comunicato ufficiale.

Se le transazioni sono sotto i 1000 euro, i CASP si limitano a individuare le informazioni obbligatorie e conservarle, così da metterle a disposizione delle autorità in caso di bisogno.

Al di sopra della soglia, le cose si complicano un po’. I CASP devono infatti assicurarsi sull’identità del cliente (da qui la necessità della KYC), nonché richiedere informazioni riguardo il proprietario di un wallet non custodial se coinvolto in una transazione.
Ci spieghiamo meglio: se inviassimo dei bitcoin da Binance al nostro wallet Exodus, dovremmo fornire all’exchange i dati relativi al proprietario di quello specifico address.

Inoltre, se gli scambi avvengono tra i wallet di due exchange, questi si scambieranno reciproche informazioni sui proprietari dei relativi account.

Sono esclusi dalla ratio gli scambi tra persona e persona privi dell’intervento di fornitori e quelli dei fornitori che agiscono per conto personale.

Insomma, per farla molto semplice, la Travel Rule cerca di far luce sull’identità degli utenti, o meglio, sulla provenienza del denaro, ma le sfide sono tante. Il mondo crypto è infatti molto diverso da quello tradizionale e c’è la possibilità di fornire informazioni inesatte o addirittura false. Più semplicemente, talvolta può essere una sfida dare prova del possesso di un dato wallet non custodial, se non firmando un’apposita transazione.

Come abbiamo già detto, la privacy si riduce parecchio, anche se occorre fare una precisazione: anche senza KYC, depositando o prelevando del denaro mediante un exchange si crea un collegamento diretto col mondo tradizionale (una carta di credito, un conto corrente…). Le autorità impiegherebbero davvero poco tempo a ottenere i dati e fare 2+2: l’account dell’exchange XYZ ha interagito con il C/C di Tizio. Anonimato sì, ma difficile nascondersi per chi è nell’illegalità.

Anche a livello operativo si complicano le cose. Gli exchange hanno sempre più cose a cui dover pensare e ciò può rallentare le transazioni o aumentare i costi.

Chiaramente, otterremo anche una miglior lotta ai capitali sporchi e alle attività che ne conseguono. È tutta questione di equilibrio.

Leggi di più: gli exchange di criptovalute


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