Cosa sono i Credit Default Swap (CDS)

Di Gabriele Brambilla

Scopriamo i Credit Default Swap (CDS), dei derivati molto importanti che proteggono dal rischio di insolvenza

Cosa sono i Credit Default Swap (CDS)

Introduzione ai CDS

Nel linguaggio della finanza, pochi strumenti hanno un’aura di complessità e mistero come i Credit Default Swap, noti con la sigla CDS. Nati come un metodo di copertura del rischio di credito, nel tempo sono diventati anche oggetto di speculazione. In alcuni momenti storici, essi hanno avuto addirittura un ruolo chiave in crisi di portata globale.

Ma cosa sono davvero i CDS e perché sono così importanti? Ecco le basi da conoscere.

Che cos’è un Credit Default Swap

Un CDS è un contratto derivato attraverso il quale due parti si scambiano il rischio di insolvenza legato a un titolo di debito, come un’obbligazione o un bond sovrano.

In pratica, l’acquirente del CDS paga un premio periodico a chi lo vende (detto protection seller), in cambio della garanzia che quest’ultimo lo risarcirà nel caso in cui l’emittente del debito non sia in grado di onorare i propri pagamenti.

Possiamo immaginare un Credit Default Swap un po’ come una polizza assicurativa contro il default. Ad esempio, chi possiede un titolo di Stato, temendo che il Paese emittente possa non ripagare il debito, può decidere di “assicurarsi” contro questa eventualità. Se il default si verifica, il venditore del CDS deve compensare le perdite dell’acquirente.

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A cosa servono i CDS

I CDS nascono con una finalità di copertura, cioè per gestire il rischio di credito. Sono strumenti utili per banche, fondi e istituzioni che detengono grandi quantità di obbligazioni e vogliono proteggersi da eventi di insolvenza.

Tuttavia, come spesso accade nei mercati finanziari, il loro utilizzo si è esteso anche alla speculazione. Ora è possibile acquistare CDS anche senza possedere il titolo sottostante, scommettendo sul peggioramento della solidità finanziaria di un emittente.

Questo doppio volto, protezione e speculazione, ha reso i CDS tanto importanti quanto controversi. Quando i mercati percepiscono un aumento del rischio, i prezzi dei CDS salgono e questo diventa un indicatore anticipatore di tensioni finanziarie. Si possono quindi generare movimenti dovuti proprio alla lettura dell’andamento dei Credit Default Swap, anche in casi in cui in realtà non ci sarebbe alcun motivo per cui preoccuparsi.

Leggi di più: cosa sono i derivati

Funzionamento dei Credit Default Swap

Il prezzo di un CDS è espresso in basis point (punti base) e riflette il costo annuale della protezione. Per capirci meglio: un CDS da 150 punti base su un’obbligazione da 10 milioni di dollari significa pagare 150.000 dollari all’anno per coprirsi dal rischio di default. Sembra una somma elevata, ma è davvero come pagare una polizza assicurativa: i big della finanza sborsano “volentieri” queste somme per non assumersi rischi ben peggiori.

Un aumento del prezzo del CDS indica che il mercato ritiene più probabile un default o un peggioramento del merito creditizio dell’emittente. Questo meccanismo permette ai CDS di agire anche come termometro della fiducia: quando il differenziale CDS di un Paese o di una società cresce rapidamente, è un segnale di preoccupazione per la loro solvibilità. Però ripetiamo: a volte i segnali possono generare confusione, creando problemi o amplificando la reazione dei mercati.

Il nome CDS è diventato noto al grande pubblico durante la crisi finanziaria del 2008.

All’epoca, molte banche e istituzioni, tra cui AIG, avevano venduto enormi quantità di CDS legati a titoli garantiti da mutui ipotecari (mortgage-backed securities). Quando quei titoli iniziarono a perdere valore, i venditori di CDS si trovarono esposti a perdite colossali.

Il sistema, che sembrava un modo efficiente per distribuire il rischio, si rivelò invece un meccanismo di contagio che amplificò il crollo dei mercati globali. Esattamente quanto abbiamo scritto poche righe sopra.

Da allora, i CDS sono stati oggetto di maggiore regolamentazione e sono oggi scambiati anche in piattaforme più trasparenti (clearing houses), riducendo parzialmente i rischi sistemici del passato. In ogni caso, restano strumenti da maneggiare con molta cura e non indicati per l’investitore medio; tuttavia, conoscerli è essenziale.

Un altro esempio recente sul potere dei CDS come barometro del rischio è quello di Credit Suisse, la storica banca svizzera travolta da una crisi di fiducia nel marzo 2023.

Nei giorni di maggiore tensione, il CDS quinquennale dell’istituto balzò a oltre 1.000 punti base, segnalando che il mercato riteneva sempre più probabile un default.

Questo aumento vertiginoso innescò un effetto domino: gli investitori iniziarono a vendere le azioni e i bond subordinati della banca, aggravando ulteriormente la crisi di liquidità.

Alla fine, l’intervento d’urgenza di UBS (un’altra banca-colosso del Paese) e delle autorità svizzere evitò il collasso, ma il caso mostrò con chiarezza quanto i CDS possano anticipare e amplificare le turbolenze finanziarie.

In situazioni di forte incertezza, il mercato dei derivati sul credito diventa una sorta di “termometro in tempo reale” della fiducia, capace di segnalare i problemi ben prima che emergano nei bilanci ufficiali.

Oggi: i CDS come indicatore di rischio sovrano

Nel mondo post-crisi, i CDS vengono osservati soprattutto come strumenti di analisi del rischio sovrano. Gli investitori monitorano con attenzione i CDS di Paesi come l’Italia, la Grecia o la Turchia per valutare quanto il mercato ritenga probabile un eventuale default.

In questo senso, i CDS non servono solo a proteggersi, ma mostrano l’andamento del sentiment globale. Un modo per capire come la fiducia degli investitori cambia di fronte a tensioni economiche o politiche.


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