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Ethereum di domani: dal Merge alle gas fee

Di Davide Grammatica

Proviamo a capire come funzionerà l’Ethereum del futuro. Dalla svolta del Merge, il più grande aggiornamento della blockchain, fino al Surge, che abbasserà il costo delle gas fee

Ethereum di domani: dal Merge alle gas fee

Il piano di sviluppo

Se ne parla da anni. Quantomeno, in maniera approfondita, dal lancio della Beacon Chain lo scorso dicembre 2020, il primo passaggio per un aggiornamento graduale della rete Ethereum, che intende migliorare la sicurezza e la scalabilità del network attuando delle modifiche all’infrastruttura per nulla banali. Prima tra tutte, il passaggio dal modello di consenso proof-of-work (PoW) a quello proof-of-stake (PoS) durante il “Merge”. 

Il passaggio è d’obbligo. Soprattutto alla luce del fatto che, fin dal principio, Ethereum è stato pensato come piattaforma in grado di supportare applicazioni non necessariamente incentrate sulla finanza, ma che sfruttava le vere potenzialità della decentralizzazione, come nuovi sistemi di governance (DAO), database, o la rappresentazione di risorse fisiche in uno spazio digitale (NFT). 

Tutto ciò è a conti fatti limitato nel suo potenziale dal fatto che la rete dimostra una certa difficoltà nel convalidare più di alcune centinaia di transazioni in un lasso di tempo ragionevole. Per non parlare di come gli utenti, molto spesso, sono costretti a pagare delle commissioni che possono superare il costo delle transazioni stesse. 

Vitalik Buterin, creatore di Ethereum, si è espresso fin da subito in questo senso, non negando la necessità di uno sviluppo necessario alla rete, che sarebbe dovuta passare quindi ad Ethereum 2.0, secondo un piano che ha avuto inizio nel 2020. 

La prima fase: il Merge

Il primo passo nel percorso di sviluppo di Ethereum è stata l’introduzione della Beacon Chain, il 1° dicembre 2020. Questa ha segnato il passaggio al protocollo di consenso proof-of-stake, che consente agli utenti del sistema di diventare dei validatori della rete mettendo in staking i propri ETH. Questo, tuttavia, solamente sulla Beacon Chain, slegata dalla blockchain principale e quindi senza possibilità di influenzarla in alcun modo. Con però l’obbiettivo di integrarle insieme, con la mainnet inserita nel sistema PoS coordinato dalla Beacon Chain.

Obiettivo che, a quanto pare, sta per essere raggiunto. Tim Beiko, uno degli sviluppatori principali di Ethereum, lo ha annunciato per primo lo scorso marzo, in un articolo in cui ha elaborato il tanto atteso “Merge”, che dovrebbe avvenire con tutta probabilità entro il 2022. 

l’Ethereum Foundation ha continuato negli ultimi mesi a testare l’aggiornamento sui fork “shadow” della mainnet, fino alla testnet pubblica Ropsten, che è a conti fatti uno degli ultimi passi prima della migrazione definitiva al meccanismo di consenso PoS.

Ciò implica non poche novità, e su molti fronti. In primo luogo, l’emissione di ETH dovrebbe diminuire del 90%, costringendo così l’asset ad assumere uno stato deflazionistico. Inoltre, nella discussione che ruota intorno al consumo di energia delle reti PoW, Ethereum conquisterebbe una posizione votata alla sostenibilità, abbattendo i consumi di energia fino al 99,9%. La domanda, conseguentemente, dovrebbe incrementare in modo rilevante, non solo per questi elementi, ma anche per i premi derivati dallo staking di ETH, che si dovrebbero aggirare intorno al 10% all’anno.

Altra questione è invece rappresentata dalle gas fee, nei confronti delle quali lo stesso Vitalik Buterin si è espresso in maniera critica, considerandole il vero problema della rete soprattutto a fronte del boom in termini di popolarità dei protocolli DeFi e dell’industria NFT, negli ultimi due anni. Il costo è considerato sistematicamente troppo alto e, sempre secondo Buterin, “dovrebbero aggirarsi intorno ai 0,05 dollari per essere considerate accettabili”. 

E questo, nonostante le soluzioni introdotte dai Layer 2, come per esempio Arbitrum One o Optimism, delle vere e proprie blockchain che si prendono carico del lavoro proprio del Layer 1, delegando ad esso solo gli aspetti di validazione e sicurezza.

Le gas fee

Ma perché le commissioni costano così tanto? Per rispondere alla domanda bisogna prendere l’argomento un po’ più da lontano, partendo dal concetto stesso di “gas fee”.

Il termine indica la quantità di ETH richiesta dalla rete affinché un utente possa interagirci. Mentre la commissione in sé viene utilizzata per compensare i miner di Ethereum, che a loro volta lavorano per verificare una transazione e per fornire un livello di sicurezza adeguato alla rete.

Sono un mezzo efficace per incentivare i miner a continuare a verificare le transazioni e mantenere la sicurezza a livelli ottimali, ma sono anche odiate dagli utenti per quanto possono diventare estremamente costose. 

Per calcolarle, Ethereum utilizza l’unità di misura “wei“, dove un ETH è uguale a un quintilione di wei. Nella pratica, la tariffa è invece rappresentata dal “gwei”, ovvero un miliardo di wei. 

A ogni transazione viene poi richiesta una quantità minima di gas per essere registrata sulla blockchain, e questa quantità è determinata dalla richiesta di “inclusione”, indipendentemente dal tipo di transazione. Poiché le tariffe sono un fattore della domanda, vengono adattate dinamicamente in base al numero di utenti che interagiscono con la rete in un dato momento.

Se ne deduce quindi che il motivo per cui le commissioni fanno registrare costi così alti, è il fatto che a costare tanto sia in primo luogo Ethereum stesso. A causa del principale catalizzatore di questa crescente domanda: l’espansione della finanza decentralizzata e gli NFT, che continuano ad attirare sempre più utenti. L’adozione diffusa, tra l’altro, ha reso le commissioni non solo generalmente più elevate, ma anche il prezzo del gas molto più volatile. 

Prima del Merge e di Ethereum 2.0, quindi, l’unico modo per spendere meno fondi in gas è sfruttare le soluzioni Layer 2, che aumentano la velocità e il numero di transazioni elaborate al secondo. E lo fanno tramite soluzioni off-chain, ovvero gestendo le transazioni separatamente dalla blockchain di Ethereum.

Poiché questo metodo interagisce con la mainnet solo durante la convalida della transazione, i miner di Ethereum hanno bisogno di meno gas per gestire l’interazione, ed è anche questo il motivo per il quale i Layer 2 sono utili per prevenire la congestione della blockchain.

La seconda fase: il Surge

Il Merge doveva essere lanciato a metà del 2021, ma è poi stato posticipato all’inizio del 2022, con gli sviluppatori che hanno citato problemi nel controllo del codice come grande ragione del ritardo nel lavoro. 

Ora l’aggiornamento è stato, come detto, diviso in più fasi, e la denominazione Ethereum 2.0 è caduta in disuso, o quantomeno risulta ormai poco appropriata. Il Merge, come si è sottolineato, consiste nella fase in cui la mainnet si unisce con la Beacon Chain, mentre ciò che avverrà subito dopo sarà l’adozione dell’intera cronologia delle transazioni e il supporto degli smart contract sulla rete PoS. Infine, una volta eliminato il mining dalla rete, entreranno in azione gli staker e i validatori. 

A quel punto sarà introdotto lo sharding, nell’operazione denominata “Surge”. Lo sharding consiste nell’atto di divisione di un database o, in questo caso, della blockchain, in varie chain parallele più piccole note come shard. Ethereum, grazie al Surge, avrà 64 shard, distribuendo il carico del lavoro su 64 nuove chain, e potrà godere della semplificazione dell’esecuzione di un nodo, riducendo drasticamente i requisiti hardware. Validatori e altri utenti potranno poi eseguire i propri shard, convalidando le transazioni e impedendo alla mainnet di subire una congestione eccessiva. 

In questo modo, le gas fee potranno essere finalmente ridotte, portandole ad essere accettabili anche relativamente a piccoli trasferimenti, e portando Ethereum ad essere appetibile per un numero di investitori ancora maggiore. 

Ulteriori sviluppi

Il Merge e il Surge sono sicuramente i due aggiornamenti più importanti per la rete Ethereum, ma non sono gli unici. Nella roadmap di Ethereum ci sono infatti altri tre aggiornamenti, programmati da Buterin ma sfortunatamente anche implementabili non in tempi brevi. Il “Verge” il primo, ed è interamente focalizzato sui nodi validatori, indispensabili per lo staking. 

Il Verge dovrà servire a rendere più semplice l’apertura di un nodo di validazione, e a diminuire, nello stesso tempo, i prerequisiti hardware di cui hanno bisogno i computer per gestire un nodo. 

Purge” dovrebbe invece migliorare l’efficienza della rete, diminuendo la memoria richiesta dai nodi validatori, mentre “Splurge”, infine, dovrebbe in generale migliorare sensibilmente l’utilizzo del network, impiegando per esempio protocolli zero-knowledge.


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