Guerra: come reagiscono i mercati e cosa aspettarci
Di Gabriele Brambilla
Come hanno reagito i mercati dopo l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra tra Israele e Iran? Lo scopriamo in questo focus on

Introduzione al focus on
Gli Stati Uniti si uniscono alla guerra e la situazione in Medio Oriente resta rovente.
Ci troviamo in uno dei periodi storici contemporanei di maggior incertezza e questo nuovo conflitto non aiuta di certo a calmare gli animi. L’insicurezza non è solo sul piano politico e geopolitico, ma anche economico: con tanti problemi a cui pensare, i mercati avrebbero fatto volentieri a meno di aggiungerne un altro alla lista.
A questo punto, cosa potrebbe accadere in futuro? Siamo qui proprio per fare delle valutazioni e far alzare un po’ della nebbia che avvolge le cose.
In questo approfondimento ci concentreremo totalmente sugli aspetti economici del conflitto, dedicando solo qualche riga introduttiva ai fatti degli ultimi giorni. Prenderemo poi in esame la reazione dei mercati subito dopo l’attacco degli Stati Uniti e l’evoluzione nei giorni successivi. Infine, immagineremo alcuni scenari in cui potremmo ritrovarci in un futuro non lontano.
Non è bello vivere nel dubbio e nel caos che la guerra porta, lo capiamo. Analizzare i fatti può aiutarci a stare meglio questi momenti complessi e scaricare un po’ di tensione.
Lo scontro in breve
Diamo per scontato che i fatti siano noti, dato che media e social stanno producendo e condividendo una mole enorme di informazioni e notizie.
Tuttavia, ecco un punto sintetico sugli eventi, scritto senza troppi fronzoli:
- Israele attacca l’Iran. Il casus belli sta nel fatto che la Repubblica Islamica sarebbe vicina a produrre delle proprie testate nucleari (la percentuale di arricchimento dell’uranio ha superato di molto i limiti utili per un programma nucleare a scopo pacificio). L’Iran nega le accuse e contrattacca. Entrambi i Paesi si colpiscono dalla distanza mediante missili e droni.
- Gli Stati Uniti hanno già un ruolo attivo, dedicato esclusivamente alla difesa di Israele. Lo Stato ebraico ha un suo sistema di difesa aerea (chiamato Iron Dome), non sufficiente però a reggere ad attacchi pesanti e ripetuti. Di conseguenza, gli States danno una mano con batterie di terra e navi.
- Nel frattempo, erano già in corso delle discussioni tra USA e Iran, con l’obiettivo di impedire che quest’ultimo sviluppi l’atomica. Gli States hanno però una posizione troppo rigida: l’Iran non è disposto a rinunciare totalmente al suo programma nucleare, facendo sempre riferimento a un utilizzo pacifico.
- Dopo alcuni giorni di scambi di missili, nonché di minacce da parte dell’amministrazione Trump, la diplomazia salta totalmente.
- Gli Stati Uniti attaccano alcuni obiettivi sensibili sul suolo iraniano. Lo fanno mediante i celebri bombardieri B2, equipaggiati con armamenti specifici per penetrare in profondità nel terreno e colpire quelli che sarebbero i siti di sviluppo degli armamenti nucleari.
- Come ritorsione, l’Iran minaccia la chiusura dello Stretto di Hormuz (chiave per il commercio del petrolio) e attacca con dei missili la più grande base americana nell’area, sita in Qatar. La minaccia viene contenuta senza problemi dai sistemi di difesa qatarioti.
- Martedì 24, Trump annuncia un cessate il fuoco che viene battezzato da missili reciproci tra Israele e Iran. Dopodiché, un precario equilibrio sembra reggere.
I fatti sono in divenire e ogni giorno ci sono novità. Stando agli USA, l’azione è terminata e non ce ne saranno altre, ma chi può dirlo? Per adesso è stato effettivamente così.
Di certo, l’amministrazione Trump ha contribuito a far avvicinare l’Iran all’atomica, l’esatto contrario di ciò che si voleva raggiungere. Infatti, anche in caso di cambio di regime, da adesso in poi l’Iran avrà una giustificazione per avere un proprio arsenale nucleare come deterrente, a prescindere dai danni con cui hanno a che fare.
Un’altra certezza geopolitica è la vittoria di Israele e la debolezza americana (politica, non militare). Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, ha fatto ciò che voleva e trascinato gli States in un conflitto che non volevano assolutamente combattere, anche se si tratta di un “semplice” bombardamento. Il tutto in un’area delicata, dove i meccanismi di alleanze e controalleanze sono da tenere d’occhio.
Detto questo, passiamo ai mercati e vediamo come si sono comportati e dove potrebbero andare in futuro.
Fonte immagine attacchi: NPR

La reazione dei mercati
L’attacco americano è avvenuto sabato, quando determinati mercati sono chiusi. Di conseguenza, i partecipanti hanno avuto più tempo per ragionare e vedere che direzione avrebbero preso gli eventi. Ciò ha portato a una reazione moderata, che avrebbe potuto essere diversa in un giorno qualsiasi della settimana.
Diamo uno sguardo all’evoluzione di alcuni asset nel complesso, osservando eventuali variazioni degne di nota.
Partiamo dal petrolio, che sabato ha toccato i massimi da gennaio a oggi (sia Brent che WTI). Il movimento rialzista era però già in atto dai primi attacchi di Israele di quasi due settimane fa e non è imputabile all’offensiva americana.
Dopo la ritorsione iraniana contro la base USA e il raffreddamento degli animi, il prezzo dell’oro nero è sceso, tornando a livelli inferiori rispetto a quelli del 13 giugno, quando sono iniziati gli scambi di missili e droni tra Israele e l’Iran.
Fonte grafico: Investing.com
Resta sempre l’incognita Stretto di Hormuz: in caso di chiusura, il petrolio salirebbe di certo di prezzo. Tuttavia, quest’azione danneggerebbe anche la Repubblica Islamica e sembra sempre meno probabile con il passare dai giorni (ma comunque da non escludere).
Parlando invece dell’oro vero e proprio, il prezzo resta vicino ai massimi, ma lascia per strada qualcosa rispetto a metà giugno. I risparmiatori sono quindi molto prudenti, ma non sentono la necessità di coprirsi ulteriormente. Nessuna reazione duratura dopo l’attacco USA.
Indici USA in rialzo già lunedì. S&P 500, Nasdaq e Dow Jones in positivo di quasi l’1%. Situazione positiva anche nell’ultimo mese.
Fonte grafico: CNBC
Spostandoci in Europa, partiamo da Londra. L’indice FTSE ha leggermente sofferto l’inizio di questo conflitto, passando da 8.900 punti a 8.700 nell’arco di alcuni giorni. Al momento, la valutazione è vicina agli 8.730 punti (giovedì mattina). Insomma, piccole variazioni che non devono impensierirci.
Il CAC40 di Parigi fa un po’ più fatica. Livello attuale di prezzo comunque decisamente superiore rispetto ai minimi dell’ultimo anno (toccati nella prima decade di aprile 2025).
Francoforte e il DAX restano molto vicini ai massimi, mentre Milano è più incerta (seppur sia ai piani alti). Tuttavia, la price action del principale indice di Borsa Italiana non è collegata alla guerra (se non marginalmente) e deriva da dinamiche differenti.
Complessivamente bene le piazze asiatiche, che restano posizionate a livelli elevati.
Ultime, ma non di certo per importanza, le nostre care criptovalute. Essendo dei mercati aperti 24/7, qui possiamo osservare la reazione dopo l’attacco americano di sabato, nonché l’evoluzione complessiva delle ultime settimane.
Il comparto non ha reagito bene alla mossa americana, con tutte le principali realtà a lasciare sul terreno diversi punti percentuali.
Prendiamo in esame bitcoin e vediamo il recente comportamento nel grafico di TradingView.
L’inizio del conflitto ha generato incertezze e perdita di valore, ma si è comunque difeso il livello psicologico dei 100.000 dollari. Il 22 giugno, l’attacco USA ha provocato un provvisorio crollo al di sotto dei 98.500$, quasi totalmente riassorbito in giornata. Il giorno seguente c’è poi stata una bella candela verde a concludere l’attimo di difficoltà dopo l’azione americana.
Comportamento simile per Ethereum e le principali altcoin, che hanno ripreso alla svelta i livelli precedenti senza particolari problemi. L’attacco americano ha avuto un effetto temporalmente limitato.
Se invece osserviamo il trend dell’ultimo mese il discorso cambia: il mercato ha più o meno sofferto l’instabilità e le tensioni internazionali. Dipende però dalla coin in esame e nel complesso stiamo assistendo a un po’ di recupero.
Possiamo dire che i mercati, considerando gli avvenimenti degli ultimi giorni, sono orientati a una risoluzione del conflitto in corso. Se fosse stato diversamente avremmo avuto a che fare con direzionalità ben differenti, ma attenzione a non abbassare la guardia: gli animi sono ancora caldi e può succedere di tutto.
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Cosa possiamo aspettarci?
Non ci resta che chiederci quali potrebbero essere gli scenari futuri. Ne abbiamo presi in esame tre, immaginando cosa potrebbe accadere.
L’escalation prosegue
Si tratta dello scenario peggiore, che vede l’escalation militare riprendere e proseguire, ma non solo. Infatti, potremmo includere in questo scenario la chiusura dello Stretto di Hormuz e le pesanti implicazioni che ciò causerebbe.
Nel momento in cui l’offerta di petrolio andrebbe a ridursi, i prezzi salirebbero di conseguenza. Potremmo ritrovarci in uno scenario di crisi energetica e contrazione dei consumi, con pesanti ripercussioni sull’economia mondiale.
In questo scenario, recessione e inflazione sono pronte a colpire anche chi non ha alcun collegamento con il conflitto. Nel calderone finiscono tutti, compresi noi europei e la Cina, che dall’Iran acquista parecchio greggio.
A prescindere dalla questione Hormuz, se poi proseguissero gli scambi di missili e i bombardamenti, l’instabilità e l’incertezza minerebbero la tranquillità dei mercati. Sappiamo che la maggior parte delle volte le crisi si smaltiscono alla svelta, l’abbiamo visto anche in questo caso; tuttavia, un’escalation andrebbe ad aggiungere benzina sul fuoco, con pesanti implicazioni anche sull’economia.
Situazione invariata
Uno scenario di questo tipo prevede ancora ostilità tra Israele e Iran, senza però novità particolari. La situazione non potrebbe però protrarsi a lungo: nel bene o nel male, un’evoluzione deve esserci e lo stallo può essere pericoloso sia a livello strategico che economico.
I mercati hanno dimostrato di poter sostenere una situazione di tensione ancora per un po’. Chiaramente a tutto c’è un limite: se l’ottimismo degli ultimi giorni non dovesse trovare conferme, è lecito aspettarsi una contrazione che, magari, andrebbe a riassorbirsi ancora.
Non bisogna però stuzzicare troppo gli equilibri: prima o poi i capitali “si stufano” e migrano altrove, causando movimenti ribassisti difficili da contrastare, seppur di magnitudo non estrema.
Raffreddamento e intesa
Eccoci allo scenario che negli ultimi giorni sembra (fortunatamente!) il più probabile.
Iran, Israele e gli Stati Uniti si raffreddano e trovano un terreno comune. La stabilità andrebbe a beneficio dei mercati, rilassando i partecipanti e stimolando gli investimenti. In parte stiamo già vivendo questa fase.
Il vero problema di questa situazione è la durata: se dopo qualche settimana o mese dovessero ricominciare gli scambi di missili, droni e bombe, ci ritroveremmo punto e a capo.
D’altro canto, il Medio Oriente è da sempre una delle regioni più instabili del globo: difficile pensare che le parti possano accordarsi in modo duraturo, ma vogliamo dare spazio all’ottimismo.
La speranza è che la diplomazia possa riprendere con decisione il suo corso. I leader dei Paesi interessati non sono però i migliori con cui avere a che fare e difficilmente vorranno cedere a compromessi. Stiamo a osservare, sperando che questa affermazione venga smentita dai fatti.
Conclusioni
Il conflitto è tutt’altro che risolto, ma qualche segnale positivo è arrivato. I mercati se ne sono accorti e hanno reagito bene, superando agilmente le difficoltà del periodo.
Il futuro resta un’incognita, considerando poi le tante questioni delicate del nostro tempo (Ucraina e i problemi interni negli States su tutte, ma anche Taiwan e altro ancora).
Da investitori dobbiamo restare in massima allerta, mettere in atto le pratiche che consideriamo adatte al momento e preparare le uscite di emergenza. Se poi non dovessimo usarle meglio, ma in caso di “incendio” non ci ritroveremo a correre alla cieca in mezzo al fumo.