Il difficile contesto geopolitico: dall'Ucraina a Israele

Di Gabriele Brambilla

Il contesto geopolitico attuale è tra i più complicati di sempre. Dall'Ucraina all'Africa, da Taiwan a Israele, studiamolo e valutiamo anche alcuni risvolti economici

Il difficile contesto geopolitico: dall'Ucraina a Israele

Introduzione al focus on di oggi

In questo periodo storico, l’umanità si trova davanti a diverse situazioni molto complesse sia da esaminare che da affrontare. Seppur ogni epoca incontri le sue difficoltà, possiamo affermare con certezza che le sfide contemporanee sono tra le più spinose della recente storia.

Dopo una pandemia che ha scosso le economie mondiali e le relazioni sociali, ecco arrivare altri problemi economici, produttivi e di scarsità dei materiali. La situazione sarebbe ancora accettabile, se non fosse che a essa dobbiamo sommare delle tensioni internazionali che non si vedevano da decenni, unite a guerre, scontri e persino possibili genocidi.

Come da titolo del prossimo paragrafo, il mondo è davvero in fiamme e non solo per i cambiamenti climatici: l’ostilità è crescente e la temperatura ha raggiunto livelli roventi.

Le sfide geopolitiche non si risolvono solo sul terreno della battaglia, ma anzi, si diffondono ben oltre. Materie prime e risorse, lavoro e società, territori e posizioni: un Risiko complesso che investe anche chi si trova lontano da bombe e pallottole.

Quanto sta accadendo in Israele è solo l’ultimo capitolo di una triste storia che coinvolge l’intero globo. Un’escalation di incertezza che si alimenta e che cresce sempre più anche nella sua complessità.

Il focus on di oggi mira ad analizzare il contesto attuale sotto diversi punti di vista. Metteremo a fuoco lo scenario sul piano puramente geopolitico: territori coinvolti, equilibri, scontri e conseguenze. Mentre nella seconda parte, più ridotta, daremo spazio ad alcune interessanti considerazioni sulla dimensione economica.

Questo approfondimento è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 13 ottobre 2023. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!

Un mondo in fiamme

Potremmo limitarci a descrivere cosa sta accadendo in Israele, valutando poi le implicazioni economiche. Però, questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di tensioni e guerre parte di uno scenario geopolitico complesso come non si vedeva da anni.

A prima vista verrebbe da pensare che si sia tornati indietro di decenni, ai tempi della Guerra Fredda. Tuttavia, mettendo a confronto passato e presente, ci si rende conto che oggi è tutto molto differente.

Durante lo scontro-non scontro USA-URSS, le due superpotenze controllavano vaste aree del pianeta; pochi Paesi non si schierarono (pensiamo alla Jugoslavia di Tito) e ciò favorì una netta distinzione tra i due fronti.

Oggi le superpotenze in gioco sono tre: Stati Uniti, Russia e Cina. Tutte hanno le proprie difficoltà, ma comunque dispongono di ciò che serve per definirle tali. A esse si aggiungono altri attori decisamente importanti come India, Iran, Turchia, potenze europee, Giappone, Australia e via dicendo. Poi troviamo gli altri Stati mondiali: chi è una media potenza (Italia, giusto per chiamarci in causa), chi non ha grande importanza, chi dispone di risorse e chi ha una posizione strategica.

Anche oggi esistono gli schieramenti, ma a differenza del passato molti Paesi non ne fanno parte, oppure vi è maggior fluidità. Non ci troviamo più in uno scenario da “A contro B”, salvo poche eccezioni, ma in uno tipo “A contro B contro/insieme a C, poi ci sono D ed E, poi F che sta con A e a volte con B…”.

La complessità attuale non si era mai vista e il mestiere del geopolitologo è diventato tra i più difficili delle scienze economiche, politiche e sociali.

Pensiamo agli imperi del passato, come quello britannico: l’umanità era numericamente molto inferiore a oggi; il controllo delle colonie era facile da ottenere e mantenere (tra atroci violenze, ricordiamolo che non fa mai male). Non che l’impegno fosse poco, ma non c’erano in gioco tutti i fattori attuali.

Ma anche avvicinandoci al presente, pure la Guerra Fredda fu più semplice sul piano di equilibri e allineamenti: l’Africa non aveva modo di opporsi; la Cina era sottosviluppata; l’Asia non era frammentata come oggi; l’Europa era decisamente più unita contro il nemico comune. Detta alla spiccia: o eri capitalista o comunista, oppure ti potevi unire al ristretto club dei non allineati (ma l’ultima parola non era comunque tua).

Scopriamo quindi qual è la suddivisione attuale del globo, quali sono i principali teatri di tensione e scontro e come le superpotenze stanno gestendo la situazione.

Diciamo da subito che vi è una forte contrapposizione tra Occidente e Resto del Mondo. Nel termine “Occidente” facciamo rientrare i classici Paesi (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda ed Europa), a cui aggiungiamo Giappone, India, Sudafrica e gli Stati più stabili del Sud America. Attenzione: non stiamo dicendo che questi attori sono tutti alleati tra loro, ma solo che danno vita a un blocco di Stati in cui il caos non regna supremo. Nel “Resto del Mondo” includiamo gran parte dell’Africa, il Medio Oriente, l’Asia centrale, il Sud Est asiatico e anche qualche Paese che ha parecchie difficoltà interne come il Messico.
Da un lato, uno schieramento dove le condizioni di vita sono molto differenti da Stato a Stato, ma nel complesso vi è controllo delle istituzioni. Dall’altro, il potere viene a mancare e si creano le condizioni perfette per gli scontri e il terrorismo.

armamenti

In Europa domina la scena lo scontro in Ucraina, che prosegue il suo cammino verso i due anni dallo scoppio (febbraio). La guerra ha assorbito interamente la Russia, determinata a ottenere il riconoscimento internazionale che cerca disperatamente da quando crollò l’Unione Sovietica. Però, oltre alle debolezze russe, sono state messe in evidenza anche quelle degli altri attori: Europa incapace di muoversi coesa e decisa; Stati Uniti impossibilitati a intervenire e talvolta impacciati; Turchia alla ricerca di soluzioni che la mettano in mostra; Cina non matura a imporsi come alternativa, ma che almeno guadagna punti nei rapporti di forze con “l’amica” Russia (doverosamente virgolettato).

L’Ucraina ha distratto Occidente, Russia e Cina, dando la possibilità ad altri disordini di acuirsi o prendere vita. Il Nordafrica è certamente una delle aree più dinamiche in questo senso, con focus soprattutto sulla Libia, ormai spartita tra Russia (in vantaggio) e Turchia. In questo scenario, Francia e Italia ne escono malissimo, perché non riescono a trovare il modo di esercitare quantomeno un poco di influenza su una delle aree più problematiche sul fronte migratorio (nonché energetico).

Caos totale nell’Africa Subsahariana, dove un’ondata di francofobia (Francia ormai messa alla porta in numerose storiche ex colonie) e ribellioni ha portato a scontri e colpi di Stato. In alcune aree, come nel Sud Sudan, si rischia addirittura il genocidio, ricordando i tristi fatti del Darfur.

In questo contesto, Russia e Cina giocano un ruolo fondamentale: la prima è presente da tempo, vende armi per cifre doppie rispetto agli USA e si muove con truppe mercenarie (Wagner in primis); la Cina è invece da almeno vent’anni che investe e amplia la sua influenza, oltre a esportare anch’essa vari tipi di armamenti.

Tuttavia, in diverse occasioni gli africani hanno dato segnali di volersi emancipare dallo straniero. Purtroppo, divisioni culturali, religiose ed etniche, unite all’abbondanza di risorse, gettano ombre su questa possibilità.

Guerrigliero in Africa

Tornando a nord, in Asia Centrale è terminata la Guerra del Nagorno Karabakh che ha visto contrapposti Armenia e Azerbaijan. Regione contesa e presa in passato dall’Armenia, il Nagorno Karabakh è stato attaccato e riconquistato dalle forze azere.

Super complicato anche questo scenario: l’Azerbaijan è storicamente vicino alla Turchia, che sta cercando di espandersi anche a est. L’Armenia era da sempre filorussa, ma dal 2018 (elezione del nuovo premier) ha cambiato linea avvicinandosi agli Stati Uniti.
L’area è importante in chiave strategica, perché è la porta di accesso europea alle risorse del Mar Caspio. Inoltre, gioca un ruolo cruciale per contenere le spinte dell’Iran da sud e mantenere un cuscinetto dal Caucaso russo, a nord. Di per sé, la regione è piuttosto instabile e le cellule jihadiste sono sempre presenti.

Non scordiamoci poi di Estremo Oriente e Sud-est asiatico, dove Taiwan resta al centro dei pensieri cinesi (e americani). L’isola di Formosa è strategicamente fondamentale perché impedisce ai cinesi di avere l’accesso diretto all’Oceano Pacifico. Perciò, mentre questi ultimi vogliono chiaramente ottenerlo, gli americani la pensano in maniera diametralmente opposta. Nonostante siano passati secoli e secoli, si conferma la regola che il controllo dei mari è ciò che contraddistingue la potenza egemonica: fu così per i romani, gli olandesi, i britannici e, ora, per gli Stati Uniti. Pensiamo anche a Napoleone Bonaparte: l’Impero Francese non iniziò il suo declino con la campagna di Russia o Waterloo, ma con il controllo dell’Atlantico in mano ai rivali inglesi.

Taiwan fa parte della prima linea di contenimento della Cina che prende il via dal Giappone, includendone le varie isolette, arriva a Taiwan e prosegue poi tra Malesia e Vietnam. La volontà cinese di annettere Formosa va ben oltre le rivendicazioni culturali, ma entra appunto nel vivo sulle questioni geopolitiche: avere l’isola vorrebbe dire diventare finalmente una potenza marittima e contendere il Pacifico agli Usa; non averla continuerebbe a creare problemi e pressione.

Gli Stati Uniti hanno ovviamente altre linee di contenimento e posizioni chiave come Guam. Però, Taiwan ha anche valore simbolico, oltre a un’economia di tutto rispetto che produce alcuni prodotti fondamentali, soprattutto nel campo informatico.

Per cercare di sfuggire alla morsa americana, la Cina ha siglato negli ultimi anni delle partnership commerciali (e talvolta militari) con i piccoli Stati insulari di Micronesia, Polinesia e Melanesia. Stati Uniti, Australia e Francia sono stati piuttosto passivi in questo senso e stanno tentando di recuperare terreno per evitare di perdere il controllo.

Questa panoramica, peraltro non esaustiva, ci aiuta a capire che il mondo è in fiamme e molto teso. Inoltre, possiamo dedurre come i fenomeni siano legati tra loro, in un gioco ricco di equilibri e squilibri. In questo senso, il Medio Oriente è certamente della partita e, data la vicinanza con l’Europa, assume parecchia importanza.

"Intensità e complessità la fanno da padrone in uno scacchiere inedito"

Fotografia del Medio Oriente

Il contesto del Medio Oriente è da sempre molto intricato, ma nella storia recente sembra che lo sia ancor di più. Vediamo quindi qual è la situazione attuale al netto degli attacchi di Hamas contro Israele.

La Siria è in guerra ormai perenne. Le fazioni del regime si scontrano con gli oppositori, tra cui possiamo contare anche dei membri appartenenti a forze jihadiste. Nella parte nord del Paese è inoltre forte la presenza curda, impegnata a sua volta negli scontri contro la rivale di sempre: la Turchia.

Su questo terreno sono presenti gli Stati Uniti e la Russia. In più, alcune aree tra il Paese e l’Iraq sono ancora nelle mani di ciò che resta dello Stato Islamico.

Nel corso degli anni, molti siriani sono scappati dagli scontri cercando rifugio in Libano. Questo Stato è però in una delicatissima situazione economica (in crisi da ormai 4/5 anni) e da alcune divisioni interne, tant’è che sono presenti anche militari stranieri; tra questi c’è anche un contingente italiano intorno ai 1200/1300 elementi impegnati nelle missioni Unifil e MIBIL. Tuttavia, possiamo dire che il Libano sia comunque piuttosto compatto e schierato con l’Iran, il grande nemico di Stati Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Israele.

L’unione tra Iran, Libano (con i suoi militanti Hezbollah) e Hamas ha da sempre come obiettivo la riconquista dei “territori sottratti nel 1948” (virgolettato in quanto è il loro punto di vista, condivisibile o discutibile che sia), anno di fondazione dello Stato di Israele. La determinazione è talmente elevata che le differenze religiose passano in secondo piano (gli iraniani sono sciiti, mentre i membri di Hamas sunniti). Più voci autorevoli sostengono che i recenti attacchi siano frutto della collaborazione di questa triade, capitanata ovviamente dalla grande repubblica islamica. Ovviamente queste speculazioni sono state smentite, cosa peraltro prevedibile.

Veniamo poi a Israele, un Paese schiacciato dall’ostilità e da sempre molto guardingo e pronto all’azione. A nord ci sono Libano e Hezbollah; all’interno, verso est, la Cisgiordania con delle cellule di Hamas; a sud la striscia di Gaza, regno dell’organizzazione terroristica palestinese. Chi ci rimette di più sono ovviamente i civili, a prescindere dal lato in cui si trovano.

Israele gode dell’appoggio occidentale e negli ultimi anni, per volere degli Stati Uniti, sono stati fatti dei passi avanti per avviare dei rapporti con alcuni Paesi del mondo arabo. Gli Accordi di Abramo, firmati nel 2020, segnano la normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, seguiti poi da Bahrein, Marocco e Sudan. In questo periodo erano in corso delle trattative simili sul fronte Israele-Arabia Saudita e il tempismo di Hamas non può essere una coincidenza. Traspare la volontà del fronte anti-Israele (tra cui, ripetiamo, c’è l’Iran, nemico tra l’altro pure dell’Arabia Saudita) di non far arrivare a compimento un accordo di questo tipo.

Fotografia del Medio Oriente

Attacco di Hamas, risposta di Israele

La cronaca recente è sotto gli occhi di tutti.

Prima Hamas ha attaccato Israele in una modalità inedità: non più solo razzi lanciati dalla striscia di Gaza o attentati, ma una vera e propria invasione.

Lo stato ebraico si è fatto prendere alla sprovvista, colpevole di aver sottovalutato la precarietà della regione. Se ci pensiamo, consentire l’organizzazione di un rave internazionale nel Deserto del Negev, vicino alla Striscia, sembra pura follia… eppure è successo!

Un ruolo non da poco sulla questione l’hanno avuto i problemi interni che sta vivendo Israele.

Dalla riforma della magistratura (avvenuta nella primavera del 2023), sono nati dei moti di protesta contro il governo di estrema destra del premier Benjamin Netanyahu. In gioco vi è l’identità vera e propria dello Stato, minata da un atteggiamento sempre più xenofobo e dai tratti razzisti.

A non aiutare poi vi è l’assenza di una carta costituzionale, sostituita da leggi di portata simile, ma comunque che non raggiungono quel grado anche solo rappresentativo che detiene una vera e propria costituzione.

In questa serie di eventi trova spiegazione anche il rilassamento dell’intelligence israeliana, incapace di prevedere il possibile attacco (o forse leggera nel liquidarlo come “impossibile”?).

Mappa Israele

Quanto avvenuto è uno schiaffo fortissimo all’autorità di uno Stato visto da sempre come tra i più attenti alla propria sicurezza. Nemici ed esponenti del mondo arabo hanno salutato con favore l’attacco, anche se l’euforia ha lasciato rapidamente spazio alla preoccupazione.

Israele sa di averci rimesso la faccia, ma ora è determinato a porre rimedio e vendicarsi per quanto accaduto. Da giorni i raid aerei su Gaza si susseguono senza sosta; Hamas ha provato a giocare la carta degli ostaggi, totalmente ignorata dalle autorità israeliane.

Carri armati, pezzi d’artiglieria e soldati si sono ammassati sui confini della striscia di Gaza. L’invasione via terra sembra probabile e, nel frattempo, l’assedio ha iniziato il suo corso.

Nel frattempo, Israele tiene d’occhio anche il confine a nord, perché le milizie Hezbollah potrebbero farsi vive. E in effetti qualche schermaglia e bombardamento già c’è stato. Senza contare poi la Cisgiordania, che per il momento sembra però tranquilla (o meglio, non dà segni di escalation, perché tranquilla non lo è mai).

Non possiamo non pensare a chi più di tutti subisce (e subirà) le conseguenze delle azioni da ambo le parti: i civili. Già oggi possiamo contare migliaia tra morti e feriti. In un clima simile, purtroppo i numeri cresceranno e con essi altre problematiche, tra cui un potenziale esodo da Gaza verso l’Egitto dei profughi palestinesi.

Cosa accadrà? Impossibile saperlo, c’è davvero troppo in movimento.

Solitamente trattiamo di argomenti strettamente legati al mondo crypto, economico e finanziario. In questo caso, come anche in altre occasioni, abbiamo ritenuto che fosse comunque doveroso proporre una disamina del panorama geopolitico.

Però, alla fine vogliamo sempre tornare sui binari, perché l’economia è indissolubilmente legata a quanto accade nel mondo. Ecco quindi che il nostro formatore Matteo ha preparato un’interessante analisi sulla relazione geopolitica, economia e finanza.

Mercati e GPR Index

Per concludere, quali potrebbero essere i principali risvolti sui mercati, considerando quello che abbiamo appena affrontato? Le predizioni economiche rispetto a un ambito come quello attuale lasciano il tempo che trovano e tendono a essere ciniche nella valutazione puramente economica, considerando che i costi maggiori sono in termini di vite umane.

Quello di cui avremmo bisogno è una crescita parabolica della compassione verso il prossimo e un aumento esponenziale della consapevolezza delle azioni che la guerra produce, mentre ci piacerebbe vedere crollare a zero la violenza e l’egoismo delle parti politiche coinvolte.

Cospargendo il capo di cenere e non pretendendo di poter prevedere il futuro della guerra, cercheremo di fare quello a cui sono chiamati gli economisti in queste occasioni, ossia osservare i dati passati e formulare delle ipotesi sulle principali aree del mercato coinvolto.

Prima però introduciamo lo strumento che ci servirà per fare questa tipologia di paragoni: il Geopolitical Risk Index di Iacovello e Caldara. Si tratta di un’elaborazione che misura gli eventi geopolitici avversi e i rischi a essi associati tramite un’analisi delle principali keyword contenute in dieci testate giornalistiche, prevalentemente occidentali.

Il GPR più recente parte dal 1985 e tiene in considerazione i seguenti quotidiani: Chicago Tribune, The Daily Telegraph, Financial Times, The Globe and Mail, The Guardian, Los Angeles Times, The New York Times, USA Today, The Wall Street Journal, The Washington Post.

Nello specifico, sono analizzate le seguenti categorie:

  • Minacce di guerra (Categoria 1);
  • Minacce alla pace (Categoria 2);
  • Accumulo militare (Categoria 3);
  • Minacce nucleari (Categoria 4);
  • Minacce terroristiche (Categoria 5);
  • Inizio della guerra (Categoria 6);
  • Escalation della guerra (Categoria 7);
  • Atti terroristici (Categoria 8).

Sulla base dei gruppi di ricerca sopra menzionati, Caldara e Iacoviello costruiscono anche due sub-indici. Il Geopolitical Threats (GPRT) include parole appartenenti alle categorie da 1 a 5 sopra menzionate. Mentre l’indice Geopolitical Acts (GPRA) include parole appartenenti alle categorie da 6 a 8.

Sono stati creati anche indici specifici per il singolo Paese per 44 Stati diversi; essi calcolano l’indice contando il numero di articoli legati agli eventi geopolitici avversi in ciascun giornale per ogni mese (come quota del numero totale di articoli di notizie).

Di seguito possiamo trovare due differenti interpretazioni del GPR con indicazioni relative agli eventi che ne hanno causato i principali movimenti. Come possiamo notare, dagli eventi del Settembre 2001, la media di rischio dell’indice è in aumento. Con un’ulteriore escalation al rialzo da quando il presidente Trump ha messo i bastoni tra le ruote alla cooperazione Cina-America, portandola su un piano competitivo piuttosto che cooperativo.

Rischio geopolitico

 

GPR 2

Di seguito invece riportiamo una serie di studi sulla reazione delle principali asset class in relazione alla distanza temporale dai principali eventi geopolitici. Nello specifico, essi si concentrano su:

  • S&P 500 (mercato azionario US);
  • US Treasuries (obbligazionario americano);
  • MSCI (indice ponderato delle principali società dei Paesi sviluppati);
  • Gold.

Treasury americane e S&P500

Treasuries e S&P500

S&P 500 dopo eventi geopolitici

Ricerca GPR Index

Oro ed equity USA:

Oro ed equity US

Oro:

Performance oro

Come possiamo notare, la relazione è pressoché costante su quasi tutti gli eventi. Infatti, abbiamo una tendenza alla contrazione antecedente ai conflitti e agli eventi geopolitici, la quale porta alla degradazione delle condizioni di pace. Nel momento in cui l’evento scatenante avviene, il mercato tende nei mesi successivi a recuperare, salvo alcuni casi eccezionali in cui le politiche macroeconomiche, in sovrapposizione con le crisi, non hanno fatto altro che portare a un peggioramento continuo.

Cosa possiamo dedurre da questo? In primo luogo una tendenza degli investitori nelle situazioni di incertezza a spostare i propri capitali su asset meno rischiosi e di “rifugio” come oro e obbligazionario, lasciando asset a più alto rapporto rischio-rendimento come gli indici azionari.

Allontanandoci dalla data dell’evento, con la distensione della tensione e il progressivo rientro delle situazioni di rischio, abbiamo un ritorno dei flussi di capitale verso gli asset rischiosi che spesso beneficiano anche delle espansioni monetarie funzionali a finanziare i conflitti.

Mercati e GPR Index

Altre risorse

Per i più interessati, vi lascio di seguito anche una serie di articoli molto interessanti in materia, prodotti dalle principali istituzioni di ricerca globali, che approfondiscono in maniera dettagliata eventi e potenzialità di impatto sui mercati:


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