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La recessione è DIETRO L'ANGOLO...

Di Gabriele Brambilla

Secondo un sondaggio condotto dalla CNBC, la maggior parte dei CFO americani pensa che la recessione sia dietro l'angolo

La recessione è DIETRO L'ANGOLO...

La recessione è in arrivo?

Entro la fine del 2025 la recessione arriverà negli Stati Uniti. Questo è il risultato di un autorevole sondaggio condotto dalla CNBC, il CNBC CFO Council Survey, aggiornato a cadenza trimestrale.

Protagonisti di questa indagine sono i Chief Financial Officer di diverse società americane. Data la loro posizione, ciò che queste figure pensano ha estrema importanza nel delineare i possibili scenari futuri dell’economia a stelle e strisce. In questo caso specifico, il responso è negativo e la recessione sembra davvero dietro l’angolo.

Il comparto azionario USA sta vivendo un momento di timido recupero dalle perdite incassate nelle ultime settimane. Tuttavia, questa parziale ripresa non basta a far tornare il sole su uno scenario complicato e a tratti preoccupante. Vediamo quindi quali sono le problematiche del momento e scopriamo i risultati del sondaggio.

Le politiche economiche in atto

Due righe per ricapitolare qual è la situazione attuale e come potrebbe impattare sull’economia americana e mondiale.

L’amministrazione Trump sta spingendo con i dazi doganali e, nonostante le voci di un possibile allentamento, lo stato resta critico. Nel bersaglio di queste misure sono finiti nel calderone un po’ tutti: Canada e Messico in primis, ma anche Unione Europea, Cina e Australia.

Gli Stati Uniti hanno avviato una guerra commerciale su più fronti con i partner e alleati storici che potrebbe mischiare le carte degli equilibri mondiali. Innanzitutto perché i vari Paesi finiti sotto tiro stanno già cercando delle soluzioni alternative, ribattendo anche con delle contromisure. Poi, perché gli States potrebbero addirittura perdere la loro centralità indiscussa di prima potenza economica mondiale.

Le iniziative di Trump mirano principalmente ad avere una leva per strappare agli altri Stati determinate condizioni su temi particolari. Un esempio è l’immigrazione che proviene dal Messico: sembra scontato che i dazi imposti a questo Paese da parte degli USA siano in buona parte dovuti all’ottenimento di condizioni stringenti sul pattugliamento dei confini da parte delle forze messicane. Oppure, pensando all’Europa, Trump ha fatto capire quale sia la motivazione principale dei dazi dicendo più o meno che “loro (ossia noi europei) impongono limiti sulle importazioni dall’America, mentre noi acquistiamo tutto senza problemi”.

Il punto è che i dazi ricadono sempre sulle spalle dei consumatori. Se un’automobile tedesca subisce un dazio del 25% sulla vendita negli Stati Uniti, sarà il consumatore a pagare di tasca sua il sovrapprezzo, che finirà direttamente nelle casse dello Stato. E no, non sono i Paesi stranieri a versare denaro agli Stati Uniti come alcuni pensano: le tariffe gravano sempre sul compratore finale.

Questa misura può stimolare i consumatori ad acquistare locale, spingendo in alto l’industria americana e mettendo in difficoltà gli altri. Però, nel 2025 non esiste una filiera interamente nazionale. Prendiamo la Ford, storico marchio Made in the USA, che acquista circa il 50% dei componenti per le sue auto dall’Asia, principalmente dalla Cina. Se gli Stati Uniti impongono dazi alla Cina, Ford paga cifre maggiori per comprare i componenti che rientrano nelle tariffe; di conseguenza dovrà aumentare i prezzi, a spese del consumatore.

Tutto questo processo comporta un aumento dell’inflazione e la contrazione della spesa che, nel tempo, sfocia nella recessione.

Inoltre, un altro aspetto preoccupa: seppur stia portando avanti diverse promesse, l’amministrazione repubblicana cambia spesso idea. Ciò non è positivo per i mercati e le imprese, che non riescono ad avere maggiori certezze sul futuro.

Le politiche economiche in atto

Il sondaggio condotto da CNBC

Il sondaggio di CNBC offre degli spunti molto interessanti.

Innanzitutto, vediamo subito il dato più caldo: il 60% degli intervistati si aspetta una recessione nella seconda metà dell’anno (praticamente è dietro l’angolo). Un ulteriore 15% pensa invece che arriverà nel corso del 2026. Messi insieme, ben l’85% dei CFO vede all’orizzonte un periodo di decrescita.

Nei commenti degli intervistati sull’intervento economico generale, riportati dalla CNBC (link a inizio articolo), si leggono aggettivi come “Estremo”, “Aggressivo”, “Distruttivo” e frasi come “Una corsa sfrenata”, a testimonianza delle difficoltà della classe dirigenziale nell’inquadrare il futuro.

In tema di dazi, pressoché tutti i CFO (90% circa) ritiene che causeranno il ritorno dell’inflazione. Il famoso target del 2% non verrà raggiunto né nel 2026, né nel 2027: questo il pensiero del 50% degli intervistati. Non dimentichiamoci che veniamo da una lunga stagione di politiche monetarie aggressive e che la FED aveva da poco avviato i tanto desiderati tagli ai tassi di interesse, che ora tornano a essere in discussione.

Preoccupante il quadro che esce riguardo il mercato azionario. Agli intervistati viene sempre chiesto quale settore performerà meglio nei sei mesi successivi; storicamente, la risposta ricade su tecnologico, energetico o sanitario. Tuttavia, nell’ultimo sondaggio, la maggioranza dei CFO ha risposto “Non so”, ulteriore segnale di grande incertezza.

Quasi tutti i rispondenti sostengono che questo scenario ha un qualche impatto sul processo decisionale della propria attività. Inoltre, 3/4 di essi hanno un’opinione in qualche modo pessimista sullo stato generale dell’economia americana.

In ogni caso, per la metà degli intervistati la recessione sarà moderata e per un altro 40% leggera, segno che non si vede la luce, ma neppure il buio pesto.

Tuttavia, tra i tantissimi articoli economici in rete, alcuni addetti ai lavori sostengono che potrebbe manifestarsi stagflazione, ossia la combo tra inflazione elevata e recessione, incluso l’aumento della disoccupazione.

Quanto appena riportato riguarda gli Stati Uniti, ma ci sarebbe certamente un qualche tipo di ripercussione anche sulle economie esterne a questo Stato.

Il possibile impatto sulle crypto

Le criptovalute potrebbero subire il colpo, questo purtroppo lo sappiamo. In verità, l’hanno già subito nelle ultime settimane, con perdite diffuse e indicatori quali il Fear and Greed ritornati a livelli opposti a quelli di pochi mesi fa. Altri fattori hanno condizionato questo trend negativo, ma quanto abbiamo appena descritto ha avuto sicuramente il suo peso.

La magnitudo non è però valutabile, anche perché a volte le crypto ci riservano sorprese. Non è raro infatti vedere bitcoin e/o le altcoin salire in momenti in cui i mercati tradizionali non se la passano bene, ma spesso vi è anche tanta correlazione a renderci la vita difficile.

Se si ha un’operatività puramente speculativa, mettiamoci in testa che potremmo avere grandi opportunità, controbilanciate però da rischi maggiori del solito.

Se invece si è degli holder e i fondamentali restano invariati, possiamo restare fedeli alla strategia stabilita a suo tempo. L’importante è appunto verificare che le analisi siano ancora valide e non prendersi ulteriori rischi, mantenendo la solita operatività in caso di piani di accumulo.

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