Rivolta Wagner e Guerra in Ucraina: il racconto e le conseguenze
Di Gabriele Brambilla
Pochi giorni fa, la rivolta della Wagner ha scosso la Russia e il mondo intero. In questo focus on approfondiamo la questione e analizziamo le conseguenze del conflitto in Ucraina
Introduzione al focus on di oggi
I nostri approfondimenti settimanali sono solitamente dedicati al mondo economico e vogliono scavare più a fondo nelle principali dinamiche che lo riguardano. In questa occasione abbiamo però deciso di muoverci diversamente, sconfinando in un territorio per certi versi ancora inesplorato: la geopolitica.
In verità, l’investitore attento e scrupoloso sa bene quanto sia importante seguire anche gli avvenimenti apparentemente non legati alla sfera economica. Questo perché tutto è connesso e le conseguenze di un evento puramente geopolitico si fanno sentire con vigore anche in ambito economico. Anzi, possiamo dire che al di fuori dei teatri di guerra e delle stanze diplomatiche, sono proprio economie e mercati le aree più sensibili a certi eventi.
Fatta questa premessa, non potevamo quindi ignorare quanto accaduto lo scorso fine settimana in Russia. Anche se l’aria era strana da tempo, dal 23 giugno 2023 qualcosa si è rotto nel grande Stato dell’orso; difficilmente, almeno per ora, il danno potrà essere riparato.
In questo focus on affronteremo la rivolta della Wagner, ma non solo.
Prima di tutto, ripercorreremo le origini del conflitto ucraino e le principali tappe finora incontrate, consapevoli che (purtroppo) la storia è ancora tutta in divenire.
Potremo poi spostarci sulla Wagner, capendo meglio che cos’è e qual è il suo ruolo in Ucraina. Dopodiché entreremo nel vivo e ci concentreremo su quanto accaduto lo scorso fine settimana.
Infine, spazio prima alle conseguenze non economiche (sia in Russia che nel mondo) e, tornando sul nostro terreno, alle ripercussioni economiche della rivolta e della guerra in generale.
Questo approfondimento è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 30 giugno 2023. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
Origini e storia del conflitto
Prima di iniziare, ecco un paragrafo dedicato a chi volesse ripassare i principali fatti del conflitto ucraino. Data la mole di contenuti che ci aspetta, sarà il più condensato possibile, a scapito della completezza.
Novembre 2013: il governo ucraino sospende le trattative in corso con l’Unione Europea che miravano a un accordo di libero scambio tra le parti e a dei finanziamenti europei per il Paese, a patto che quest’ultimo avesse dato messo in atto delle rigide politiche economiche. Da sottolineare anche le pressioni russe per evitare la fumata bianca. Il popolo non la prende bene (questa fu la proverbiale ultima goccia) e si avviano delle proteste anche violente.
Febbraio 2014: dopo anni di difficoltà interne e sulla scia dei fatti di novembre 2013, via alla Rivoluzione di Maidan, con l’obiettivo di ripristinare la Costituzione del 2004. Tra le varie conseguenze dell’evento, arriva un nuovo governo dalle vedute in linea con la rivoluzione.
Nello stesso periodo, prendono il via manifestazioni filorusse nelle regioni di Donetsk e di Lugansk, con la volontà di creare delle repubbliche separatiste.
Febbraio-marzo 2014: soldati russi entrano in Crimea con l’intenzione dichiarata di proteggere i propri connazionali residenti nell’area.
Marzo 2014: referendum farsa per l’annessione della Crimea alla Russia.
Aprile 2014: Donetsk e Lugansk si proclamano repubbliche autonome filorusse.
A questo punto, tra scontri e battaglie, gli altri Paesi e le organizzazioni internazionali cercano di trovare una soluzione che non porti a ulteriori deterioramenti della già complessa situazione.
Luglio 2014: il volo Malaysia Airlines MH17 precipita nella regione di Donetsk. Le indagini stabiliranno che la responsabilità è russa (l’aereo è stato abbattuto dai sistemi antiaerei).
Settembre 2014: in Bielorussia, viene firmato il Protocollo di Minsk. Tra i vari punti è previsto il cessate il fuoco, lo scambio di prigionieri e il passaggio degli aiuti umanitari. La sua utilità sarà molto ridimensionata e continueranno a esserci scontri negli anni a venire.
Febbraio 2015: firmata la seconda parte degli Accordi di Minsk.
Novembre 2018: nello stretto di Kerch, le guardie di frontiera russe attaccano alcune navi della marina ucraina. Come risposta, in dieci regioni del Paese, l’Ucraina attiva la legge marziale.
2021: la Russia inizia ad ammassare truppe ed equipaggiamenti vicino ai confini con l’Ucraina.
Dicembre 2021: viene presentata una serie di richieste russe a Stati Uniti e NATO (rifiutate), tra cui il divieto di far entrare altri Paesi nell’Alleanza Atlantica.
Febbraio 2022: rapida escalation e riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk da parte della Russia. Il 24 febbraio è il giorno ufficiale dell’invasione.
Dopo un primo periodo di difficoltà, in cui i russi riescono a spingersi fino alle porte di Kiev, gli ucraini si riorganizzano, difendono le posizioni e passano al contrattacco. Armi ed equipaggiamenti stranieri hanno chiaramente un ruolo importante, ma la determinazione dell’esercito ucraino è forte.
La Russia, partita con l’idea di una guerra lampo chiamata ancora oggi “operazione militare speciale”, resta impantanata in un conflitto sempre più complesso e dove la vittoria è ormai un miraggio.
"Da guerra lampo a conflitto di sfinimento: non erano questi i piani russi"
Che cos'è la Wagner?
Nel mondo occidentale, la Wagner viene liquidata senza troppi pensieri come un gruppo mercenario. Troviamo poi anche definizioni più colorite come quella assegnata dal presidente francese Macron (“un gruppo di mercenari criminali”), nella sostanza condivisibili. Tuttavia, questo inquadramento non è del tutto corretto.
Sulla carta, la Wagner è una compagnia militare privata. Il business è quello di offrire servizi militari che possono andare dalla semplice protezione fino a operazioni di cui ignoriamo l’esistenza.
Presentata così, la sua natura sembrerebbe confermare la definizione di mercenari. Però, si va ben oltre.
La Wagner è a tutti gli effetti parte delle forze armate russe, organizzate diversamente rispetto ai canoni tradizionali che europei, occidentali (e non solo) hanno in mente. In Russia, possiamo suddividere le forze armate in due categorie: quelle vere e proprie, regolari e riconosciute, in cui rientra ad esempio l’esercito; quelle non riconosciute, di fatto delle milizie, dotate di una certa indipendenza. Proprio qui sta il punto: la Wagner è sulla carta una compagnia militare privata ma, di fatto, svolge il ruolo di milizia delle forze armate russe.
Per la Russia, il punto di forza di un reparto come questo è il poter partecipare ai teatri di guerra senza però esporsi direttamente. O meglio, esponendosi solo quando lo si desidera (come per il Mali e la Repubblica Centrafricana). Inviando la Wagner in giro per il mondo, in caso ad esempio di cattura, il governo può tranquillamente alzare le mani e dire “non sono nostri soldati, non li abbiamo inviati noi”.
La Wagner riceve sicuramente fondi statali: le dotazioni sono avanzate (basti pensare che dispone di pezzi d’artiglieria, equipaggiamenti completi e forse persino di elicotteri da guerra) e possiede anche di un campo di addestramento nel Krasnodar, in Russia meridionale, non lontano dall’Ucraina. Per evitare qualsiasi connessione con gli organi statali, questo centro è registrato come campo estivo per bambini.
Sul tema fondi, impossibile sapere da dove arrivano. Probabilmente si impiegano varie aziende e intermediari, si compiono più passaggi e, in qualche modo, si riesce a eliminare il collegamento diretto con lo Stato.
Trattandosi di una società vi è anche un proprietario, l’ormai arcinoto Yevgeny Prigozhin, figura dagli strettissimi e storici legami con il presidente Vladimir Putin. Ancora oggi, Prigozhin conserva il soprannome di “cuoco di Putin”, dato che in passato quest’ultimo frequentava i ristoranti del primo.
Progozhin ha inoltre connessioni con molti esponenti politici anche appartenenti al GRU, i servizi segreti militari del Ministero della Difesa russo.
Il gruppo Wagner, attivo dal 2014 e con sede a San Pietroburgo, conta circa 50 mila effettivi, anche se è impossibile avere accesso a numeri certi. Di questi, un’ampia fetta è composta da ex detenuti. Poi, molti uomini provengono dall’esercito regolare e, di frequente, da reparti scelti.
Anche se Putin continua a dire che l’operazione militare speciale è per rimuovere i neonazisti dall’Ucraina, sono proprio le truppe Wagner a avere forti radici nell’estrema destra e con il nazionalismo. Alcuni generali ed effettivi hanno tatuaggi delle SS, svastiche o aquile naziste, basti pensare al gruppo Rusich.
Dalla fondazione, i soldati hanno preso parte ad azioni militari e guerre in parecchie aree del globo, concentrandosi soprattutto in Africa, Medio Oriente e Ucraina. È però probabile la presenza anche altrove, seppur non ci siano delle prove concrete.
La Wagner è accusata di diversi crimini di guerra e nel 2022 il Parlamento ne chiese l’iscrizione al registro europeo delle organizzazioni terroristiche.
Il gruppo è presente in Ucraina sin dal 2014, quando i gruppi separatisti iniziarono le azioni militari. Confermata a più riprese la presenza di milizie Wagner in Crimea e nel Donbass.
Un’organizzazione come questa è potente, ben armata e dotata di tutta l’esperienza necessaria per vincere le battaglie. Di conseguenza, l’ultima cosa che chiunque vorrebbe, Putin compreso, è ritrovarsela nemica e in cammino verso il proprio cancello. Capiamo quindi cos’è accaduto.
La rivolta della Wagner
Nella nottata del 23 giugno 2023, ecco avviarsi uno degli eventi che potrebbero avere un enorme impatto sul futuro della Russia.
Yevgeny Prigozhin parte all’attacco mediante un video, circolato prima su Telegram e poi a macchia d’olio su social network, portali di informazione e televisione. Il leader del gruppo Wagner si scaglia contro la Difesa russa, definendoli dei bugiardi che hanno mentito ai russi in merito alle motivazioni dietro la Guerra in Ucraina.
Stando al leader Wagner, ciò che ha spinto a questa guerra è l’ambizione di alcuni generali, oligarchi e politici influenti. Un conflitto sanguinoso, le cui perdite poco o nulla importano a chi sta seduto al Cremlino, comandando le azioni militari.
Perciò, la tesi di un’imminente aggressione ucraina (e della NATO) ai territori occupati dai russi nel 2014, motivo per quella che ancora oggi viene chiamata “operazione speciale”, viene totalmente smontata. Riprendendo le parole di Prigozhin, sfruttando la traduzione scritta de Il Sole 24 Ore, leggiamo “la guerra è stata necessaria a un gruppo di bastardi per trionfare e promuoversi, dimostrando quanto fosse forte l’esercito”. Vengono chiamati in causa il Ministro della Difesa Shoigu e gli oligarchi, coloro che traggono maggior beneficio dal conflitto.
Nella vicenda, un ruolo l’avrà avuto anche l’invito (anzi, il decreto) del governo alle forze Wagner, in buona sostanza un “unitevi all’esercito regolare entro il 1 luglio, altrimenti tutti a casa”. Questa mossa mira ad avere maggior controllo su una milizia che negli ultimi tempi aveva dato chiari segnali di una possibile ribellione.
Da sottolineare che Prigozhin non ha però attaccato Putin; anzi, egli sostiene che i vertici militari hanno mantenuto il presidente all’oscuro della reale situazione sul suolo ucraino. Insomma, una questione confusa, dove troviamo due agende differenti:
- Quella che, secondo Prigozhin, conosce il presidente Putin (e il popolo), frutto di menzogne e non corrispondente alla realtà;
- Quella reale, dove i morti sono numerosi e l’esercito russo non avanza, o addirittura perde posizioni. Ma, stando al video, nessuno al comando è interessato ai morti e non era stato calcolato il reale costo di questa guerra, ritenuta da Prigozhin impossibile da vincere già da tempo.
Nel video, Prigozhin afferma che lo scontro sarebbe stato evitabile e il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, avrebbe probabilmente accettato un qualche tipo di negoziato. In pratica, detta dal punto di vista del capo Wagner, non si sarebbe versato sangue russo.
Andiamo però ben oltre, perché Prigozhin era da tempo molto critico (per dirla in maniera elegante) nei confronti del comando. Ad esempio, da buon falco, egli esortava a un’ecomomia totalmente orientata allo sforzo bellico, all’instaurazione della legge marziale e alla presenza massiccia di unità militari. Uno scenario differente rispetto a un Paese sì impegnato nel conflitto, ma che comunque ha mantenuto una certa normalità tra i suoi confini (anche se, come vedremo, le cose stanno cambiando).
In più, sempre secondo il leader della Wagner, i russi avrebbero attaccato con dei missili i campi arretrati dei suoi uomini, uccidendone un numero enorme. Questa affermazione non può però essere confermata ed è stata ovviamente smentita dalle fonti ufficiali del governo russo.
Partendo da questi presupposti, l’annuncio: via a una marcia verso Mosca per liberare il Paese da coloro che lo stanno danneggiando.
La prima tappa della rivolta ha interessato la citta di Rostov sul Don, fondamentale per diversi aspetti. Innanzitutto, si tratta di uno dei più importanti centri della Russia del sud (decima città del Paese) e già questo basterebbe a descriverne il peso.
Rostov sul Don è poi vicinissima alle zone di combattimento ucraine (Donetsk e Lugansk) ed è sede del quartier generale dell’8° Armata. Da qui si coordinano tutte le azioni in territorio ucraino, partono soldati, aerei e rifornimenti.
In aggiunta, Rostov sul Don è anche la porta di accesso al Caucaso (e alle sue risorse) e, come ciliegina sulla torta, è un punto di passaggio verso il ponte della Crimea, nato circa cinque anni fa.
Prigozhin aveva da subito chiesto di incontrare il Ministro della Difesa Sergei Shoigu e il Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, ritenuti i due maggiori colpevoli della situazione della Russia. Chiaramente non c’è stato un confronto, anche perché possiamo immaginare cosa sarebbe successo.
Nel quartier generale di Rostov sul Don, Prigozhin ha comunque parlato con due personalità di spicco: il Vice Ministro della Difesa russo Yunus-Bek Evkurov e il vice Capo di Stato Maggiore Vladimir Alekseev, quindi le spalle delle personalità messe nel mirino dalla Wagner. In un video si nota come Prigozhin strapazzi i due (chiamati “vecchi pagliacci”) che, timidamente e senza neppure guardarlo negli occhi, chiedono il ritiro delle truppe da Rostov sul Don.
Dopo questa parentesi e lasciate delle truppe a presidiare la città, la marcia verso Mosca è proseguita seguendo la strada M4, collegamento rapido tra la capitale e la parte sud del Paese. Tappa successiva molto più a nord, per la precisione a Voronezh, teatro di combattimenti tra le forze regolari russe e la Wagner.
Nel mentre, Putin ha parlato alla nazione, definendo “traditori” tutti i soggetti coinvolti e promettendo punizioni esemplari. Come sappiamo, almeno per ora non è stato così: ci ritorneremo in seguito.
Spingendosi ancor più verso Mosca, ecco entrare in scena Lipetsk, città centro amministrativo dell’omonimo oblast a circa 450km da Mosca. Insomma, i reparti della Wagner, con tanto di carri armati al seguito, erano sempre più vicini alle porte della città.
All’improvviso, in maniera inaspettata, l’annuncio del ritiro. Prigozhin ha affermato che ci si era spinti fino al punto in cui ci sarebbero stati tantissimi morti e feriti, preferendo quindi interrompere la marcia per il bene della Russia.
Ufficialmente, sarebbe il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ad aver convinto il capo della Wagner a interrompere l’azione. Vladimir Putin ha confermato la tesi, ringraziando pubblicamente l’alleato per il lavoro svolto.
Realisticamente, questa versione fa un po’ sorridere. Sembra infatti alquanto improbabile che Lukashenko abbia avuto un ruolo così importante nella vicenda (semmai ne abbia effettivamente avuto uno). Si può ritenere che dietro le quinte siano entrate in azione altre dinamiche che difficilmente avremo modo di conoscere.
Qual è lo scenario dopo la rivolta della Wagner?
Con un clamoroso ribaltone, Yevgeny Prigozhin è stato perdonato e non subirà l’ira dello Zar Putin, come promesso in precedenza. Egli è stato avvistato in Bielorussia, probabilmente in una sorta di esilio. Attenzione però a non farsi ingannare: le procedure penali sono ancora aperte e in futuro Prigozhin potrebbe ritrovarsi nei guai; tuttavia, per adesso è un uomo libero.
Le truppe della Wagner si sono ritirate e dovrebbero riprendere il loro posto nel teatro di guerra. Chi non volesse farlo ha l’opzione di trasferirsi in Bielorussia.
Il mondo intero continua però a guardare perché, al contrario di ciò che potrebbe sembrare, la partita resta ancora aperta e le conseguenze saranno notevoli.
"Arrivata quasi alle porte di Mosca, la Wagner si è improvvisamente ritirata; nonostante ciò, le conseguenze sono dure"
Conseguenze non economiche
Prima di addentrarci in campo economico e analizzare le conseguenze della Guerra in Ucraina e della rivolta Wagner, vediamo come quest’ultima impatterà in altre sfere.
Cominciamo dal presidente Putin, che per anni aveva costruito e consolidato l’immagine del leader forte e minaccioso. Dai recenti fatti ne esce invece un ritratto molto ridimensionato, in grado di mettere in mostra tutte le sue debolezze e renderlo più umano. Oltretutto, passare dall’approccio “condanna e punizioni” a quello “tutti perdonati” non ha fatto altro che scalfire ulteriormente la sua rocciosa presenza.
Dobbiamo comunque ricordare che non possiamo sapere con esattezza quanto accaduto. Se Putin è davvero l’uomo che ha dimostrato di essere negli anni (ovvero uno che non perdona facilmente), stiamo pur certi che qualcosa dovrà ancora accadere.
In ogni caso, il presidente ne esce male sia internamente che all’esterno. Tuttavia, diverse figure chiave hanno espresso sostegno a Putin, a partire da coloro che storicamente avevano legami con la Wagner, tra cui il leader della Cecenia Ramzan Kadyrov.
Ciò che però più colpisce è la divisione che regna in terra russa, perché è palese che ci sono fazioni di vedute differenti che mirano a una sola cosa: il potere.
La Russia putiniana, in grado di mettere in difficoltà l’occidente, appare meno minacciosa e organizzata. Che l’esercito non fosse la macchina da guerra che si immaginava era sotto gli occhi di tutti, ma che lo Zar non avesse più il pieno controllo, beh, non era così evidente.
In tutto ciò, Putin resta però il male minore. Infatti, una Russia in subbuglio, o peggio in guerra con sé stessa, non è desiderabile proprio da nessuno, neppure dal più acerrimo dei nemici. Oppure, pensiamo a un Paese con al comando una personalità come Prigozhin, molto più pragmatica, guerrafondaia e aggressiva… da evitare.
La Russia è tante cose: il Paese più grande al mondo, un mercato importante, una miniera di risorse, una “sicurezza” in un’area storicamente delicata e, soprattutto, una superpotenza nucleare. L’instabilità crea problemi, seppur minori, anche nelle aree del globo più remote; proviamo a immaginare le possibili conseguenze se interessasse proprio la Russia.
Neppure gli Stati Uniti avrebbero da guadagnarci; anzi, probabilmente si ritroverebbero coinvolti in qualche tipo di intervento col grande rischio di finire impantanati. Vi è anche qualche speculazione che vede gli States in supporto proprio a Putin nei giorni scorsi, con il passaggio di informazioni sulla rivolta della Wagner ben prima che questa accadesse. Se ciò fosse vero, non ci sarebbe da stupirsi.
Che dire poi di noi europei? La guerra è già alle porte con l’Ucraina, ma le conseguenze di un’implosione russa sarebbero estreme su tutti i piani: politico, strategico, economico e umano.
Da quanto accaduto ne esce invece benissimo Lukashenko, indipendentemente dall’effettivo ruolo avuto nella vicenda. Se è vero che alla fine è la forza militare a stabilire le gerarchie, il presidente bielorusso è comunque in una posizione migliore di quella di partenza e forse riuscirà a strappare qualche favore dal collega russo.
Quanto all’Ucraina, proseguono gli scontri e la parola “fine” non è ancora in vista. Quel che è certa è la determinazione dell’esercito di casa, quasi l’esatto opposto del sentimento che serpeggia tra i russi. Nulla è comunque stabilito e lo scenario potrebbe cambiare rapidamente, perché i piani militari non vengono mai sbandierati ai quattro venti e solo i fatti possono parlare.
"Le conseguenze di un'implosione russa sarebbero estreme su tutti i piani: politico, strategico, economico e umano."
Conseguenze economiche
Eccoci di ritorno da un lungo viaggio in territorio geopolitico, pronti a concludere parlando delle conseguenze economiche della Guerra in Ucraina e della ribellione targata Wagner.
L’argomento è davvero vasto e il rischio di essere dispersivi è dietro l’angolo. In più, trattare tutte le tematiche richiederebbe probabilmente un intero libro. Faremo quindi una panoramica, concentrandoci su alcune questioni piuttosto importanti: gli investimenti in Russia, petrolio e gas e lo stato generale dell’economia del Paese.
Investimenti stranieri in Russia
Il tema investimenti è forse quello che meglio rappresenta la situazione russa dallo scoppio della guerra, avvenuto il 24 febbraio 2022.
Fino a pochi anni fa, il Paese era un mercato promettente per le imprese straniere, che molto volentieri investivano al suo interno. Dopotutto la Russia è uno Stato ricco di risorse, nonché un mercato di tutto rispetto: oltre 143 milioni di abitanti. Da tenere inoltre presente che spesso entrare in Russia consente di avvicinarsi anche ad altri Paesi a essa vicini. Insomma, ci sono davvero tanti interessi che portavano gli stranieri a sbarcarvi.
Tra le varie reazioni alla guerra, sicuramente le sanzioni sono tra quelle più rilevanti utilizzate dall’Occidente. Anche in questo caso dovremmo aprire molte parentesi riguardo i limiti di questo strumento, i sotto mercati che si sono creati per aggirarle e, comunque, i settori maggiormente colpiti (perché nonostante i limiti, gli effetti ci sono eccome). Ad esempio, nel Paese mancano pezzi di ricambio per componenti come rotori degli elicotteri da guerra e dei motori jet. Inoltre, dovremmo chiamare in causa anche gli effetti su chi attua le sanzioni, perché perdere un partner commerciale come la Russia non è semplice (e l’Italia lo sa bene).
Però, gli effetti delle sanzioni di cui vorremmo parlare ora si riferiscono a un dato in particolare: gli Investimenti Diretti Esteri (IDE). Questo dato non ha bisogno di presentazioni e rappresenta proprio ciò che il nome suggerisce.
Nel 2013, il numero superò i 50 miliardi di dollari, per poi scendere drasticamente; tuttavia, esso restò sempre positivo, arrivando a circa 38 miliardi nell’anno precedente alla guerra (2021).
Dopo lo scoppio del conflitto, il 2022 ha segnato non solo una diminuzione drastica, ma l’ingresso in territorio negativo: -18 miliardi di dollari, il che significa che gli stranieri non si sono limitati a fermare gli investimenti, ma hanno riportato a casa una cifra di tutto rispetto.
Andando ancor più indietro nel tempo, negli anni precedenti ai Dieci, la Russia vantava numerosi progetti di investimento provenienti dall’estero. Il record del 2008 (ben 508 progetti) fa a botte con il minimo storico del 2022: solo 13.
Dal 14 al 17 giugno, San Pietroburgo ha ospitato il Saint Petersburg International Economic Forum (SPIEF), appuntamento un tempo tra i più importanti del panorama economico mondiale. In questa sede, la Russia aveva modo di interfacciarsi con l’Occidente, presentarsi al meglio, attirare investitori e contribuire alla propria crescita.
Dall’avvio della guerra, l’unica cosa di internazionale che è rimasta allo SPIEF è il nome. Niente più premier e primi ministri europei, ma perlopiù esponenti interni.
In quest’ultimo appuntamento, i russi sono stati forzati ad aprirsi ad altri mercati, tra cui i “colleghi” BRICS, i Paesi sudamericani e quelli africani. L’idea è quella di trovare nuovi partner e avvantaggiarsi su mercati ancora non/poco sviluppati, ritenuti dallo stesso Putin “il futuro”. Resta però una grande incognita: questi Stati sono disposti ad avvicinarsi alla Russia? Se la risposta è in alcuni casi affermativa, in altri non lo è, oppure resta dubbiosa.
Petrolio e gas
Veniamo a una questione spinosa anche per noi europei.
Da sempre, l’Europa importa grandi quantità di gas naturale e petrolio direttamente dalla Russia. Questa soluzione è chiaramente la più pratica: se si ha come vicino di casa un grande supermercato, perché dover prendere la macchina per andare a fare la spesa? Le infrastrutture richiedono costi e tempistiche di realizzazione inferiori; lo stesso discorso vale anche per il trasporto. Oltretutto, l’instabilità di alcuni produttori (come la Libia), getta incertezze e fa avvicinare ancor di più alla Russia.
Il conflitto ucraino e le sanzioni hanno obbligato l’Europa a guardare altrove per ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia. Il rapporto è in verità di interdipendenza: con un semplice rubinetto, Putin è effettivamente in grado di tenere in scacco il Vecchio Continente, ma non avrebbe vita facile se decidesse di lasciarci a secco.
L’Italia è lo Stato dell’Unione a cui andava peggio, con oltre il 40% del mix energetico proveniente proprio dal gas naturale e non in grado di poterne fare a meno.
L’Europa ha sostituito il prezioso gas con quello proveniente da altri Paesi, muovendosi in maniera non totalmente coordinata. L’Italia ha guardato sia alla Norvegia che all’Algeria, acquistando contemporaneamente due navi rigassificatrici da aggiungere a quelle esistenti. In generale, l’Europa ha evitato problemi proprio grazie al gas naturale liquido, acquistato in gran quantità da Stati Uniti e Qatar.
Fonte: Consiglio europeo su dati della Commissione europea
Le proiezioni al termine del 2022 illustravano effettivamente un crollo nelle importazioni di gas naturale russo: dal 36% del 2020 al 17% circa.
La preoccupazione principale per l’Europa era quella di restare senza risorse, paralizzando la produzione industriale, i servizi e, quindi, le economie. Complice un inverno 2022/2023 mite, gli stoccaggi di gas hanno retto bene il colpo e il peggio sembrerebbe passato.
Lo scorso anno, le quotazioni dei futures sul gas naturale toccarono prezzi folli, innescando una spirale di aumenti che va ben oltre la bolletta del riscaldamento: cibo, prodotti, trasporti e molto altro ancora, in un panorama già segnato dall’inflazione.
Ai russi non è di certo andata meglio, perché la vendita del gas porta nelle casse statali enormi somme di denaro. In ogni caso, sono stati trovati dei canali alternativi che hanno evitato problemi ben più grandi.
Quanto al petrolio, continuerà a essere un punto fermo per l’economia russa, a prescindere dalle sanzioni. Il fatto è che Europa, Stati Uniti e alleati non bastano a isolare la Russia, partner di altre potenze come la Cina. Perciò, il petrolio può scorrere altrove (come mostra il grafico qui sotto); addirittura, passando da varie mani e Stati, alla fine potrebbe comunque finire nei serbatoi delle nostre automobili.
Fonte: IEA 2023; Russian total oil exports, January 2022 – January 2023, link, License: CC BY 4.0
Lo stato generale dell’economia russa
Concludiamo con una fotografia sull’economia russa.
Grazie alle sue risorse, sicuramente il Paese potrà reggere diversi anni al parziale isolamento messo in atto da Stati Uniti, Europa e altri alleati. Inizialmente ci si aspettavano default e crolli perché, dopotutto, le sanzioni messe in campo sono le più severe a memoria d’uomo. Il gigante ha però retto l’urto e ormai la sua caduta è diventata improbabile, almeno non negli anni più vicini.
La Russia ha saputo adattarsi e prosegue in questo senso. Se all’inizio le sanzioni hanno certamente colpito, ormai sono diventate parte della nuova normalità. Ecco quindi che i russi cercano nuovi mercati, partner commerciali e vie di accesso ai prodotti ora proibiti e negati.
In questo scenario, i mercati secondari, siano essi neri o legali, stanno vivendo un periodo florido. Passando da alcuni Stati che “mettono un piede in due scarpe”, la Russia riesce ad avere accesso a determinati prodotti. Ad esempio, la rivista Politico ha di recente pubblicato un’intervista al coordinatore alle sanzioni americano in cui si sostiene che alcuni microchip e circuiti sono tornati a fluire regolarmente verso la Russia. Non è un caso se circa 4 droni russi su 5 abbattutti dagli ucraini contengono componenti Made in the USA.
L’Occidente ha davanti proprio questa sfida: riuscire a rendere le sanzioni più efficaci anche impedendo che vengano aggirate mediante terzi. Anticipiamo che questa cosa è pressoché impossibile.
In ogni caso, la Russia ha comunque un grande problema di importazioni e non riesce a ottenere tutto quello che le manca, soprattutto quando si tratta di componenti non di semplice fattura; è palese che ci sono criticità in quest’area, manifestate anche dallo stesso Prigozhin prima della ribellione.
L’adattamento della Russia a questo panorama porta però significativi effetti collaterali, ancora non visibili ma pronti all’orizzonte. Vero: petrolio e gas si vendono comunque e le entrate non mancano. Però, l’economia del Paese è sempre più di guerra e mette da parte ciò che davvero conta: lo sviluppo tecnologico e industriale, la preparazione verso le sfide del futuro e il poterne cogliere le opportunità.
Quando uno Stato si chiude in un’economia di guerra, il lavoro non manca. Il problema spunta però quando il conflitto termina: mentre gli altri sono andati avanti e hanno investito su sé stessi, ecco che ci si ritrova arretrati e con un gap difficilmente colmabile.
Conferme su questa tesi arrivano anche dai dati. Il PIL russo è in crescita e quest’anno dovrebbe collocarsi tra lo 0,5 e il 2%. Le industrie lavorano a pieno regime, spinte però dalla produzione militare. Quando abbiamo a che fare con carri armati e munizioni, il prodotto interno lordo non è un indicatore valido; al contrario, esso nasconde le criticità che presto si faranno sentire.
Oltretutto, senza investimenti verso il futuro, il popolo non può di certo sperare nel miglioramento delle condizioni di vita. Appare invece certo un abbassamento della qualità, con tutto ciò che ne consegue.
Su Wilson Center, il ricercatore e politologo russo Kirill Rogov utilizza un’interessante metafora medica per descrivere la situazione russa. Egli sostiene che la vendita di petrolio e gas porta denaro utile a mantenere attiva la produzione bellica, potendo così proseguire nel conflitto. Però, questa apparente salute produttiva è come l’anestesia: finché è in circolo, non si sente alcun dolore; se è totale, neppure ci si accorge di ciò che ci circonda. Al risveglio, o al termine degli effetti, ecco però che arriva il malessere. Di fatto, la Russia è sotto anestetico e sta ritardando il dolore; con la grande differenza, rispetto a un essere umano, di non poter prendere una pastiglia per ridurlo.
Il deficit pubblico russo aumenta di continuo: dal 2% del PIL di maggio, siamo già saliti a oltre il 2,3 percento. Per bilanciare i mancati introiti del settore energetico, il governo imporrà nuove tasse proprio ai giganti di questo settore.
Inoltre, le compagnie straniere rimaste sul territorio russo e che desiderano andarsene, dovranno cedere i propri possedimenti a prezzi ridicoli, o quantomeno donare cospicue percentuali allo Stato.
Pare quindi che si stia cercando di rastrellare il più possibile, sperando poi (presumibilmente) in una rapida soluzione del conflitto.
In tutto ciò, le manovre della Banca Centrale russa hanno riportato la mostruosa inflazione entro dati decisamente più sostenibili. Tuttavia, il difficile contesto economico potrebbe riservare grossi problemi futuri.
Infine, il Rublo, la valuta locale, sta costantemente perdendo forza contro il dollaro e andrebbe tenuto attentamente monitorato. Su questo trend, la rivolta della Wagner non ha di certo contribuito a miglioramenti.
Conclusioni
Sin dall’alba dei tempi, gli Stati giocano la loro partita senza fine.
Da un lato il blocco euro-americano a mettere sempre più pressione sui confini russi con l’espansione della NATO a est, che coinvolge molti ex membri del Patto di Varsavia.
Dall’altra parte della barricata, una Russia in difficoltà ma comunque determinata.
In questo “gioco”, alcune mosse apparentemente geniali si rivoltano contro e portano effetti imprevedibili. È proprio il caso della Guerra in Ucraina.
Inoltre, la Russia deve fare i conti anche con la crescente disparità nel rapporto con il suo grande vicino di casa e partner: la Cina. Qui, l’indebolimento dovuto al conflitto ha acuito il trend già in corso.
La rivolta della Wagner, per quanto breve, avrà effetti nel corso del tempo, perché ha mostrato apertamente le divisioni interne, aggravando ulteriormente la posizione russa.
Dalle relazioni internazionali alla politica interna, dall’economia fino al lato umano, ancora una volta la geopolitica mostra che tutto è connesso e gli errori costano caro.
Risorse per approfondire: