Tasse crypto e Bitcoin nel mondo: ECCO dove si paga MENO!
Di Davide Grammatica
L’aumento dell’aliquota sulle plusvalenze crypto al 42% in Italia è in sostanza un primato mondiale: ecco quanto si paga all’estero
L’Italia anti-crypto
Un aumento del 61% in un solo anno fiscale. È quello che si desume dal disegno di legge di bilancio 2025 discusso nei giorni scorsi al Consiglio dei Ministri e ora in Parlamento, per un’operazione che ha scosso l’intera community crypto italiana portando l’aliquota sulle plusvalenze dall’attività in criptovalute dal 26% a 42%.
La nuova tassa è, di fatto, la più alta al mondo. E le conseguenze sono facili da immaginare. Gli investitori potrebbero finire per utilizzare piattaforme no-kyc e non dichiarare in numero ancora maggiore di quanto non accada già ora. E quelli che pure avevano le migliori intenzioni potrebbero essere indotti a migrare i propri capitali all’estero, modificando la residenza fiscale e provocando, quindi, un gettito fiscale addirittura minore di quello preventivato dal governo.
A maggior ragione se condizioni molto più favorevoli vengono offerte da giurisdizioni dietro l’angolo, che quindi non costringono gli investitori a trasferirsi nelle Isole Cayman o in Malesia.
Di fatto, condizioni migliori di quelle che si prospettano in Italia si trovano in ogni parte d’Europa, come svela Protos.
Una panoramica sulla tassazione europea
In Germania l’aliquota potrebbe sembrare più alta di quella italiana (45%), ma ci sono pochi semplici criteri da rispettare per ottenere aliquote più basse o addirittura nulle. I profitti realizzati a oltre un anno dall’acquisto, per esempio, sono tassati allo 0%.
In Francia l’aliquota sulle plusvalenze per trader “occasionali” (ovvero chi non lo fa di professione) è del 30%, mentre in Spagna si spinge massimo fino al 26%. In Austria la tassa sulle crypto è del 27,5%, e riguarda diverse operazioni (non solo la vendita, ma la spesa, in certi casi).
Più a nord, in Finlandia, l’aliquota sui gain varia dal 30% al 34%, mentre in Polonia è in vigore una flat-tax del 19%. In UK, fuori dall’Ue ma sempre in zona euro, i profitti sono tassati dal 10% al 20%.
In Svizzera, Slovenia (in molti casi) e Malta un passo dall’Italia, le imposte sulle crypto non le hanno nemmeno. Per evitare di pagare le tasse non servirebbe quindi prendere un aereo e trasferirsi in Bielorussia, a Hong Kong, a Singapore o negli Emirati Arabi Uniti, ma semplicemente spostarsi di qualche chilometro passando per lo Spluga o per la Valle d’Isonzo. Del resto, solo gli Stati Uniti tassano i ovunque risiedano, a meno che rinuncino alla loro cittadinanza.
Senza contare, poi, che i paesi che non impongono alcuna tassa su questi asset lo fanno appositamente per attirare i capitali degli imprenditori, scommettendo sullo sviluppo di una tecnologia emergente e potenzialmente impattante dal punto di vista sociale (a partire dai posti di lavoro creati).
La media europea risulta essere intorno al 15%-20%. Già ora quindi, la tassa italiana sulle crypto sarebbe al di sopra di essa, per un primato vero e proprio raggiungibile con l’approvazione del ddl di bilancio 2025.
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