3 min read 01 Mar 2022

Tra Ucraina e Russia, il ruolo della decentralizzazione

Volente o nolente, Bitcoin è finito al centro dell’attenzione nel più ampio contesto del conflitto tra Ucraina e Russia. Ma quali sono le prospettive?

Tra Ucraina e Russia, il ruolo della decentralizzazione

Bitcoin al centro degli eventi

Il dato più rilevante di questa giornata è il fatto che Bitcoin si sia posizionato al di sopra del Rublo russo nella classifica mondiale delle valute a maggiore capitalizzazione. 

La circostanza è causata in primo luogo dal clamoroso crollo della valuta russa, ai minimi storici degli ultimi 30 anni, ma d’altra parte anche dal netto recupero registrato da BTC.

E i due dati, seppur non legati direttamente, sono un sintomo di come gli eventi geopolitici stiano giocando a favore del mondo crypto, da svariati punti di vista. 

Partendo dal fatto che le criptovalute sono diventate il principale canale per chi volesse contribuire in qualche modo alla causa del popolo ucraino, veicolata in questo senso dal suo stesso governo. Ma vale in uguale maniera anche per la Russia, che potrebbe beneficiarne allo stesso modo. 

Se l’Ucraina ha potuto godere di un’ampia disponibilità di fondi umanitari veicolati dalla community crypto, la Russia, sotto un’altra prospettiva, sta già sfruttando BTC perché i cittadini possano ripararsi in qualche modo dalla svalutazione della propria valuta. E lo stesso Putin, lo scorso ottobre, preannunciava la possibile implementazione delle criptovalute per trasferire fondi da un luogo all’altro nel contesto del commercio internazionale.

La neutralità di Bitcoin, tuttavia, in questo panorama di eventi incontra le sue prime idiosincrasie, dovute alla sua natura e da ciò che ne deriva. 

Partendo, per esempio, dalle parole di Mykhailo Fedorov, vice primo ministro dell’Ucraina, che ha invitato gli exchange a congelare gli indirizzi di tutti gli utenti russi, per aiutare l’Ucraina a difendersi dall’invasione. E, più nello specifico, di bloccare l’accesso alle criptovalute ai politici russi e bielorussi, oltre a “sabotare” gli utenti ordinari.

Perché, seppur neutrale, Bitcoin è ormai diventato un veicolo di supporto finanziario fondamentale per entrambe le parti coinvolte nel conflitto.

Decentralizzazione, Cex e sanzioni

Le conseguenze potrebbero essere molte e imprevedibili, ma qualcosa si sta già muovendo. E la cosa certa è che la decentralizzazione delle criptovalute andrà a scontrarsi con tutte quelle parti in gioco che vorranno limitarne gli effetti.

Anche in altri contesti, infatti, ci sono già stati episodi in cui enti regolatori hanno cercato di limitare i campi d’azione di Bitcoin. Uno su tutti, molto recente, quello delle manifestazioni in Canada, in cui il governo ha congelato con successo le transazioni da fondi provenienti da exchange centralizzati. 

E allo stesso modo, la richiesta del vice primo ministro Fedorov è inquadrata da alcuni come antitetica alla promessa di accesso universale e di neutralità delle criptovalute. 

Le regolamentazioni giocheranno un ruolo fondamentale ma, a breve termine, la variabile più significativa è rappresentata dalle sanzioni dell’Occidente nei confronti della Russia. Queste sono la vera mina vagante per tutto il settore crypto, e la previsione sulle conseguenze può spaziare di parecchio. 

La testata Bloomberg ha riportato, in questo senso, la richiesta degli Stati Uniti ai Cex di tutto il mondo di impedire che la Russia possa, tramite i loro servizi finanziari, aggirare le sanzioni economiche (una tra tutte, l’esclusione dal circuito Swift).

Il presidente Biden, come si riporta, è infatti convinto che le criptovalute possano essere sfruttate in maniera massiccia per eludere i sistemi finanziari adibiti alle sanzioni. Tanto che la stessa versione finale dell’Esecutivo, che entra in vigore il 1 marzo negli Usa, vieta specificatamente “transazioni o operazioni ingannevoli o strutturate per eludere le sanzioni statunitensi, anche attraverso l’uso di valute o beni digitali o l’uso di beni fisici”. 

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