La bolla delle dot-com: quando Internet fece tremare Wall Street
Di Gabriele Brambilla
L’euforia di Internet che negli anni ’90 travolse Wall Street offre un prezioso promemoria anche per il presente: scopriamo la bolla delle dot-com
Introduzione alla bolla delle dot-com
Alla fine degli anni ’90, il mondo era travolto da un entusiasmo senza precedenti.
Internet stava uscendo dai laboratori e diventava qualcosa di concreto, capace di cambiare la vita quotidiana, il lavoro e perfino il modo di comunicare. Il futuro sembrava arrivato all’improvviso e si fantasticava sulle possibili applicazioni di questa rivoluzione che, effettivamente, oggi fanno parte delle nostre vite.
In quel clima di eccitazione tecnologica e fiducia nel futuro nacque una delle più grandi bolle speculative della storia: la bolla delle dot-com.
Scopriamola in questo breve racconto e capiamo perché oggi può essere un prezioso promemoria per evitare di cadere nuovamente nella trappola.
Indice
L’euforia di un nuovo mondo
Tra il 1995 e il 2000, la rete cresceva a un ritmo vertiginoso. Bastava aggiungere “.com” al nome di un’azienda per attirare milioni in capitali, anche senza un prodotto funzionante o un modello di business sostenibile. Start-up sconosciute si quotavano al Nasdaq e nel giro di poche ore il loro valore raddoppiava o triplicava.
In internet si possono trovare tantissime testimonianze di quel periodo. Nuove società tecnologiche con investimenti da capogiro che, nella realtà, non erano altro che un insieme di programmatori campeggiati nel salotto di un’abitazione californiana, che dormivano in un sacco a pelo e programmavano giorno e notte. Un clima elettrizzante ed eccitante, in cui però era davvero facile non distinguere più quale azienda avesse reale valore e quale fosse una grande farsa.
Le venture capital e i piccoli investitori si contendevano le nuove stelle di Internet, convinti che il futuro non potesse che essere digitale. Il problema è che molti di questi progetti si basavano su aspettative, non su profitti reali. Il caso di Pets.com, un sito che vendeva cibo per animali online, è rimasto emblematico: dopo una quotazione iniziale trionfale nel 2000, chiuse i battenti in meno di un anno.
In quegli anni bastava una presentazione PowerPoint e un’idea vaga per raccogliere milioni. Si respirava la stessa euforia che precede ogni grande bolla finanziaria: la convinzione che “questa volta è diverso”. Come ben sappiamo, le cose seguirono invece il classico copione.
"Start-up sconosciute si quotavano al Nasdaq; il loro valore schizzava alle stelle in poche ore"
Il boom dei mercati
A incarnare quella corsa al nuovo mondo digitale era il Nasdaq, l’indice tecnologico per eccellenza. Tra il 1995 e il marzo del 2000, il suo valore passò da circa 1.000 a oltre 5.000 punti, una crescita del 400% in soli cinque anni.
I media parlavano di una nuova economia dove le vecchie regole della finanza non valevano più. Gli analisti giustificavano multipli assurdi e valutazioni scollegate da ogni logica contabile. L’obiettivo non era più la redditività, ma la quota di mercato, il traffico web e il potenziale di crescita. Tutto era accettato, purché suonasse rivoluzionario.
Dietro quella frenesia c’era un meccanismo psicologico semplice: la paura di restare indietro. Eh sì: la cara vecchia FoMO di cui sentiamo parlare spesso anche oggi. Fondi, istituzionali e investitori retail compravano azioni tecnologiche solo perché tutti lo facevano.
Come accade spesso, l’euforia finì per offuscare il buon senso. Il patatrac si stava avvicinando e nessuno (o quasi) poteva vederlo.
Approfondisci: che cos’è il Nasdaq
Lo scoppio della bolla dot-com
Nel marzo del 2000, il castello iniziò a crollare.
La Federal Reserve, preoccupata per un possibile surriscaldamento dell’economia, aveva iniziato ad alzare i tassi d’interesse. Gli investitori cominciarono a chiedersi se le valutazioni stellari avessero davvero senso.
Il risultato fu un crollo epocale, di quelli che fanno parecchio male. Il Nasdaq perse quasi l’80% del suo valore in due anni, trascinando con sé migliaia di aziende che chiusero i battenti. Interi fondi di investimento sparirono e milioni di piccoli risparmiatori videro i loro capitali svanire nel nulla.
Il sogno digitale sembrava finito. Ma in realtà, sotto le ceneri della bolla, stava nascendo il futuro che oggi conosciamo.
A distanza di molti anni, sappiamo che le aziende realmente valide sopravvissero a questo periodo difficile. Certo, ebbero le loro difficoltà, ma riuscirono ad archiviarle. Oggi, diverse di queste società sono delle leader di mercato, a testimonianza che il valore è stato effettivamente premiato. La grande bolla dot-com e il crollo fecero da “filtro” per tutto il resto.
Conseguenze e lezioni apprese
La bolla delle dot-com fu un bagno di realtà per i mercati e per l’economia americana. Da quella crisi emerse un principio chiaro: la tecnologia può cambiare il mondo, ma non può sostituire i fondamentali economici.
Come dicevamo poco sopra, nonostante il disastro alcune aziende sopravvissero e divennero giganti. Amazon, che nel 2000 perse oltre il 90% del suo valore, tornò a crescere costruendo un modello di business solido. Google, fondata nel 1998, divenne il simbolo di una seconda generazione tecnologica, meno euforica ma più concreta.
La lezione? Le innovazioni vanno comprese, non idolatrate. I mercati, anche quando inseguono sogni, finiscono sempre per tornare alla realtà.
A più di vent’anni di distanza, il copione non è poi così diverso. Criptovalute, intelligenza artificiale, startup “unicorni” e settori emergenti come il metaverso hanno mostrato negli ultimi anni le stesse dinamiche di allora: entusiasmo, afflussi di capitale, storytelling visionari e poi, inevitabilmente, fasi di correzione. Nel mezzo di queste categorie sappiamo che ci sono realtà dal valore fondamentale altissimo, ma anche progetti nati sulla scia dell’entusiasmo e destinati a fallire. Il nostro lavoro è proprio questo: dare agli investitori le informazioni e i mezzi per prendere decisioni solide, che non lasciano spazio all’entusiasmo.
La bolla delle dot-com non è solo un episodio storico: è un promemoria eterno. Ogni rivoluzione tecnologica porta con sé la speranza di un nuovo inizio, ma anche il rischio dell’eccesso. Riconoscere la differenza tra progresso e speculazione rimane la sfida di ogni generazione di investitori.