Il lunedì nero del 2024
Di Matteo Bertonazzi
Lunedì 5 agosto 2024 è stato teatro di un crollo generale dei mercati in tutto il mondo, criptovalute comprese. Analizziamo quanto accaduto e capiamo cosa monitorare in futuro
Introduzione al focus on di oggi
Settimana Nera per il mercato in generale. In questo agosto che si prospettava tranquillo e all’insegna del mare e del caldo, abbiamo avuto un’inondazione di panico sui mercati e uno scottante ribasso che non si cura con il doposole.
Le domande che tutti ci poniamo sono “cosa può aver portato i mercati a soffrire così tanto in questa apertura mensile?” e “ora quali sono i dati da tenere sott’occhio nei prossimi mesi?”.
Non c’è ovviamente un’unica motivazione. Questo lunedì i mercati hanno aperto con diversi listini in doppia cifra percentuale al ribasso, criptovalute comprese, un crollo paragonato a quello dell’Ottobre 1987, il c.d. Lunedì Nero.
Anche allora i mercati faticarono a trovare una motivazione univoca: panico dilagato tra gli operatori, tassi di interesse, algoritmi di protezione e mercati asiatici furono le principali cause indicate per il crollo in percentuale più severo della storia dei mercati.
Da allora il superamento di specifiche soglie di variazione del prezzo porta all’interruzione non programmata delle contrattazioni di un titolo, ci siamo arrivati vicini questo lunedì, ma per fortuna interventi dovish da parte della BoJ e una repentina diminuzione dell’indice della volatilità hanno portato ad un rimbalzo netto.
Il pericolo è scampato? Affrontiamo le cause principali del crollo e guardiamo al futuro per capire in che contesto ci troviamo.
Questo focus on è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 9 agosto 2024. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
La questione degli utili
Il mercato soffre di aspettative, non di crescita; questa è una frase che si sente dire di recente rispetto alle quotazioni dei titoli azionari, i quali sono guidati da una crescita costante negli ultimi anni, soprattutto i comparti tech, ma non sufficienti a rispettare le attese degli investitori. Nelle giornate come quelle che abbiamo vissuto a cavallo della settimana scorsa e di quella appena passata accade che i Risk Manager dei fondi di investimento rivalutino le proprie aspettative sui mercati in base alle previsioni sugli utili e inizino a scaricare determinate posizioni che non le rispettino.
Questo porta ad un peggioramento ulteriore delle condizioni di determinati titoli e crea un circolo di feedback in cui si inasprisce la pressione di vendita sui listini.
Da qualche settimana infatti abbiamo notato uno scarico importante sui titoli tecnologici a favore delle small cap, in previsione di una riduzione dei tassi di interesse che dovrebbe favorire e dare respiro alle imprese più dipendenti dal credito.
Di seguito possiamo osservare a confronto l’indice delle aziende a maggior capitalizzazione S&P500 (in blu) e quello che invece rappresenta le Small Cap, ossia il Russel 2000 (in arancione).
Ma la rincorsa a questi tagli dei tassi non fa altro che portare il mercato ad incrementare la propria scommessa sull’uscita da questo momento di crisi. Ormai lo sappiamo: quando tutti sono posizionati in una direzione è più difficile che il mercato si comporti linearmente e senza scossoni.
Il problema della recessione
Gli ultimi dati sulle buste paga non agricole sono stati il canarino nella miniera per questo crollo, ma non sembra che tutto sommato preoccupino più di tanto gli investitori, nonostante il trigger di un indicatore di recessione chiamato Sahm Rule e basato sugli studi dell’economista Claudia Sahm. Questo indicatore, per chiarire la diatriba nata in merito, registra l’aumento del tasso di disoccupazione e statisticamente evidenzia come un’accelerazione del dato sulla mancanza di posti di lavoro preannunci una recessione.
Il fatto che i dati macroeconomici spesso agiscano in maniera non coordinata porta alla creazione di diverse correnti di pensiero. Mentre sul lungo termine le problematiche legate alla gestione del credito, all’inflazione e alla stabilità dei mercati sono sfide e temi su cui si può trovare un maggiore accordo tra gli investitori, sulle visioni di breve termine nascono spesso divergenze.
Per questo sentirete parlare di recessione in arrivo e contemporaneamente di economia americana forte, di imminente taglio dei tassi di interesse per salvare i mercati e di tassi alti più a lungo, la verità è che in questa situazione non si può far altro che seguire i dati passo dopo passo e reagire a quello che essi ci dicono.
Una recessione non è un interruttore che viene acceso o spento arbitrariamente, ma un processo: un ciclo auto-rinforzante di indebolimento della spesa, dell’occupazione e del reddito, solitamente innescato da condizioni finanziarie difficili come alti tassi di interesse, una stretta creditizia, o uno shock esterno che porta i mercati a dover ridimensionare l’equilibrio tra domanda e offerta.
Guerra psicologica e mediatica
A mantenere i mercati in un clima di allerta sono le continue tensioni sui fronti europei e mediorientali, con continue prese di posizione mediatiche, attacchi a capi politici e militari e veri e propri raid.
Non sprecheremo molte parole su questo paragrafo, non perché non riteniamo sia importante (è forse il catalizzatore più rilevante del periodo storico in cui ci troviamo), ma richiederebbe una quantità di introduzioni e rimandi ad avvenimenti passati che ci porterebbe via tutto il weekend per scriverlo e per leggerlo, oltre che farci passare la voglia di andare in vacanza in Egitto.
A parte gli scherzi, ai più attenti non saranno passate inosservate le minacce di attacco e le mobilitazioni da parte dell’Iran, la fornitura di armamenti e tecnologie antiaeree da parte degli alleati asiatici oltre che agli spot mediatici in cui si ritraggono distruzione e atti bellici con forti parole nei confronti di Israele. La quale non è di certo una vittima sottomessa in questo scontro, le tragedie umanitarie e la potenza militare dello stato ebraico sono indiscusse e il conflitto armato continua a dilagare.
Ciò che tutti scongiuriamo è l’intervento ed espansione di questo conflitto; Stati Uniti, Cina, Russia, Emirati, India sono tutti paesi con interessi radicati nella zona. Entreranno in guerra aperta? Questa domanda spaventa i mercati e tiene l’indice della paura in uno stato di nervosismo, pronto ad esplodere da un momento all’altro.
Differenziale sui tassi d'interesse
Per concludere la nostra analisi parliamo ora delle operazioni di politica economica del Giappone e delle conseguenze che queste hanno avuto sul posizionamento degli operatori internazionali.
A causa di un ampio differenziale tra i tassi di interesse negli ultimi anni tra lo Yen e le altre valute, gli investitori si sono posizionati short sulla valuta giapponese a causa della pressione imposta per lungo periodo dalla BoJ. Come sappiamo i tassi a zero svalutano la moneta in quanto ne favoriscono la circolazione.
Inoltre l’aumento delle differenze di rendimento ha portato gli speculatori a prendere in prestito Yen per investire in asset con maggiori rendimenti, così da ottenere un guadagno dato da prestito a costo zero.
Se prendo un prestito su cui non pago interessi e investo quel denaro in asset che generano rendimenti, ottengo un guadagno netto se riesco a coprire la differenza tra le valute coinvolte.
Questa operazione è chiamata Carry Trade e porta guadagni fintantoché il prestito iniziale rimane a costo zero. Da quando la Banca centrale giapponese ha annunciato l’aumento dei tassi dello 0,25% dopo decenni prossimi allo zero, gli investitori esposti al carry trade hanno iniziato il c.d. processo di deleveraging, chiudendo le posizioni aperte grazie allo Yen e ripagando il debito.
Secondo i dati della CFTC, al 1° luglio i fondi speculativi e altri investitori avevano contratti di opzioni contro lo yen per un valore di 14 miliardi di dollari, ma la settimana scorsa le posizioni si erano ridotte a circa 6 miliardi di dollari.
Non affrettiamoci ad una caccia alle streghe, come sempre le relazioni tra i mercati internazionali sono più complesse di un semplice 2+2, le motivazioni del crollo di questa settimana non sono riconducibili esclusivamente alla chiusura di questo trade ma alla progressiva chiusura di diverse posizioni speculative.
Ricordando i paragrafi appena affrontati, se uniamo il ridimensionamento degli utili futuri, le tensioni geopolitche, le criticità economiche dei paesi influenti e aggiungiamo il tassello del Giappone, possiamo avere una visione più accurata dei catalizzatori del crollo.
Considerazioni finali
Per concludere l’analisi di oggi concentriamoci sui dati da tenere sotto controllo per il futuro, derivanti proprio dalle categorie affrontate.
Utili e Indici americani
La scommessa dei mercati sulla riduzione dei tassi e la ripresa di un regime monetario più accomodante si vedrà sopratutto nel comportamento dei principali indici azionari come l’SP e il Nasdaq. Osservare la tenuta dei livelli chiave di questi strumenti sarà dimostrazione del posizionamento degli operatori; una migrazione del capitale verso asset più sicuri come obbligazioni e materie prime ci dovrà mettere in allerta sul proseguimento di questi ribassi.
Inoltre, le aziende del comparto tech dovranno continuare a rispettare le aspettative sugli utili e proporre piani sostenibili per il futuro, i multipli di Earning per Share sono ancora alti, ci troviamo oltre il 25, il che significa che per rientrare del prezzo dell’azione pagato oggi dovremmo attendere 25 anni di utili; tipicamente il multiplo ideale per acquistare un’azione a prezzi scontati è intorno al valore di 15.
Dati macroeconomici
Nei prossimi mesi dovremo monitorare la direzione dei principali dati macroeconomici come il mercato del lavoro, la spesa dei consumatori, l’inflazione e lo stato della liquidità nei mercati. Un ritorno dell’inflazione verso il 2% porterà la FED a prendere finalmente la decisione di tagliare i tassi, bisognerà capire cosa può portare l’inflazione a scendere ancora, se una forte crisi sul lato del potere di spesa dei cittadini (deterioramento dei dati sul mercato del lavoro) oppure se una ripresa “naturale” del ciclo economico dovuta allo stabilizzarsi del rapporto tra domanda e offerta forzato dalle politiche economiche degli ultimi anni.
Crisi in medioriente
Il campanello d’allarme suonerà nel mondo del petrolio che, se dovesse superare quota 80 dollari al barile ci comunicherebbe un rischio di guerra, essendo estremamente sensibile alle tensioni nell’area. Dovremo monitorare il posizionamento di armamenti strategici, comunicati ufficiali e, si spera di no, veri e propri attacchi, poichè potrebbero portare ad un forte ribasso dei listini.
Differenziale sui tassi
La BoJ dovrà prestare molta attenzione al suo comportamento sui mercati. Il carry trade è già stato in buona parte smaltito e i risultati si sono visti fin da subito, ma un cambio radicale nei pezzi sulla scacchiera economica internazionale rischia di creare scompigli e inefficienze che potrebbero scatenare nuove crisi regionali e globali; sarà cruciale osservare gli annunci sui nuovi tagli e le manovre di politica monetaria.