Elezioni americane: cosa accadrà alle criptovalute?
Di Gabriele Brambilla
Le criptovalute sono tra gli argomenti centrali della campagna elettorale americana: cosa pensano i due schieramenti?
Introduzione al focus on di oggi
Eccoci all’imperdibile appuntamento con l’approfondimento settimanale della newsletter Whale Weekend!
Le elezioni americane si avvicinano rapidamente e il “cambio della guardia” tra le fila democratiche ha aggiunto ulteriore benzina a un fuoco già massivo.
L’appuntamento alle urne negli Stati Uniti è un evento che va ben oltre i confini a stelle e strisce per molti motivi, dall’economia alla geopolitica, passando dalle sempre più importanti politiche ambientali.
Il nostro settore non è di certo immune alle decisioni che vengono prese tra la Casa Bianca e Capitol Hill, anzi: gli U.S.A. sono l’economia più grande al mondo e la loro influenza può determinare il successo di un intero settore.
Le criptovalute hanno sempre mostrato una resilienza inusuale, il che ci lascia speranza a prescindere da ciò che accadrà negli Stati Uniti. Bitcoin e compagne sono asset particolari, che conservano almeno in parte la natura ribelle e anti-establishment da cui presero vita. Tuttavia, non possiamo coprirci gli occhi e tapparci le orecchie come se nulla fosse: il futuro presidente degli States (o forse sarà una presidentessa?) avrà la possibilità di dare una spinta al settore o porre dei freni.
Analizziamo quindi la situazione attuale, i punti di vista dei due schieramenti in campo e capiamo cosa potrebbe accadere in futuro.
Questo focus on è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 26 luglio 2024. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
Gli americani e le criptovalute
Cominciamo dal principio e scopriamo un po’ di più il rapporto tra americani, blockchain, coin e token.
Le criptovalute sono piuttosto popolari in America e i numeri, soprattutto per un italiano, possono lasciare a bocca aperta. Secondo una ricerca condotta dal 2021 da Security.org, nel 2024 gli adulti statunitensi che posseggono crypto sono ben il 40% della popolazione; stiamo parlando di circa 93 milioni di persone che detengono una o più coin/token, una cifra impressionante.
Il dato appena esposto è ancor più significativo se confrontato con gli anni precedenti. All’inizio dello studio, nel 2021, ci si fermava al 15%: una crescita pazzesca nel giro di 4 anni.
Questa ricerca ha però il difetto di basarsi su un campione piuttosto ristretto (<1001 partecipanti). Considerandone altre più estese, ci si aggira comunque intorno ai 50 milioni di persone. Secondo la FED, il numero si aggirerebbe invece sui 18 milioni.
I numeri sono importanti a prescindere da quale studio si avvicina di più. Resta comunque un divario enorme e sarebbe bello poter avere a disposizione dei dati più affidabili. Basandoci sui numeri e incrociandoli, ecco qualche informazione aggiuntiva.
Innanzitutto, nel tempo è andato a ridursi il divario tra uomini e donne. Queste ultime sono infatti sempre più coinvolte nelle criptovalute, un ottimo segnale data la predominanza maschile che caratterizza questo settore (ma anche gli investimenti in generale).
Parlando di asset, bitcoin conserva con distacco il primato di coin maggiormente detenuta, seguita da Ether e Dogecoin. Dietro troviamo altri grandi nomi come Solana, Shiba Inu e Cardano, in ordine variabile in base alla ricerca.
Infine, quali sono le motivazioni che spingono gli americani e le americane a investire in criptovalute? Una delle più gettonate è la diversificazione dei propri asset. Importanti anche l’interesse nei confronti della tecnologia blockchain e il pensiero generico che le crypto siano il futuro.
Grazie a questa panoramica, sappiamo che gli Stati Uniti sono un Paese aperto alle crypto, almeno a livello della popolazione. Dopotutto è scritto nella storia di questo Stato, caratterizzato sin dagli albori dall’abbraccio a innovazione e intraprendenza, prendendosi anche dei rischi. È quindi naturale che le persone siano maggiormente aperte rispetto ad altri ambienti, come ad esempio l’Italia, dove si è più prudenti e le novità richiedono anche molto tempo per essere metabolizzate.
Entriamo ora nell’ambito politico e scopriamo quali sono i punti di vista degli schieramenti in campo. Prima però una rapida parentesi sull’avvicendamento tra i candidati democratici.
Cambio della guardia: da Joe Biden a Kamala Harris
A meno di essere stati completamente fuori dal mondo, sappiamo tutti che l’attuale presidente Joe Biden ha da poco annunciato che non correrà per il secondo mandato alla Casa Bianca.
La decisione era nell’aria già da giorni e l’ufficialità è arrivata mediante una lettera firmata pubblicata anche sui canali social ufficiali del presidente, che alla fine ha dovuto cedere alle pressioni interne. Nelle ultime settimane erano infatti cresciuti i Dem che chiedevano il cambio a causa delle palesi difficoltà di Biden a parlare correttamente davanti al pubblico e sostenere il dibattito. Impietoso infatti il confronto tra il Biden di quattro anni fa e quello attuale: l’appannamento è evidente.
Via libera quindi al VP Kamala Harris, che in caso di successo potrebbe portare a casa una storica doppietta: primo presidente donna e primo presidente donna di colore. Certamente un messaggio importante in un Paese segnato dai conflitti sociali e a sfondo razzista.
Tornando alla cronaca, la candidatura non è però automatica: dovremo infatti aspettare la Convention Democratica per avere la certezza che sarà la Harris a sfidare Donald Trump alle urne (quest’ultimo già sicuro della nomina).
La mossa dei democratici ha lati positivi e negativi.
Sul primo punto, chiaramente l’attuale VP offrirà performance più lucide e sarà in grado, almeno in teoria, di metterci più energie rispetto a Joe Biden. La carta d’identità non mente: Kamala Harris compirà 60 anni a ottobre.
Tra gli aspetti organizzativi, il passaggio dei fondi per la campagna elettorale da Biden a Harris è molto più semplice rispetto a un altro candidato. Queste somme sono cruciali per portare avanti le attività promozionali e provengono da donatori di varia natura; di certo, i Dem non possono permettersi di perdere questo denaro.
Inoltre, si tratta di una figura già conosciuta e dotata di una buona esperienza politica. Non a caso occupa la seconda carica per importanza degli Stati Uniti.
Mandare avanti la Harris eviterebbe ad altri potenziali candidati di bruciarsi prima del tempo. Ci sono infatti figure nell’ambiente Dem che in futuro vedremo certamente impegnate nella corsa alla Casa Bianca; parliamo soprattutto di Gavin Newsom (attuale governatore della California), J. B. Pritzker (governatore dell’Illinois e membro della famiglia proprietaria degli hotel Hyatt), Gretchen Whitmer (governatore del Michigan, altra donna esempio di successo) e Josh Shapiro (governatore della Pennsylvania).
Ma chi correrebbe il rischio di rovinare la carriera per una rincorsa presidenziale di pochi mesi, partendo dal concetto di essere un “rattoppo”? Sembra quindi scontata la candidatura di Kamala Harris, ma potrebbe esserci comunque una clamorosa sorpresa.
L’aspetto negativo è che la VP non è stata apprezzata in questi quattro anni. I critici più accesi l’hanno giudicata non in grado di ricoprire la posizione (ricordiamo che il vice presidente è anche a capo del Senato). Di conseguenza, c’è il pensiero diffuso che la Harris non sia un nome sufficientemente forte per contrastare l’onda del Make America Great Again. Trump ha infatti dimostrato, salvo qualche episodio di appannamento, di essere ancora parecchio combattivo.
Di sicuro, molti Democratici sperano ancora nell’ingresso in politica della donna più potente e in grado di spostare gli equilibri: Michelle Obama, già First Lady per ben otto anni. Anche questa ipotesi sembra però da scartare, almeno per questa tornata elettorale. Tuttavia, fino alla convention il motto deve essere “mai dire mai”.
In ogni caso, Kamala Harris ha già incassato l’appoggio di Joe Biden, dei Clinton e altre personalità di spicco. Tra le fila dei politici attivi, aiutandoci con un articolo del The Washington Post, l’appoggio al vice presidente è questo:
- 23/23 governatori
- 193/212 house members
- 46/51 senatori
La Harris non mette tutti d’accordo, ma i numeri sono vicini alla totalità. Non ci resta che attendere gli sviluppi del caso. A questo punto, passiamo all’argomento centrale: crypto e schieramenti politici.
Democratici e criptovalute
I Democratici non si sono di certo distinti per un approccio morbido e aperto verso le crypto. Al contrario, il nostro settore è finito spesso bersagliato in questi ultimi anni.
L’attaccante principale nel corso della presidenza Biden è stato senza dubbio Gary Gensler, chairman della Securities and Exchange Commission. Gensler, investito della carica da Joe Biden nell’aprile 2021, si è distinto per una politica molto aggressiva nei confronti delle criptovalute.
Per lungo tempo, ma ancora oggi, la SEC ha provato a far rientrare coin e token sotto la sua sfera di controllo, definendole a tutti gli effetti delle security (non a caso noi di TCG ci abbiamo pure fatto una maglietta). Secondo Gensler, la paradossale eccezione sarebbe proprio BTC, il che ha sollevato ilarità nella community, che ha definito il chairman come un massimalista bitcoin.
Battute a parte, assistiamo tuttora alle sfide a colpi di cause legali tra la SEC e molti progetti del settore. Celebri le azioni che coinvolgono Ripple e Coinbase, ma nel calderone ci sono anche altri nomi illustri. In tutto ciò, la Commission non è mai riuscita a sferrare un colpo degno di nota, anzi: ne ha incassati a più riprese.
L’accanimento di Gensler e compagni ha assunto dei tratti grotteschi, portando all’azione nei suoi confronti anche il Congresso. Ecco il video dove Gensler non esce benissimo dalla sessione:
L’evento più significativo resta comunque l’approvazione dell’ETF spot su BTC, ritardata il più possibile dalla Commission. Tuttavia, quando a spingere ci sono fondi di peso come BlackRock, non è possibile dare una risposta negativa senza una motivazione valida. Spalle al muro, la SEC poté solo dire “ok, procedete”.
Spostandoci sulle figure politiche, anche Joe Biden non ha un buon rapporto con le crypto. A testimonianza di questa affermazione era la volontà di introdurre una tassazione del 30% sul mining, cosa che avrebbe senz’altro spinto le industrie del settore a migrare verso lidi più amichevoli, con un certo danno economico. Senza contare poi il recente veto espresso su una legislazione in materia che aveva già ottenuto il via libera sia alla Camera che al Senato.
Altri nomi di spicco includono la senatrice Elizabeth Warren, probabilmente la più grande nemica del comparto crypto. In questi anni ella ha costantemente attaccato l’industria, provando a costruire uno zoccolo duro di politici anti-crypto. Oppure, possiamo menzionare anche Bernie Sanders, senatore del Vermont che nel 2016 corse contro Hillary Clinton per la nomination Dem alla Casa Bianca. Insomma, non mancano gli elementi di peso, anche se per fortuna si tratta di una minoranza.
Nel complesso, l’amministrazione Biden ha danneggiato il settore delle criptovalute, che come sappiamo può essere una grande opportunità di sviluppo e guadagno per i Paesi aperti all’innovazione. Ma gli Stati Uniti, in cui le banche e il settore privato hanno un’influenza enorme e superiore a quella già alta a cui siamo abituati, non sono finora riusciti a cogliere appieno l’opportunità.
A questo punto entra in gioco Kamala Harris.
Essendo il VP in carica, il suo nome resta associato a un mandato presidenziale chiuso nei confronti delle criptovalute, su questo ci può fare ben poco. Non a caso ha già ricevuto diversi attacchi in questo senso. Tuttavia, il danno non è di certo irreversibile.
La Harris potrebbe approfittarne e cercare di ricucire i rapporti con il nostro mondo. Sarebbe una mossa intelligente sia a livello politico che pratico: l’industria cresce e si potrebbero creare molti posti di lavoro sul territorio.
Una grande opportunità sarebbe stata la partecipazione al Bitcoin2024 di questo fine settimana. Si era diffusa la voce che la Harris potesse esserci, ma in seguito la notizia è stata negata. Invece, gli altri due candidati, Trump e Kennedy, parteciperanno eccome.
Le criptovalute sono ancora un settore relativamente piccolo, ma fanno parte del mondo tecnologico. I Dem non si sono dimostrati attenti all’intero comparto Tech. Ecco perché l’apertura verso le crypto potrebbe avere un significato maggiore; non annuncerebbe solo “lavoreremo per facilitare la crescita dei progetti crypto”, ma suonerevve più come “saremo un’amministrazione innovativa, che guarderà con favore all’intero settore tecnologico e informatico”.
Le informazioni che filtrano sono contrastanti: alcune lasciano ben sperare e suggeriscono che Kamala Harris potrebbe adottare questa linea. Anche perché il Partito stesso sta andando lentamente verso quella direzione, isolando progressivamente gli anti-crypto (che non a caso sono anche i meno aperti al business). Altre, invece, dipingono uno scenario quanto meno indifferente a coin e token, il che sarebbe comunque un grave errore.
L’avvicinamento Dem degli ultimi mesi non è stato accolto con grande brillantezza: troppo evidente che si tratta di una mossa per rincorrere i Repubblicani, che si sono buttati dalla parte delle criptovalute con convinzione.
Non sarà semplice curare la ferita aperta in questi quattro anni: la Harris è chiamata a una piccola impresa.
Repubblicani e criptovalute
Sponda repubblicana: com’è l’approccio nei confronti di BTC?
I membri del Grand Old Party sono decisamente più aperti nei confronti delle criptovalute. A capitanare questa tendenza è il candidato presidente Donald Trump, che ha dichiarato a più riprese di voler trasformare gli States in un centro mondiale crypto, o qualcosa del genere. In questo senso vi è la volontà di favorire il mining, l’offerta e l’investimento in questi asset.
Come dicevamo già nel paragrafo precedente, questa è di certo una buona idea, perché si trasmette una generale apertura verso l’intero comparto tecnologico. In un Paese contraddistinto dai giganti mondiali del Tech, un approccio del genere può portare molti voti e, in seguito, denaro e investimenti.
Tra le fila repubblicane non mancano i crypto-scettici, ma ricevono meno attenzione rispetto ai colleghi Dem.
Bitcoin e le crypto hanno di recente guadagnato terreno rispetto a prima. Basandosi sui sondaggi, che danno in vantaggio Trump, il mercato sembra quindi aver già prezzato la vittoria del candidato più aperto verso il settore.
Non dobbiamo però avere la memoria corta. Trump, che parlerà al Bitcoin2024 di Nashville questo fine settimana, non è sempre stato pro-crypto. Al contrario, nel precedente mandato presidenziale irrise più volte BTC, bollando coin e token come scam.
Però, in tempi di campagna elettorale qualche voto in più fa comodo e si è ben disposti a cambiare punti di vista, fa parte del gioco, è naturale. Sia chiaro: se Trump dovesse diventare presidente e mantenesse le promesse per un ambiente crypto-friendly, investitori e addetti ai lavori sarebbero comunque contenti. Bisogna comunque sottolineare che il punto di vista dell’ex presidente era agli antipodi rispetto a oggi.
Qualche segnale di apertura era già arrivato con il lancio della collezione NFT brandizzata Trump, andata esaurita nel giro di pochissimo tempo.
In generale, il Partito Repubblicano convive con due “tratti della personalità” contrastanti: da un lato la natura conservatrice; dall’altro, l’apertura al mercato libero e alla libertà di investire e fare impresa. Abbracciare le criptovalute stona con il primo tratto, ma rientra perfettamente nel secondo. Di sicuro, ammiccare a coin e token ha fatto avvicinare al Partito molti elettori e personalità del settore.
Un’ultima considerazione che vale sia per i Democratici che per i Repubblicani: come mai si stanno aprendo alle criptovalute proprio ora?
Come dicevamo, la campagna elettorale ha certamente un ruolo importante, perché si cerca di raccogliere più consenso possibile. Tuttavia, si va ben oltre.
L’industria crypto muove ormai molto denaro e le cifre continuano a crescere. Inoltre, i giganti del settore hanno investito decine e decine di milioni di dollari (Bloomberg riporta 160 milioni) per rafforzare le posizioni dei candidati crypto-friendly. Insomma, alla fine ciò che conta è il denaro e la pressione che può generare; il comparto crypto si sta affermando come un player importante e dal peso crescente anche tra i corridoi dei palazzi governativi e legislativi.
Stime sul voto in America
I sondaggi a disposizione sono numerosi, aggiornati in continuazione e dai risultati differenti tra loro. Tuttavia, le proporzioni restano più o meno le stesse.
Al momento della scrittura, la media vede Trump in vantaggio, con il candidato Dem poco sotto. Però, l’avvicendamento Biden-Harris non è ancora stato metabolizzato del tutto e occorreranno ancora alcuni giorni per avere a disposizione più dati.
Un primo aggiornamento dal The New York Times stima Trump al 48%, con la Harris che guadagnerebbe oltre 1 punto percentuale rispetto a Biden, al 46%. Nel complesso, gli ultimi sondaggi danno Trump in vantaggio tra 1 e 3 punti, anche se in alcuni è la Harris a essere in vantaggio (44% vs 42%, Ipsos).
Questi dati valgono se non si considera il terzo incomodo: il candidato indipendente Robert F. Kennedy Jr. Includendolo, Trump è in vantaggio di 3/4 punti in quasi tutti i sondaggi, salvo uno che dà Kamala Harris a +4 punti percentuali e altri che vedono Trump addirittura al +8% (ma il campione è ridotto, circa 800 partecipanti).
Cosa possiamo trarre da questi numeri? Ecco alcune considerazioni sintetiche:
- Donald Trump resta il favorito alla Casa Bianca;
- Kamala Harris è in una posizione migliore rispetto a Joe Biden;
- Se la campagna elettorale Dem fosse svolta correttamente, magari vincendo gli importanti dibattiti, le elezioni sarebbero ancora un testa a testa;
- Kennedy può essere un “elemento di disturbo” per entrambi i candidati, soprattutto per Kamala Harris.
Chiaramente, prima di buttarsi a capofitto nei sondaggi, dovremo avere la certezza che sarà la VP a fronteggiare Trump. Appuntamento quindi alla Convention Dem di metà agosto, dopodiché ci saranno davvero fuoco e fiamme.