Elezioni USA: rendez-vous con la storia
Di Gabriele Brambilla
Donald Trump trionfa alle elezioni: a gennaio diverrà il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America
Introduzione al focus on di oggi
Ci siamo: il grande appuntamento con le elezioni americane è arrivato. Pochi giorni fa, martedì 5, si è tenuto l’Election Day, la giornata più importante per gli Stati Uniti (e in buona parte anche per il mondo) degli ultimi quattro anni.
Qualsiasi elezione è storica, ma questa per molti versi è probabilmente quella più pesante degli ultimi decenni. I motivi sono svariati: l’attuale contesto internazionale, l’economia, le sfide dell’umanità come il cambiamento climatico e tanto altro ancora.
Il focus on di questa settimana non poteva non essere dedicato alle elezioni; ecco com’è strutturato e cosa potrai trovare nei prossimi paragrafi.
Inizieremo con una breve biografia dei due candidati, Kamala Harris per i democratici e Donald Trump per i repubblicani. In questo modo saremo certi di conoscere i rispettivi tratti fondamentali. Nota: questa sezione è stata scritta prima dei risultati elettorali, quando ancora non sapevamo che i repubblicani avrebbero vinto la corsa.
Subito dopo passeremo alla campagna elettorale, ripercorrendo le tappe più significative che l’hanno contraddistinta. Tratteremo anche di bitcoin e criptovalute, a cui dedicheremo un paragrafo a parte.
Sposteremo poi l’attenzione sul sistema di voto del presidente degli Stati Uniti, che bisogna conoscere per comprendere le dinamiche di cui i giornali hanno scritto e come queste portano a vittorie e sconfitte. Anche se, vi è da dire, a questo giro ha vinto il candidato che ha collezionato più voti.
Infine, chiuderemo con i tanto attesi risultati del voto. Ricordati di seguirci su Telegram, dove pubblichiamo tutte le notizie più interessanti e utili per chi investe in criptovalute (e non solo).
Ora siamo davvero pronti a iniziare!
Questo focus on è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend dell’8 novembre 2024. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
Kamala Harris vs Donald Trump
Parliamo degli unici due sfidanti che si contendono la vittoria: la democratica Kamala Devi Harris e il repubblicano Donald John Trump. Iniziamo dalla prima rispettando l’ordine alfabetico dei cognomi.
Kamala Harris
Californiana di Oakland (a due passi da San Francisco), 60 anni compiuti da pochi giorni, Kamala Harris è dal 20 gennaio 2021 il vicepresidente degli Stati Uniti, prima donna della storia a ricoprire questa carica.
Come sappiamo, la Harris è scesa in pista pochi mesi fa, prendendo il posto dell’attuale presidente Joe Biden che, date le evidenti difficoltà e la poca lucidità, ha ceduto alle pressioni del partito ritirandosi dalla corsa.
Kamala Harris è stata un vicepresidente non attivissimo e non si è particolarmente distinta. Questa però non è una novità: in genere, i vicepresidenti vivono all’ombra del presidente e non hanno grandi possibilità di mettersi in mostra.
Tuttavia, il curriculum della Harris è di tutto rispetto: prima del posto da numero 2 del governo USA, rivestì infatti i ruoli di Procuratrice distrettuale di San Francisco, Procuratrice generale della California e Senatrice per la California. Come guida è tutta da scoprire: se sarà vittoria, saprà mettersi in mostra o farà fatica?
Se fosse eletta, Kamala Harris diverrebbe la prima donna presidente degli Stati Uniti. Inoltre, rappresenterebbe anche le minoranze in quanto di origini indiane e giamaicane. Curiosità: a fine 2021 ebbe modo di esercitare questo ruolo per una manciata di ore, mentre Joe Biden veniva sottoposto a un esame in anestesia generale.
La Harris si distingue per degli ideali progressisti sin dagli anni come procuratrice, il profilo ideale per il partito democratico dei nostri giorni.
La campagna elettorale Dem ha spaziato su varie tematiche, ma il punto centrale della discussione era l’economia. Il problema principale è che i democratici sono stati al governo negli ultimi quattro anni; difficile quindi parlare di crescita e benessere quando il recente passato è stato negativo. Altri temi caldi: sociale e questioni geopolitiche.
Donald Trump
Newyorkese DOC, 78 anni compiuti (se vincesse sarebbe il presidente più anziano all’insediamento), 45° presidente degli Stati Uniti e noto imprenditore.
Trump è sulla scena sin da giovane e per molti anni si è concentrato sulle proprie attività, soprattutto per quanto riguarda il settore immobiliare, divenendo miliardario. Inoltre, egli è anche un celebre personaggio telesivo, conduttore tra l’altro del programma TV The Apprentice. Compare in svariati film, principalmente per dei cameo; celebre quello in Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York, dove indica la reception dell’hotel al piccolo Kevin.
Donald Trump si è sempre distinto per una retorica infiammata, costantemente su di giri. Adotta politiche tipicamente conservatrici, sfociando spesso nelle discriminazioni e nel razzismo. Egli è stato condannato per svariati capi d’accusa quali falsificazione di documenti aziendali e furto di documenti presidenziali (anche top secret).
Nonostante le credenziali non di lusso, Trump ha saputo raccogliere un ampio seguito, dando vita a un’elezione tiratissima e in estremo equilibrio, facendo leva sui problemi del Paese e promettendo di “aggiustarli” tutti. I repubblicani più moderati potranno non apprezzare, ma i numeri parlano: Donald Trump funziona.
Nel corso della campagna elettorale, Trump ha portato diversi punti all’attenzione. Oltre alle criptovalute, di cui parleremo a breve, si è concentrato sulle tematiche calde quali l’immigrazione, la sicurezza e, in generale, l’economia. Il popolo arriva da anni difficili dovuti all’inflazione che, seppur rientrata, continua a incidere pesantemente sui beni di prima necessità; il candidato repubblicano ha perciò utilizzato una leva perfetta e di sicuro successo.
Recap della campagna elettorale
La campagna elettorale per le presidenziali inizia molto prima degli annunci su internet, degli spot pubblicitari e dei comizi. In America le elezioni sono uno dei momenti più attesi, vissute diversamente dagli appuntamenti alle urne a cui siamo chiamati noi italiani ed europei. Quindi, anche la campagna è differente.
Possiamo dire che, almeno dietro le quinte, i lavori iniziano anche un paio di anni prima del voto. Ma come, non si sa neppure chi sarà il candidato/la candidata e già ci si prepara? Ebbene sì. La macchina da muovere è enorme, pesante e deve coprire tutti i media, inclusi i tanti canali digitali che oggi abbiamo a disposizione. Inoltre, ci si deve anche attivare in largo anticipo per organizzare le raccolte fondi, indispensabili per poter riuscire a rispondere alla comunicazione degli avversari.
Sull’ultimo punto vale la pena riflettere. Negli Stati Uniti si spendono miliardi di dollari solo per la campagna elettorale, senza contare la tanta “manodopera” composta da volontari che fanno volantinaggio, si presentano alla porta di casa, girano in auto con il megafono e via dicendo. Una vera e propria industria del voto, senza cui un candidato non avrebbe la possibilità di reggere il confronto.
Curiosità: la campagna elettorale appena conclusa è stata la seconda più costosa della storia, con oltre 15 miliardi di dollari spesi. In verità sarebbe la prima, ma aggiustando le cifre spese con l’inflazione, la più cara resta quella del 2020.
Non possiamo quindi ripercorrere tutte le tappe di un processo così lungo e articolato. Vediamo però alcuni dei momenti salienti che hanno contraddistinto gli ultimi mesi.
Maggio 2024: le cose non sembrano mettersi benissimo per Trump, condannato a 34 capi d’accusa nella ben nota vicenda legata all’ex pornostar Stormy Daniels. Con questo evento divenne il primo ex presidente a subire una condanna penale (se qualcuno pensa a Nixon, no, fu graziato da Gerald Ford).
13 luglio: giornata storica a Butler, Pennsylvania, dove Trump scampò a un tentativo di assassinio perpetrato dal giovane Thomas Matthew Crooks. Mentre Trump teneva un comizio, Crooks tentò di ucciderlo sparando con un fucile da un tetto di un edificio vicino. Il candidato repubblicano fu molto fortunato, cavandosela con una leggera ferita all’orecchio sinistro, mentre morì una persona del pubblico, oltre a un altro paio di feriti. Crooks fu poi ucciso dai cecchini dei servizi segreti.
Sulla vicenda non sono mancate speculazioni anche complottiste e forti critiche nei confronti del servizio di sicurezza, ritenuto non adeguato e lento nei tempi di risposta.
21 luglio: altra data storica. Il presidente Biden, candidato per un secondo mandato, si ritira dalla corsa con una lettera formale, rifiutando la nomination democratica. Sappiamo che il presidente avrebbe voluto continuare, ma la poca lucidità e l’età alzarono crescenti perplessità e pressioni da parte dei democratici.
2 agosto: a pochi giorni dal ritiro di Biden, la vicepresidente in carica Kamala Harris diventa ufficialmente la candidata Dem nella corsa alla Casa Bianca.
Settembre: siamo a metà mese; Donald Trump sta giocando a golf a West Palm Beach, Florida. Il candidato repubblicano non lo sa, ma la sua incolumità è a rischio: un altro tentativo di assassinio è pronto nei pressi della buca numero 6. Questa volta però le cose vanno meglio rispetto a due mesi prima: un agente dei servizi segreti nota l’attentatore, un uomo armato di Kalashnikov, spara alcuni colpi e lo mette in fuga. Di lì a poco la polizia procederà all’arresto.
Da questo breve elenco abbiamo omesso litigi, botta e risposta e gaffe che come sempre hanno contraddistinto la campagna elettorale. Perché negli States, si sa, tutto assume i tratti di uno spettacolo e le elezioni sono un po’ come l’evento in prima serata del sabato sera, dove gli ascolti sono ai massimi e i colpi di scena dietro l’angolo.
Elezioni USA e bitcoin
Qual era il punto di vista dei candidati su bitcoin e le criptovalute? Arrivati a questo punto dovremmo saperlo, ma diamo comunque una ripassata.
Donald Trump è di certo il miglior profilo, almeno sulla carta, per un ambiente crypto-friendly negli Stati Uniti. In passato aveva deriso il settore, ma nel corso degli anni ha modificato (ribaltando) il proprio pensiero, probabilmente dopo aver compreso le potenzialità economiche (ed elettorali) dell’industria.
Il ricordo dei Trump NFT è ancora vivo ed è da dove è iniziato il perso di “bitcoinizzazione” del candidato repubblicano. Nel corso della campagna elettorale, Trump ha parlato più volte delle criptovalute, sostenendo che avrebbe fatto in modo di far crescere l’industria ed esprimendo l’intenzione di minare tutti i BTC rimanenti nei confini nazionali.
Al cambio della guardia a Washington D.C. seguono sempre tanti licenziamenti e assunzioni di personalità di spicco delle varie istituzioni, in linea con il nuovo governo. Se il presidente eletto dovesse mantenere la promessa fatta in campagna elettorale, sicuramente il numero 1 della SEC, Gary Gensler, saluterà la poltrona. A prescindere dall’orientamento politico, difficilmente ci mancherà…
Non sappiamo se con Trump le crypto esploderanno, anche perché dobbiamo tenere in mente che è un politico che, come molti della categoria, fa molti proclami, a cui però devono seguire i fatti. In ogni caso, teoricamente si tratta del miglior profilo per quanto riguarda il settore crypto.
Certa è l’ottima reazione del comparto mercoledì, con BTC a ritoccare l’All-time High sopra i 75.000 dollari. Ottime anche le performance del settore azionario, con diversi titoli e indici a segnare i nuovi massimi.
Kamala Harris partiva svantaggiata sull’argomento. Dopotutto è stata (e ancora è) la vicepresidente di un’amministrazione ostile verso le criptovalute. Era quindi difficile fare miracoli e mettersi sotto una luce positiva.
C’è da dire che è stato fatto l’errore di sottovalutare l’impatto del mondo crypto, lasciandolo fuori dal programma e menzionandolo poco e senza troppa convinzione. Solo di recente era arrivata l’apertura tanto attesa: troppo tardi e comunque troppo poco. Ma in generale, gli errori di comunicazione lato Dem sono stati evidenti: gli sforzi si sono rivelati insufficienti a tenere testa ai repubblicani, molto più pragmatici e capaci di colpire nei punti giusti.
La vittoria democratica avrebbe premiato alcune cause fondamentali, legate soprattutto alla società americana e alla geopolitica; più indietro, ma comunque importante, ci sarebbe stato l’ambiente. Con i repubblicani ci saranno dei risvolti negativi su questi punti, mentre troveremo dei benefici altrove; l’industria crypto dovrebbe essere della partita.
Il sistema di voto negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, non sempre chi prende più voti diventa presidente. Sembra assurdo, ma il particolare sistema di voto può creare situazioni in cui il candidato che riceve il maggior numero di consensi non prende il posto nello Studio Ovale. Vediamo quindi come funziona.
Innanzitutto, dobbiamo tenere presente che gli Stati Uniti sono una repubblica federale, ossia un insieme di più Stati (e un distretto) che formano un’unica entità, ma ciascuno dei quali mantiene proprie regole, confini e dinamiche.
Come dicevamo, le elezioni presidenziali non le vince necessariamente chi prende più voti. Infatti, l’appuntamento elettorale non viene trattato su scala nazionale, ma singolarmente in ogni Stato, determinando vincitore e vinti per ciascuno di essi. Per intederci: se le elezioni fossero su scala nazionale, basterebbe contare le schede e dire: Tizio ha ottenuto 1 milione di voti in più di Caio, quindi ha vinto e sarà il nuovo presidente. Invece, nella realtà la prassi è questa: Tizio ha vinto in California e Michigan, Caio in Arizona e Florida… e così via.
Ogni Stato ha una sua popolazione. In base a questo numero, vengono assegnati dei Grandi Elettori; si tratta di persone in carne e ossa (senatori, rappresentanti della Camera e delegati del District of Columbia) che votano un candidato in base all’esito delle elezioni. Chi ottiene un certo numero di grandi elettori (il numero target è 270) vince. Strutturiamo un esempio completo per capire.
La California conta 55 grandi elettori, il Texas 38, il Colorado 9, il Montana 3 e così a proseguire per tutti gli Stati.
Se il candidato 1 vince in California prende tutti i 55 grandi elettori del Paese; poco importa se il candidato 2 dovesse perdere anche solo per un voto: chi vince piglia tutto. La somma dei grandi elettori ottenuti determina il punteggio finale; dai 270 si diventa matematicamente presidente degli Stati Uniti.
Alla regola del “chi vince piglia tutto”, tecnicamente conosciuta come collegio uninominale, fanno eccezione Nebraska e Maine. Tuttavia, il loro peso è piuttosto ridotto (9 grandi elettori totali), anche se non va mai sottovalutato.
Questo sistema di voto viene talvolta criticato perché penalizza i Paesi più popolosi. Il fatto è che circa la metà della popolazione americana vive in una decina di Paesi, che sulla carta dovrebbero quindi avere più grandi elettori. Infatti, se i rappresentanti della Camera sono proporzionali alla popolazione, i senatori sono sempre due per Stato, a prescindere dalla demografia.
Nella storia ci sono stati risultati in cui il più votato non riuscì a vincere proprio per il sistema uninominale e dei grandi elettori. Il caso più recente è quello di Hillary Clinton, candidata democratica nella corsa del 2016, sconfitta da Donald Trump nonostante avesse ottenuto oltre 2,8 milioni di voti in più.
Giusto? Sbagliato? Non sta a noi giudicarlo, questo è il meccanismo di voto. Ora che lo conosci, scopriamo gli ultimi aggiornamenti sulle elezioni USA 2024.
Donald Trump vince le elezioni
Il 47° presidente degli Stati Uniti sarà il candidato repubblicano Donald Trump. L’insediamento alla Casa Bianca si terrà come di consuetudine a gennaio 2025; il mandato durerà quattro anni, gli ultimi possibili per Trump (la legge impone un limite massimo di due mandati).
Ancora una volta i sondaggi hanno sottovalutato il potere del voto popolare, che ha premiato il Tycoon. Al contrario del 2016, Trump ha vinto incassando anche la maggioranza dei voti: 73.300.000 circa contro i 69.000.000 circa dell’avversaria Kamala Harris. Alle urne si sono presentati 15/16 milioni di elettori in meno rispetto a quattro anni fa (il dato è ancora provvisorio perché devono concludersi gli spogli).
Diamo uno sguardo alla mappa degli Stati e capiamo dove è maturata la vittoria. Nota: negli States i colori sono invertiti rispetto alle nostre usanze: il rosso rappresenta i repubblicani, l’azzurro i democratici.
I Paesi ritenuti sicuri si sono dimostrati tali per entrambi gli schieramenti. California, New York, Colorado e via dicendo sono rimasti saldamente democratici, mentre Ohio, Florida e Texas hanno confermato la fede repubblicana.
Andando ad analizzare più a fondo i dati osserviamo la tendenza tipica delle tornate elettorali: i democratici vincono nelle aree dove la popolazione è più educata, mentre i repubblicani trionfano tra chi lo è meno e ha maggiori difficoltà economiche. Ad esempio, il repubblicano Texas vede rosso dovunque, a eccezione delle città, dove si alzano stipendi e titoli di studio.
La partita si è quindi giocata negli Stati indecisi, i cosidetti battlegrounds. In verità, seppur con distacchi non enormi, non ci è voluto molto a capire la direzione che avrebbe preso la tornata elettorale.
Determinanti Pennsylvania e Georgia, nel 2020 democratici ma oggi passati in mani repubblicane. E con il sistema elettorale in vigore, perdere due Stati (35 grandi elettori in totale) come questi può davvero decidere le sorti del voto.
Trump ha inoltre trionfato in North Carolina, Paese che era in dubbio e assegnava ben 16 grandi elettori. Infine, cambio anche in Nevada (6 grandi elettori) e Arizona (11 grandi elettori). La prima mappa non dà questi due Paesi in rosso perché il conteggio è ancora in corso; tuttavia, il distacco è tale da non riservare sorprese.
Risultato finale in grandi elettori: Trump 312, Harris 226. Nel 2020, Joe Biden ne raccolse 306 contro i 232 di Donald Trump.
Cosa accadrà nel futuro? Beh, difficile saperlo, quattro anni sono lunghi. Il programma di Donald Trump era definito, l’elezione è ottenuta e ora possiamo solo assistere, nel bene o nel male, alla sua presidenza. Gli obiettivi principali sono il taglio delle tasse, espulsioni di cittadini stranieri senza regolare permesso e la ridefinizione dei rapporti con i leader stranieri. Inoltre, Trump vorrebbe imporre tariffe protettive, un obiettivo che però comporterebbe un probabile aumento dei prezzi sul mercato interno.
Note finali: il Senato passa ai repubblicani, mentre la Camera resta incerta (repubblicani per ora in vantaggio). Invariati invece gli equilibri degli Stati (si votava per il nuovo governatore in 11 Paesi).
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