Mining Ethereum: perché non si fa più?
Di Gabriele Brambilla
Il Mining Ethereum è un ricordo da anni, ma perché non si fa più? Parliamone in questo articolo!

Minare Ethereum: un ricordo del passato
C’era un tempo in cui il mining Ethereum regolava il funzionamento della nota blockchain. Un giorno però tutto cambio e questo meccanismo fu abbandonato in favore di un altro più adatto ai bisogni odierni.
Capiamo cos’è il mining, come funzionava questa chain e come invece opera nel presente. Sarà un piccolo viaggio alla scoperta di tanti aspetti interessanti e spesso dati per scontati.
Buona lettura!
Due parole sul mining
Il mining è la procedura che consente alle blockchain Proof-of-Work di creare nuovi esemplari di criptovaluta. Una sorta di estrazione digitale indispensabile per il buon funzionamento del network.
Per raggiungere l’obiettivo, l’atto del mining prevede che i partecipanti debbano risolvere dei complessi calcoli matematici, con la regola del “chi arriva prima vince”. Di fatto, il primo miner che riesce a fornire la risposta corretta al quesito ha diritto a ricevere la nuova criptovaluta estratta come premio.
Tutta la procedura si svolge per un motivo preciso: il lavoro dei miner è fondamentale perché assicura che la blockchain funzioni. Tutte le operazioni comandate dagli utenti devono essere incluse in un blocco, validate e chiuse; il mining permette di raggiungere proprio questo traguardo. Per il prezioso lavoro svolto, il “vincitore” ha quindi diritto al premio, così da stimolare massima partecipazione e correttezza.
Abbiamo parlato tante volte di questo procedimento in maniera decisamente più completa: leggi subito questo articolo sul mining per approfondire.
Mining Ethereum
C’era un tempo in cui si doveva minare Ethereum esattamente come accade ancora per realtà tipo Bitcoin e Litecoin.
Il network aveva un’ampia schiera di miner e consorzi impegnati a fronteggiarsi per raggiungere il premio di una manciata di ETH. La blockchain ne beneficiava, perché manteneva un assetto decentralizzato e in grado di garantire la massima sicurezza per tutti gli utenti.
Vi era però una grande problematica: l’algoritmo di consenso Proof-of-Work, che è alla base del mining, non lascia spazio alle performance. Tutto il meccanismo che regola la vita di una chain PoW è sì molto sicuro, ma al tempo stesso pesante, penalizzando le prestazioni.
Quando analizziamo una realtà come Bitcoin, questi limiti passano in secondo piano. Ma nel momento in cui prendiamo in esame un nome come Ethereum, habitat naturale delle grandi innovazioni, tutto cambia. Come si possono ospitare ecosistemi DeFi, piattaforme di scambio NFT, RWA e tanto altro ancora con il limitatore a bloccare i giri del motore?
Negli anni, le più grandi innovazioni sono nate e si sono espanse su Ethereum. Tuttavia, la chain ha vissuto momenti di carichi estremi in cui le transazioni richiedevano parecchio tempo per giungere al completamento, a fronte di spese folli in gas fee. Ciò limitava l’operatività e creava non pochi grattacapi a investitori, trader e utenti.
Sono quindi nate soluzioni come i layer 2, che spostano il peso delle operazioni su degli appositi network. Però, non era ancora sufficiente: serviva di più.
Il team di Ethereum lanciò un programma di sviluppo che è in corso ancora oggi. Uno degli obiettivi più ambiziosi fu quello di cambiare algoritmo di consenso, optando per il più performante Proof-of-Stake. Ciò avvenne con successo nel settembre 2022, in un evento chiamato Merge.
Nel PoS non si fa mining. I validatori devono bloccare una certa somma di ETH per partecipare al processo di creazione di nuovi blocchi, inseguendo una ricompensa. Anche gli utenti normali hanno la possibilità di entrare a far parte del meccanismo mediante appositi pool.
Questo algoritmo di consenso permette di raggiungere prestazioni maggiori, a fronte di un dispendio energetico ridotto rispetto al PoW.
Comunque, se il mining Ethereum è solo un ricordo, il lavoro per migliorare continua senza sosta.
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