Perché la FED non taglia i tassi?
Di Gabriele Brambilla
Passa il tempo, ma perché la FED non taglia i tassi? Capiamo cosa c'è dietro la titubanza della banca centrale americana

La FED colpisce ancora!
Mercoledì 30 luglio, la Federal Reserve ha reso noto che non ci sarebbe stato alcun taglio ai tassi di interesse sul dollaro americano. La comunità economica e finanziaria se lo aspettava e ben pochi addetti ai lavori avevano pronosticato una sforbiciata al dato.
Ma perché la FED non taglia i tassi? Dopotutto, la BCE aveva iniziato la stagione degli aumenti in ritardo rispetto alla collega oltreoceano e oggi i tassi sull’euro sono decisamente inferiori.
Vediamo quali motivi trattengono la banca centrale americana.
Perché la FED non taglia i tassi?
Come abbiamo appena scritto, il FOMC della Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi di interesse sui livelli attuali. La lunga pausa continua da dicembre 2024, ultimo appuntamento in cui ci fu un piccolo taglio (25 punti base). I tassi sul dollaro restano quindi nel range 4,25-4,5%.
Il FOMC è riuscito a mantenere la posizione senza particolari lotte intestine e nonostante le pressioni dall’esterno. Non scordiamoci infatti che Donald Trump continua ad attaccare il chairman Jerome Powell, chiedendo a gran voce un abbassamento. Ma perché questo stallo?
Di per sé, l’economia americana ha iniziato l’anno con il piede giusto, allontanando anche lo spauracchio della recessione che tanto faceva paura. Tuttavia, la FED non sta riducendo i tassi per un semplice motivo: non ne sono chiari gli effetti.
Una banca centrale deve operare per garantire la salute di tre punti macroeconomici fondamentali: tenere l’inflazione a un tasso ridotto e sano; massimizzare l’occupazione; mantenere i tassi d’interesse di lungo periodo su un livello sostenibile.
Al momento, ci sono dei segnali economici che non convincono la FED, tra cui la domanda di beni e servizi (in calo, ma comunque positiva). In aggiunta, l’andamento altalenante dei mercati (record, calo, nuovi record) genera ulteriore confusione. A questi dati, che mostrano comunque resilienza, possiamo aggiungere anche il buon tasso di disoccupazione (4,1%) in favore del “sì” ai tagli.
Tuttavia, c’è un dato che “non fa dormire” i membri della Federal Reserve: l’inflazione. Seppur sia scesa parecchio nel tempo, essa non vuole saperne di collocarsi al famoso 2%, percentuale ritenuta sana per l’economia. Al momento ci troviamo infatti intorno al 2,7%, non lontanissimi, ma comunque neppure così vicini.
Senza dimenticare dei problemi di debito pubblico presenti nel Paese, che mettono contro il muro i decisori. Guai infatti a sottovalutare i pericoli: ci si potrebbe ritrovare in una situazione ben peggiore rispetto a quella del 2022.
Approfondisci: cosa sono i tassi d’interesse
Tagliare o non tagliare...
… questo è il dilemma!
Da un lato, alcuni esponenti della FED vorrebbero che il taglio ci fosse. Ci riferiamo soprattutto a Christopher Waller e Michelle Bowman, che spingono per iniziare ad allentare la presa.
Secondo i due membri del FOMC, i dazi non stanno spingendo l’inflazione come temevano gli esperti e il mercato del lavoro potrebbe andare in difficoltà. Quindi, sarebbe giunto il momento di tagliare i tassi d’interesse e dare una boccata d’aria all’economia.
Powell e il resto del FOMC dovranno quindi iniziare a fare i conti con delle resistenze interne, anche se nessun altro membro avrebbe manifestato interesse a dei tagli nel meeting appena passato. Addirittura, secondo le news che arrivano dagli States, c’è anche chi non vorrebbe alcun taglio per il resto del 2025.
Appuntamento quindi a settembre, mese indiziato speciale per la tanto attesa riduzione. In ogni caso, dovremo tenere d’occhio i dati, perché nulla è certo.