Read this article in English
Play to earn: la nuova prospettiva del gaming
Di Davide Grammatica
“Play to earn” (giocare per guadagnare) è da un po’ di tempo uno dei trend principali del mondo crypto, e potenzialmente potrebbe rivoluzionare il mondo del gaming. Ma è realmente possibile?
Guadagnare videogiocando
I videogiochi play to earn sono entrati a gamba tesa nel mondo crypto già da un paio d’anni, soprattutto in concomitanza all’esplosione della popolarità degli NFT, e risultando un campo di applicazione particolarmente semplice.
C’è chi dice che rivoluzioneranno il settore videoludico moderno, mentre altri rimangono scettici. In ogni caso, sembra opportuno approfondire la questione, per capire quali sono le basi di un videogioco costruito su blockchain, e che cosa può implicare l’adozione di una tecnologia del genere.
Indice
Alla base di un play to earn
Tanto per cominciare, “play to earn” indica un videogioco il cui tempo che gli si dedica può essere convertito in una forma di guadagno. E per chi se lo stesse chiedendo: sì, in questo modo i gamer possono effettivamente generare delle entrate in criptovaluta semplicemente giocando, godendo quindi, a conti fatti, di un modello di business che sfrutta la tecnologia blockchain.
Ma come è possibile tutto ciò?
In un play to earn i giocatori possono ottenere risorse in-game con un grado diverso di rarità. Possono essere skin, oggetti o carte, a seconda del genere videoludico che si sta approcciando, proprio come in qualsiasi videogioco tradizionale. Con una differenza sostanziale: tutti questi elementi di gioco, in un play to earn, hanno un valore reale, non più vincolato allo spazio digitale.
In qualsiasi momento, infatti, un giocatore potrebbe trasferire queste risorse dal gioco a un marketplace come Opensea, vendendo questi asset in cambio di criptovaluta o denaro tradizionale, a seconda delle condizioni.
Altra caratteristica fondamentale, e non di poco conto, è il fatto che un play to earn sia generalmente gestito da una governance decentralizzata, con gli sviluppatori che non hanno pieno controllo sul titolo, se non nelle sue fasi iniziali.
"Con una differenza sostanziale: tutti questi elementi di gioco, in un play to earn, hanno un valore reale"
Le ricompense dei play to earn
Le risorse del gioco, come si accennava, sono distribuite tra gli utenti, che participano attivamente anche all’economia che regge il titolo, generando valore non solo per sé stessi e per gli altri giocatori, ma anche per gli stessi sviluppatori.
La formula consiste nell’unire l’intrattenimento alla possibilità di avere una ricompensa, che a sua volta, essendo una criptovaluta, attira verso di sé particolari attenzioni da parte dei gamer, che possono trovare un luogo in cui coniugare il piacere con un’esigenza reale.
Ma a prescindere dalle motivazioni di un videogiocatore, come funziona effettivamente un play to earn? Come ottiene il suo scopo? In generale, un videogioco costruito su blockchain premia i giocatori con piccole quantità di criptovaluta ottenibile tramite gli obbiettivi messi a disposizione dal gioco stesso.
Questa criptovaluta è anche tipicamente “nativa” del gioco, ovvero creata appositamente dagli sviluppatori. Funziona come una tipica valuta in-game, come i crediti di FIFA quando si gioca a FUT (Fifa Ultimate Team) o le monete di un qualsiasi gioco di ruolo RPG o MMO (come Final Fantasy, Skyrim o World of Warcraft), ma con la differenza, appunto, che in questo caso si tratta di una criptovaluta, quindi non vincolata al gioco ma convertibile in qualsiasi momento in un’altra crypto o in valuta fiat. Un valore reale, insomma.
Gli esempi virtuosi di play to earn
Pensiamo all’esempio più famoso (o semplicemente uno dei più rappresentativi, mettendo da parte le difficoltà vissute): Axie Infinity. Come la maggior parte dei play to earn, questo titolo è caratterizzato da una tokenomics a doppio token. Uno in-game, Smooth Love Potion (SLP), che consiste nel raccogliere in sé stesso le ricompense derivate dal gaming, e uno di governance, ovvero Axis Infinity Shard (AXS).
A oggi, la coin nativa del progetto non copre il ruolo di effettivo token di governance, e le sue funzioni sono limitate, ma il proposito è quello di portarlo a gestire la community, che si regolerà in futuro come una vera e propria DAO (decentralized autonomous organization). Per ora, il token AXS è sfruttato per pagare le commissioni sulla riproduzione degli Axie tramite “accoppiamento”, una specifica modalità di gioco, e per l’acquisto di oggetti in-game particolari.
La popolarità del gioco, poi, ha portato AXS ad essere disponibile sulla maggior parte dei CEX del mondo crypto, da Binance fino a Huobi Global, lasciando fuori dal giro praticamente il solo Coinbase. Per non parlare dei DEX, dei quali sarebbe più breve elencare quelli che non lo offrono.
Quanto a SLP, ottenibile tramite gameplay, questo è utilizzato per conseguire i vari potenziamenti dei personaggi di gioco, e pur essendo più soggetto ad uno stato inflazionistico, data la sua funzione di “consumabile”, è anch’esso diventato un vero e proprio asset.
C’è poi SAND, il token di The Sandbox, utilizzato per le votazioni legate alla governance ma anche per ogni tipo di transazione sul marketplace. Inoltre, il token può essere messo in staking non solo per ottenere le relative ricompense, ma anche essenziali elementi di gioco chiamati “Gems” e “Catalyst”, utilizzati per creare ulteriori asset in-game. Questo processo di “gamification” non solo espande il campo di utilizzo del token, ma avvia un meccanismo di adeguamento alle caratteristiche della blockchain, semplificando dei processi che non possono che portare a una maggiore adozione di questa tecnologia.
Oppure, ancora, Decentraland, con il suo token MANA, essenziale per qualsiasi operazione che si decide di attuare sulle sue “Land”, a partire dalle stesse aste a cui è necessario partecipare godere appieno del gioco.
Allo stesso modo, la criptovaluta adottata dal play-to-earn può rientrare tra quelle tradizionali, come Bitcoin, Ethereum o addirittura Dogecoin, ma il meccanismo rimane nella maggior parte dei casi lo stesso. Ciò che è certo è che le ricompense, a seconda dei casi più o meno risicate, sono reali.
Il ruolo degli NFT
Capitolo a parte è rappresentato dagli NFT. I non-fungible-token possono essere rappresentativi di qualsiasi oggetto in-game, anche se questo scenario non si ripresenta al 100% in ogni titolo. Possono essere personaggi, oggetti, skin, terreni o, ancora, collezionabili. Ciò che li accomuna è solo la loro unicità, dettata esclusivamente dal numero di copie generate (o “mintate”) in origine. Che conseguentemente determina anche il valore dell’NFT in questione, dettato dalla rarità oltre che dalle caratteristiche.
Le ricompense, come detto, derivano direttamente dal gameplay, o meglio dal tempo di gioco effettivo. Ma in molti casi questo è proporzionale anche ad un investimento iniziale o, quantomeno, al valore totale degli asset che si hanno in possesso relativamente al videogioco che si sta utilizzando.
Ciò implica che un play to earn non sia da associarsi a un free-to-play, o almeno non nell’accezione più comune. Molto spesso un titolo di questo mercato richiede infatti ai giocatori di acquistare un NFT per poter iniziare. Succede in Sorare, in cui è necessario acquistare dei calciatori in forma di collezionabili per partecipare a determinate competizioni, oppure in Star Atlas, dove il possesso delle navicelle spaziali è la condizione minima e sufficiente per approcciarsi al gioco.
Ma non bisogna nemmeno scordarsi che “investimento” non è sinonimo di “spesa”, e che quindi qualsiasi asset in-game non solo può essere riconvertito in crypto, ma genera delle rendite in base ai protocolli adottati dal gioco.
È il concetto di proprietà, che fa in modo che lo sviluppo del videogioco non abbia nessuna influenza sugli asset in-game, non più proprietà dello sviluppatore ma del videogiocatore.
Le tokenomics dei play to earn
Ogni play to earn, come si è detto, ha la sua economia. Ed è un’economia che prende in considerazione il punto di vista degli sviluppatori, ma è determinata in ultima istanza dai giocatori, quasi fossero, effettivamente, dei partner commerciali.
A conti fatti, i videogiocatori sono proprio quelli che detengono le risorse attrattive e di valore del gioco, e sono sempre loro a ridistribuirle. Facendo ciò, creano engagement tra i potenziali giocatori, tra le varie piattaforme di scambio, e aumentano conseguentemente anche la domanda per gli NFT, da cui a loro volta dipende anche il profitto degli sviluppatori, chiudendo il ciclo.
La produzione degli NFT ha infatti un costo da tenere sempre bene a mente, e lo sviluppatore guadagna generalmente dalle commissioni di transazione, che di solito si aggira intorno al 5%. Per questo, sono proprio questi ultimi in primo luogo a dover trovare ogni via possibile per incentivare gli scambi, visto che rappresentano la loro entrata principale.
Conclusioni
I videogiochi play to earn hanno di fatto cambiato la prospettiva dalla quale si guarda il settore videoludico. Tanto dalla parte dello sviluppo quanto da quella del gamer. E questa consiste nella volontà da parte di tutti di essere coinvolti attivamente all’interno di un progetto, le cui risorse non sono consumabili ma acquisite. Oppure, in modo molto più concreto, nella possibilità di ottenere dei guadagni tramite una nuova strada.
Fa effetto, per esempio, ricordare come nelle Filippine un semplice videogioco come Axie Infinity potesse dare l’opportunità ai giocatori di raccogliere, per circa tutto il 2021, fino a mille dollari al mese: molto più di uno stipendio medio del paese. E nemmeno tramite l’acquisto preventivo di NFT, ma con il loro “noleggio”, consentito da apposite scholarship (o gilde), che hanno permesso di ottenere ricompense senza anticipi significativi.