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Shutdown USA: la nuova sfida delle crypto

Di Gabriele Brambilla

La nuova sfida per il mondo crypto si chiama shutdown: un bel grattacapo che rallenta i lavori in corso negli Stati Uniti

Shutdown USA: la nuova sfida delle crypto

Introduzione al focus on

Lo shutdown americano è una delle tematiche roventi del momento per diversi motivi. Il blocco delle attività è uno di questi, a cui si sommano però dinamiche politiche ed economiche complesse.

Pensare che le criptovalute possano essere “al sicuro” da questo evento è un errore. Non parliamo solo di eventuali implicazioni sui mercati (che con l’ATH di bitcoin sembrano non esserci), ma soprattutto sull’avanzamento delle regolamentazioni e, di conseguenza dell’integrazione di coin, token e blockchain nel mondo tradizionale.

Approfondiamo tutti questi punti per cercare di inquadrare perfettamente lo shutdown, le sue dinamiche e le implicazioni sul nostro comparto.

Che cos'è lo shutdown USA

Per cominciare con il piede giusto questo approfondimento, dobbiamo innanzitutto capire che cos’è lo shutdown, perché avviene e quali sono i precedenti storici. Andiamo con ordine.

Lo shutdown consiste nell’interruzione delle attività amministrative nel Paese. Si tratta di un procedimento previsto dalla Costituzione americana e si verifica quando il Congresso non ha i numeri per approvare la legge di bilancio. Quando ciò accade, le attività amministrative si bloccano in quanto non ottengono i finanziamenti necessari per proseguire con il normale svolgimento dei lavori.

Questa speciale procedura è prevista per legge sin dall’Ottocento e si fonda su un principio fondamentale: la spesa pubblica deve avere un dato budget approvato dall’organo legislativo. In questo modo si evitano sprechi, eccessi e imprevisti.

Da un lato, l’atto in questione ha perfettamente senso. Dall’altro però crea diversi grattacapi quando si verifica. Infatti, lo shutdown equivale proprio allo spegnimento di svariate attività e dà vita a criticità da non prendere alla leggera. Solo le attività essenziali (polizia e difesa, assistenza sanitaria, controllo del traffico aereo…) possono proseguire (a regime ridotto), mentre tutto il “superfluo” viene stoppato istantaneamente.

Una delle problematiche tocca direttamente le persone. Chi lavora nei servizi essenziali deve continuare a farlo, ma per tutto il periodo di shutdown non si riceve alcuna paga. In genere poi si fanno quadrare i conti allo sblocco, ma nel frattempo bisogna avere a che fare con gli eventuali problemi economici delle famiglie coinvolte. Considerando che l’americano medio non ha grandi risparmi da parte, possiamo immaginare quale sia lo stato attuale.

Tutto il personale delle attività non essenziali viene invece messo in congedo. Anche in questo caso non si riceve una paga (in teoria vi è la possibilità di recuperare), ma almeno si conserva il posto di lavoro.

Shutdown amministrativo

In questo specifico shutdown, l’amministrazione Trump ha rimarcato più volte l’intenzione di non voler seguire questa tradizione, minacciando licenziamenti a tappeto per sfoltire la macchina statale. Insomma, tutto in linea con quanto fatto finora (ricordiamoci dei licenziamenti avvenuti in primavera).

Al momento ci sono in congedo circa 800.000 lavoratori e lavoratrici. Stiamo già assistendo al caos, tra ritardi degli aerei, parchi chiusi, visite mediche bloccate, opere pubbliche in stop e via dicendo.

Proprio per questo motivo, dobbiamo poi considerare un altro enorme effetto collaterale: lo shutdown costa. Le attività si fermano e con esse anche l’economia rallenta. Secondo le stime, ogni giorno di chiusura costerebbe 400 milioni di dollari, a cui alla fine si sommerà una riduzione del PIL tra i 10 e i 20 miliardi di dollari. Chiaramente quest’ultimo dato dipende dalla durata del blocco.

Tra debito pubblico alle stelle, segnali di rallentamento e altri contrastanti, di certo la chiusura delle attività impatterà negativamente sui dati macroeconomici del Paese. Per non parlare dei danni sociali non quantificabili, ben più gravi di quanto si può pensare.

Storicamente registriamo poco più di 20 shutdown. Hanno coinvolto numerosi presidenti tra cui Gerald Ford, Jimmy Carter, Ronald Reagan e Barack Obama.

In genere, uno shutdown dura meno di una settimana, anche se ci sono stati casi di 2/3 settimane in tutto. Prima di Donald Trump, il record era in mano a Bill Clinton: 21 giorni, tra il 15 dicembre 1995 e il 6 gennaio 1996. Per risolvere l’impasse, Congresso e presidenza trovarono un bilancio di compromesso.

L’attuale presidente è al suo quarto shutdown: 3 giorni a gennaio 2018, 1 a febbraio 2018, ben 35 a cavallo tra 2018 e 2019 (record di sempre) e quello in corso, iniziato il 1 ottobre.

Seppur entrambe le camere siano repubblicane, mancano i numeri per l’approvazione del bilancio. La spaccatura è dovuta a divergenze tra i partiti su alcune tematiche di primo piano. Un esempio sta nel rinnovo degli strumenti di benessere sociale e sanitario, supportati dai Dem ma nel mirino della Casa Bianca.

Evoluzione dello shutdown USA

Come sono andati questi giorni di shutdown? Non bene.

Abbiamo già menzionato le centinaia di migliaia di persone a casa, in attesa di poter rientrare al lavoro. Così come abbiamo parlato di coloro che il posto potrebbero proprio perderlo.

Nella pratica, negli Stati Uniti si sta vivendo una fase molto tortuosa, con rallentamenti e stop in svariati settori, compresi quelli essenziali. Dalla sanità ai trasporti, nessuno è escluso. Come dicevamo, le attività indispensabili restano operative, ma il regime è ridotto e tutto il resto resta fermo.

Un esempio che sta facendo discutere è il settore dell’aviazione. Dati ufficiali della FAA, l’ente del trasporto aereo americano, hanno rivelato che nella sola giornata di lunedì 6 ci sono stati ben 3.000 ritardi sulle partenze in tutto il Paese. Non solo: molti voli hanno subito direttamente la cancellazione per mancanza di personale.

Gli impiegati nel settore dovrebbero comunque lavorare senza paga, ma molti hanno comunicato la malattia pur di restare a casa. Secondo i dati dell’agenzia dei trasporti, ci sarebbero anomalie con picchi fino al 50% in più di ammalati/e.

Il problema nel problema è che gli Stati Uniti stanno passando un brutto periodo per quanto riguarda l’aviazione. Mancano i controllori del traffico aereo anche senza shutdown, figuriamoci in queste condizioni. In diversi aeroporti, l’assenza di personale del controllo ha costretto ad affidare il lavoro ad altre sedi, da remoto, sovraccaricandole ulteriormente.

Proprio di recente, la sicurezza nei cieli americani è diventata un tema sensibile. Una decina di giorni fa, due aerei della Delta Airlines si sono “toccati” a terra, con gravi danni per entrambi (ma senza feriti). Si sono poi registrate mancate collisioni potenzialmente fatali, fino all’incidente di alcuni mesi fa vicino al Reagan International di Washington D.C.: uno scontro tra un aereo di linea e un elicottero militare che è costato la vita a circa 70 persone.

Lo shutdown aggiunge ulteriore pressione a un’area già in affanno. Tenendo in mente che l’aereo è un mezzo essenziale per gli americani, ritardi, cancellazioni e aumento dei rischi sono delle gravi questioni che dovrebbero essere risolte al più presto.

L’esempio del trasporto aereo è solo uno dei tanti. Potremmo infatti parlare degli interventi chirurgici posticipati a data da definirsi, delle opere messe in pausa e di tante attività che impattano direttamente sulla vita dei cittadini e delle cittadine.

Ora parliamo dei mercati.

Ok i timori e i dubbi, ma ciò che pesa maggiormente sui mercati è la mancanza di dati su cui poter trarre delle conclusioni. Lo shutdown amministrativo sospende infatti anche alcune pubblicazioni di update quali l’occupazione, l’inflazione, il mercato immobiliare e via dicendo. Di fatto, i partecipanti al mercato si muovono su un terreno meno chiaro rispetto al solito, senza solidi riferimenti.

Guardando alle performance, storicamente i mercati riescono a reagire piuttosto bene ai periodi di shutdown. Se nel corso dello stop l’andamento è più altalenante (gli indici crescono in poco più del 50% dei casi), nell’anno che segue dal termine dello shutdown vi è spesso una buona crescita (oltre il +12% di media).

Non sono mancati i casi in cui le borse hanno perso terreno, ma si tratta della minoranza.

SP 500 ottobre shutdown

Come possiamo notare sul grafico di CNBC, dal 1 ottobre l’indice S&P 500 è leggermente cresciuto. Lo stesso discorso vale per il Nasdaq Composite e il Dow Jones Industrial Average. Seppur non si tratti di performance esaltanti, possiamo dire che i mercati stiano riuscendo a gestire la situazione.

Traspare comunque un po’ di incertezza; più si va avanti, più si potrebbe peggiorare.

Chi se la passa molto bene è l’oro. Tra le solite tensioni internazionali, i dazi e le preoccupazioni da shutdown, il prezioso metallo cresce e regista il nuovo massimo storico a oltre 4.000 dollari l’oncia. Il Gold resta quindi l’asset d’eccellenza per proteggersi nelle fasi più dubbie.

Evoluzione dello shutdown USA

Criptovalute e shutdown

Lo shutdown americano può influenzare negativamente anche il mercato delle criptovalute.

Un esempio è proprio bitcoin, come mostra il grafico di CoinGecko.

Andamento BTC dal 1 ottobre

Dall’inizio dello shutdown (1 ottobre), la coin è passata da un valore di 113K agli attuali 123,5K (dato di giovedì 9, nel pomeriggio). Di mezzo abbiamo anche assistito a un nuovo ritocco del massimo storico a poco più di 126.000 dollari.

Anche tante altre coin e token di spicco si sono comportate bene, comprese Ethereum e BNB (nuovo ATH anche per quest’ultima). Insomma: per ora possiamo dire con certezza che lo shutdown USA non ha creato pensieri di questo genere. Tuttavia, al mercato non piace ciò che crea incertezza e il tonfo storico di venerdì è l’esempio perfetto di come le cose possono cambiare in un attimo.

Archiviando momentaneamente la pratica dei prezzi, un altro problema per le crypto è la sfera delle regolamentazioni. Il Senato degli Stati Uniti sta portando avanti l’iter per creare una legge sull’industria, ma lo shutdown complica un po’ le cose.

Al momento sappiamo che il Senate Banking Committee sta lavorando su una bozza del disegno di legge (pare che siano all’80/90% dell’opera). Da quel che è stato reso noto, i legislatori starebbero lavorandoci nonostante la pausa forzata. Al contrario, il Senate Agriculture Committee non ha ancora rilasciato indiscrezioni né bozze. Nota: quest’ultima commissione ha giurisdizione sulla CFTC (Commodity Futures Trading Commission) che, assieme alla SEC (Securities and Exchange Commission), sarà l’autorità di vigilanza del settore crypto.

Se i lavori comunque procedono, il problema diventano i dialoghi da tenere in aula e il voto. Per ora il percorso non sta subendo una battuta d’arresto determinante, ma più andiamo avanti nel tempo peggio sarà.

Dobbiamo considerare che elaborare e approvare un set normativo di questo tipo non è per nulla semplice. Il percorso richiederà ancora diversi mesi e tra un anno ci saranno le elezioni di metà mandato, dove i democratici potrebbero riprendere il controllo di una o entrambe le camere del Congresso. Occorre quindi accelerare la procedura, dato che il crypto bill è una delle priorità dell’attuale amministrazione.

Ma perché i democratici ce l’hanno così tanto con le criptovalute? La causa principale di questi tempi è proprio Donald Trump. Tra le memecoin $TRUMP e $MELANIA, World Liberty Financial e la partecipazione nell’attività di mining American Bitcoin, si stima che il presidente abbia guadagnato qualcosa come 620 milioni di dollari.

Secondo i Dem, il supporto alle criptovalute sarebbe un modo per mantenere una preziosa base elettorale. Inoltre, ci sono ombre sulle attività della famiglia Trump nella nostra industria: basti pensare ai sospetti di manipolazioni di mercato e insider trading.

Tornando sui binari, lo stop sull’iter legislativo negli Stati Uniti potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita non solo delle criptovalute, ma soprattutto delle società che operano nel settore. Lo shutdown ha perciò un peso che va oltre il possibile effetto sui prezzi.

Conclusioni

Lo shutdown amministrativo porta tante nuove sfide su vari fronti. Da investitori dobbiamo essere pronti ad affrontarle nella maniera corretta, ricordando che questo evento è più politico che economico.

Però, è innegabile che ci sono degli effetti (anche gravi) sul tessuto economico e sociale del Paese, con ripercussioni che possono addirittura superare i confini nazionali.

In altre parole: non dobbiamo farci prendere dal panico, ma neppure snobbare la questione etichettandola come “non importante”.

Monitoriamo l’evoluzione, soprattutto in chiave regolamentazioni crypto, confidando che l’impasse possa risolversi entro pochi giorni.

Proprio qui sta l’ultima domanda che può sorgere: quando finirà lo shutdown? Beh, vorremmo saperlo, ma non c’è risposta.

Finché il Congresso non troverà una quadra che metta d’accordo le parti, raccogliendo il minimo di voti per far passare la legge di bilancio, saremo nel limbo.

A Washington la questione ha la massima priorità e le discussioni sono serrate. Lo shutdown potrebbe cessare anche oggi: è “sufficiente” che si trovi un accordo. Il virgolettato è però d’obbligo: da un lato, i repubblicani non vogliono arretrare di un millimetro; dall’altro, almeno su alcuni punti della legge, neppure i Democratici hanno intenzione di fare concessioni.


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