Tassi d'interesse USA tagliati: e ora?

Di Gabriele Brambilla

La FED taglia i tassi d'interesse USA: che succede adesso?

Tassi d'interesse USA tagliati: e ora?

Introduzione al focus on

Oggi torniamo a parlare di tassi d’interesse americani, tema caldissimo di questi giorni.

Mercoledì 17/09, la Federal Reserve era chiamata a stabilire i nuovi tassi sul dollaro americano. Seppur sempre seguito con la massima attenzione, questo appuntamento ha ricevuto maggior risonanza dato il periodo particolare che il Paese sta vivendo.

I tassi d’interesse erano infatti fermi da dicembre 2024, su livelli piuttosto elevati. L’inflazione non ne voleva sapere di tornare nei parametri prefissati, mentre alcuni indicatori macroeconomici mostravano segnali preoccupanti. L’evento era quindi chiave e la FED aveva una bella gatta da pelare: da un lato togliere pressione ai mercati, alle imprese e ai lavoratori; dall’altro mantenere la stabilità dei prezzi. Il tutto in un contesto sempre più caratterizzato da un debito pubblico che macina record su record.

Facciamo il punto sui tassi, capiamo come le cose potrebbero evolversi e vediamo come potrebbero comportarsi le criptovalute.

Approfondisci: cosa sono i tassi d’interesse?

Il taglio dei tassi d'interesse americani

Partiamo con un chiarimento: il taglio appena avvenuto segna la ripresa di una politica monetaria espansiva, atta a stimolare gli investimenti e i consumi. Tuttavia, serviranno altri tagli per raggiungere una quota che possiamo considerare normale e, per ora, restiamo a percentuali elevate.

In condizioni ottimali, così come quando c’è l’esigenza di dare un forte stimolo all’economia, i tassi d’interesse (americani e non) si aggirano su pochi punti base. In tempi recenti, il dollaro è rimasto per diversi anni a quota 0,25% (2008-2015 e 2020-2022). L’euro ha fatto di meglio: dal 2014 al 2022, il dato si è assestato tra lo 0 e lo 0,05%.

Quando si parte da delle condizioni come quelle attuali per il dollaro, che si trovava al 4,50% da tempo, bisogna muoversi con cautela. Un taglio secco di grande portata può scuotere le basi economiche e gettare il Paese tra le grinfie dell’inflazione, che avrebbe modo di esplodere rapidamente con estrema potenza. Quindi, la FED doveva trovare il giusto compromesso.

tassi USA 5Y

Evoluzione dei tassi d’interesse americani negli ultimi 5 anni. Fonte: Investing.com

La soluzione migliore era un piccolo taglio di 25 punti base. Seppur abbia un impatto ridotto, può dare un segnale ai mercati, far prendere un po’ d’aria e, nel frattempo, verificare che i parametri macro restino sotto controllo. Vi era anche chi chiamava i 50 punti base, sicuramente più incisivi per i mercati ma altrettanto problematici da gestire lato effetti indesiderati.

Guardando indietro negli ultimi anni, ormai sappiamo bene come si sono svolti i fatti. La Federal Reserve fu una delle prime autorità a iniziare la stagione dei rialzi, così da contrastare la fiammata dell’inflazione. Tuttavia, altre banche centrali arrivate più tardi – vedi la BCEhanno iniziato a tagliare già da tempo. L’euro oggi ha dei tassi d’interesse pari a quasi la metà di quelli sul dollaro, corredati da buoni dati macro. Potremmo poi aggiungere alla lista anche la Bank of Canada, che avviò i rialzi in contemporanea alla FED, ma che oggi non è così distante dai tassi applicati dalla BCE.

Insomma: nonostante abbia giocato d’anticipo, la Federal Reserve ha avuto più problemi rispetto alle colleghe, a testimonianza delle complessità dell’economia americana, delle sue fragilità e anche del contesto politico che non agevola le cose agli addetti ai lavori. Torneremo su questo punto nel prossimo paragrafo.

Nell’appuntamento di mercoledì 17, Jerome Powell e la FED hanno rispettato la previsione più probabile: è arrivato un taglio di 25 punti base, che porta i tassi d’interesse sul dollaro al 4,25%. I mercati hanno colto bene la notizia, anche se di fatto il taglio era già stato scontato.

Il futuro non lo possiamo conoscere, ma abbiamo comunque modo di fare delle previsioni sensate. Sembra difficile che la FED andrà con il piede pesante: non dovrebbero arrivare tagli importanti in tempi brevi e molti addetti ai lavori scommettono su piccole correzioni. Infatti, l’economia ha i suoi tempi e mettere pressione può portare più danni che benefici. Ci sono però delle aperture che dicono anche il contrario; una sforbiciata di 50bps entro fine anno resta quindi sul tavolo.

Al tempo stesso, la banca centrale americana sta cambiando l’approccio, come si è notato anche durante il Jackson Hole del mese scorso. In generale, possiamo quindi aspettarci ulteriori tagli di piccola entità, magari già nel prossimo appuntamento. Le previsioni più gettonate per l’anno restano su una sforbiciata di 25bps entro fine anno, più altri eventuali tre tagli nel corso del 2026.

Il punto centrale è proprio questo: non importa quanto la FED abbia tagliato in questo appuntamento, ma quanto è stato dichiarato in seguito. Ai mercati interessava capire cosa potrebbe accadere in futuro e in che misura, così da avere maggiori certezze.

Nella conferenza stampa, avvenuta poco dopo la pubblicazione dei nuovi tassi, Powell ha definito quanto appena avvenuto un “risk management cut”. Il chairman ha sostenuto che un intervento era necessario dato il raffreddamento del mercato del lavoro, mettendo però in guardia dall’inflazione. Questa sta infatti manifestandosi in diverse categorie di beni e i dazi potrebbero complicare le cose (anche se l’impatto finora è stato ridotto).

Leggi di più: che cos’è una banca centrale?

Un'economia sotto pressione

L’economia americana vive una fase di altissima complessità.

Innanzitutto, il mercato del lavoro si sta raffreddando e inizia a esserci un po’ di preoccupazione nell’aria.

Alcuni dati restano comunque positivi: è il caso del tasso di disoccupazione al 4,3%, un ottimo risultato se confrontato a quello di altri Paesi.

Però, altre metriche mostrano una faccia differente. Emblematico il caso delle Nonfarm Payrolls, uno degli indicatori più importanti e monitorati in assoluto. Negli ultimi mesi, le NP non solo hanno costantemente performato al di sotto delle aspettative, ma lo hanno fatto davvero in grande stile. I risultati deludenti hanno portato l’economia a un livello di allerta superiore, che non può essere ignorato.

Nonfarm Payrolls USA

Nonfarm Payrolls USA, fonte Investing.com

Se il mercato del lavoro non se la passa benissimo, l’immobiliare è ancora più invischiato tra i rovi. Il comparto continua a non muoversi con la classica dinamicità a cui siamo abituati: un grande problema per un Paese in cui il mattone ha un ruolo da protagonista assoluto.

Arrivati a settembre, si attende di osservare come si comporterà la stagione del dopo vacanze, tradizionalmente positiva per la compravendita di abitazioni. In ogni caso, primavera ed estate non sono andate bene e restano le problematiche che abbiamo menzionato in precedenza: troppa domanda, scarsa offerta e mutui eccessivi che impediscono di trovare un punto di equilibrio.

Proseguendo, come ha detto Jerome Powell i prezzi sono in leggera salita. L’obiettivo dell’inflazione al 2% non è stato raggiunto e, con dei tagli ai tassi, difficilmente potrà arrivare. Ma la Federal Reserve deve pesare pro e contro, cercando di limitare i danni; come diciamo spesso quando si parla di queste tematiche, la coperta è sempre troppo corta.

La banca centrale americana dovrà essere ancora più attenta del solito, perché di fatto si camminerà sulle uova. Non tarpare le ali ai mercati, tenendo sotto controllo un’inflazione già fuori dal valore ottimale: una missione complicata da gestire.

Il vero problema degli States è però l’incapacità politica generale di affrontare tematiche fondamentali. Ci riferiamo soprattutto al debito pubblico, sempre più elevato e pressante sulle spalle degli americani.

Al momento, il national debt USA è pari a quasi 37.500 miliardi di dollari. Il debito distribuito per cittadino è di 109.000 dollari.

Per confrontare quanto sia sfuggita di mano la questione, basta dare uno sguardo al rapporto debito/PIL: nel 1980 era del 34,67%; nel 2000 del 56,17%; oggi è del 123,88%, destinato a crescere. Si può osservare l’evoluzione live del debito su questo portale.

L’indebitamento è la chiave e dovrebbe avere la massima priorità nelle policy. Purtroppo, entrambi gli schieramenti optano per la soluzione più semplice: indebitarsi ancor di più. Ma il tempo passa e prima o poi il conto dovrà essere saldato.

Cosa significa per le crypto?

Torniamo nel mondo crypto per chiudere in bellezza: quali sono gli effetti del taglio?

Abbassare i tassi d’interesse stimola l’economia: le imprese hanno maggior convenienza a richiedere dei prestiti e investire e anche i consumatori si ritrovano in uno scenario più favorevole alla spesa. In un clima in cui i consumi aumentano, il mercato del lavoro migliora, alimentando così un ciclo positivo per tutte le parti coinvolte nella vita economica.

In questo scenario, le criptovalute possono ottenere dei benefici. Se persone e imprese hanno più denaro nelle tasche, vi è maggior propensione a investire anche in asset a maggior rischio, a fronte di superiori guadagni potenziali. Se invece il clima è depresso, gli attori “tirano i remi in barca” e tagliano tutte le spese considerate superflue; la volontà di prendersi rischi viene meno e le crypto soffrono.

Il taglio ai tassi può quindi portare dei benefici al nostro settore, ma attenzione a non esagerare con le aspettative.

Innanzitutto, 25 punti base in meno sono ancora pochi. Certamente sono meglio di niente, ma l’impatto reale resta limitato.

In aggiunta, il mercato spesso sconta gli eventi prima che avvengano, soprattutto quando la probabilità è alta. È quindi assai probabile che anche le crypto avessero già preso in carico il taglio nelle ultime settimane, prima che venisse confermato.

Infine, punto più importante, i partecipanti non considerano solo i tassi. Come dicevamo, l’economia americana mostra delle difficoltà; anche se le cose dovessero andare per il meglio, servirà del tempo per vederla migliorare. Gli attori guarderanno quindi anche ad altri fattori: gli indicatori macro elencati prima, le performance di altri Stati chiave, gli eventi geopolitici e via dicendo.

Per tirare le somme, possiamo goderci questa prima sforbiciata e guardare con fiducia alle altre che dovrebbero arrivare. Evitiamo però di esagerare e restiamo vigili: le crypto, da bitcoin alle altcoin, hanno la possibilità di muoversi molto bene nei mesi a venire, ma purtroppo non abbiamo alcuna garanzia.


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