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Inflazione core: il vero termometro dei prezzi

Di Gabriele Brambilla

L'inflazione core è quella che viene monitorata maggiormente dalle banche centrali, ma perché? Ecco cosa devi sapere

Inflazione core: il vero termometro dei prezzi

Oltre l’inflazione “headline”

Quando si parla di inflazione, i dati diffusi dai media fanno in genere riferimento all’andamento generale dei prezzi, la cosiddetta inflazione “headline”. Questa misura considera ogni voce di spesa: energia, generi alimentari, trasporti, beni durevoli e servizi.

Tuttavia, questo dato ha un limite: alcuni settori — in particolare energia e cibo — sono estremamente volatili e possono spostare l’indice in modo repentino. Basta una crisi geopolitica in Medio Oriente o un cattivo raccolto agricolo in un Paese chiave per alterare la lettura dell’inflazione complessiva. Questo ovviamente è un problema, perché non consente di operare al meglio sul fronte monetario.

Per ovviare a questi limiti e avere un quadro più chiaro della dinamica di fondo, gli economisti utilizzano l’inflazione core, che esclude proprio quelle componenti più volatili. In questo modo si ottiene una misura più stabile, utile a individuare se le pressioni sui prezzi sono temporanee o strutturali. Approfondiamo!

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Il punto di riferimento per la politica monetaria

La stabilità rende l’inflazione core il principale punto di riferimento delle banche centrali. La Federal Reserve, ad esempio, guarda con particolare attenzione all’indice PCE core per definire la traiettoria dei tassi. Lo stesso fa la BCE, che utilizza l’inflazione core per valutare la tenuta dell’economia dell’Eurozona.

Il ragionamento è semplice: se l’inflazione headline scende grazie a un calo del petrolio, ma la core resta alta, vuol dire che i prezzi dei servizi, degli affitti o di beni durevoli continuano a crescere. Questo indica che la pressione inflazionistica è radicata nel tessuto economico e richiede interventi restrittivi, come il mantenimento di tassi di interesse elevati. Al contrario, se anche la core rallenta, allora si può ipotizzare che l’inflazione sia davvero sotto controllo, aprendo la strada a un allentamento monetario.

In sostanza, senza la bussola dell’inflazione core, le banche centrali rischierebbero di reagire in modo eccessivo a oscillazioni temporanee, perdendo di vista la tendenza di lungo periodo.

L’investitore consapevole deve quindi monitorare non solo i dati tradizionali più mainstream, come il CPI, ma anche quelli core. Solo così si può avere una fotografia dettagliata e completa del quadro economico.

Leggi di più: cosa sono i tassi d’interesse

Inflazione core: alleata delle banche centrali

Il biennio 2022-2023 ha mostrato bene questa dinamica.

Quando il prezzo del petrolio si è raffreddato, l’inflazione headline negli Stati Uniti ed Europa ha iniziato a scendere rapidamente. Tuttavia, la core è rimasta ostinatamente alta, sostenuta da aumenti degli affitti, dei servizi sanitari e dei trasporti.

Per la Fed e la BCE è stato un segnale inequivocabile: la battaglia contro il carovita non era conclusa. Questo ha spinto entrambe le istituzioni a mantenere politiche monetarie restrittive più a lungo del previsto, nonostante il rischio di raffreddare la crescita. Senza la core, i mercati avrebbero potuto interpretare il calo della headline come un via libera a una riduzione dei tassi, andando incontro a sorprese poco gradite.

Non dobbiamo infatti sottovalutare l’inflazione di ritorno: quando si esce da un periodo di prezzi alti e la si fa ritornare alla carica, le conseguenze possono essere serie, fino ad alcuni casi in cui diventano addirittura catastrofiche. I dati core sono quindi dei grandi alleati delle banche centrali.

"I dati sull'inflazione core sono uno strumento potente nelle mani delle banche centrali"

Implicazioni per i mercati

Le conseguenze della pubblicazione dell’inflazione core sono immediate sui mercati finanziari.

Se i dati risultano superiori alle attese, gli investitori anticipano un irrigidimento della politica monetaria: i rendimenti dei titoli di Stato salgono, le borse tendono a scendere e la valuta si rafforza. Al contrario, un calo della core può innescare movimenti positivi sugli indici azionari, poiché gli operatori iniziano a scommettere su un futuro taglio dei tassi.

Non si tratta solo di reazioni di breve termine. Le prospettive di inflazione core incidono anche sulle valutazioni delle aziende, sui costi di finanziamento e persino sul mercato immobiliare. Per esempio, un’inflazione core elevata e persistente obbliga le banche centrali a mantenere i tassi alti, rendendo i mutui più costosi e pesando sulla domanda di abitazioni. Allo stesso modo, il comparto tecnologico, spesso molto sensibile al costo del denaro, può subire cali marcati in caso di aspettative di tassi più rigidi.

Un caso recente è quello del mercato immobiliare americano, in cui pesano i tassi d’interesse elevati che strozzano le compravendite, già in difficoltà dallo squilibrio domanda-offerta.

In sintesi, capire l’andamento dell’inflazione core permette agli investitori di leggere in anticipo le mosse delle banche centrali e, quindi, di orientare le proprie strategie sui mercati azionari, obbligazionari e valutari.

Leggi di più: le basi del mercato immobiliare

In conclusione

L’inflazione core è più di una semplice misura statistica: è lo strumento che permette a banche centrali e mercati di distinguere tra rumore di fondo e tendenze reali.

Nei momenti di incertezza economica, guardare a questo dato significa interpretare con maggiore lucidità le sfide future, sia per le politiche monetarie che per gli investimenti.


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