Tasse su criptovalute: guida aggiornata al 2025

Di Gabriele Brambilla

L'argomento delle tasse su criptovalute è ostico, ma grazie a questo articolo potrai eliminare un po' di incertezze

Tasse su criptovalute: guida aggiornata al 2025

Tasse su criptovalute: la Legge di Bilancio 2023

Tasse, dichiarazioni, fisco e criptovalute: un argomento difficile da affrontare non solo per il fatto di dover sostenere delle spese.

A fine 2022 fu approvata la Legge di Bilancio 2023. Tra i vari temi, essa tocca e disciplina il settore crypto. Si tratta della prima legge italiana che prova a colmare il vuoto normativo con cui abbiano convissuto fino a oggi.

Chi detiene coin e token sa bene con che confusione ci si ritrovava a che fare: pronunce dell’Amministrazione, interpelli e pareri discordanti generavano un caos insostenibile.

Complice l’adozione crescente, negli ultimi anni l’attenzione sulle criptovalute è stata sempre maggiore. Ovviamente non ci riferiamo solo al tema regolamentazione ma anche a quello della tassazione.

La Legge di Bilancio 2023 conferma le procedure a cui eravamo abituati: quadro RW per il monitoraggio obbligatorio e tasse al 26% sulle eventuali plusvalenze. Vengono però introdotti diversi nuovi elementi, tra cui la possibilità di rivalutare gli asset e delle sanzioni ridotte per chi non fosse in regola.

Ecco quindi un approfondimento aggiornato al 2025 per aiutarti a comprendere meglio i principali punti di questa legge e dei successivi aggiornamenti. Ricordiamo comunque che le normative non sono ancora perfette e su alcuni punti creano un po’ di confusione.

Proprio su questo punto, leggi l’articolo per intero: illustreremo i punti della legge di bilancio, chiudendo poi con un paragrafo sulle ultime novità che terremo periodicamente aggiornato.

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Iniziamo esplorando la definizione di cripto-attività, importantissima per poter capire quali asset sono interessati dalla legge.

Tasse crypto: definizione di cripto-attività

La sezione della Legge di Bilancio 2023 inerente al mondo crypto ha inizio con l’Art. 31. Esso contiene diverse diciture che entrano a far parte del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, disciplinando la tassazione degli asset digitali in Italia.

Da subito si incontra il termine cripto-attività, la cui definizione è:

“[…]una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”

Questa dicitura è estremamente importante: se in precedenza si ricorreva alla parola criptovalute, limitandosi appunto a coin e token, con cripto-attività si va oltre. Di fatto, la tassazione può toccare appunto qualsiasi tipologia di asset digitale rientrante nella definizione, come ad esempio i Non-Fungible Token (NFT).

Ebbene sì: dobbiamo dichiarare tutto ciò che è in nostro possesso. Non solo: trattandosi di una legge dedicata al tema “tassazione criptovalute“, siamo tenuti a pagare le relative tasse ove dovute. Approfondiamo ulteriormente.

"Il termine "cripto-attività" raggruppa tutti gli asset digitali su blockchain, non solo le criptovalute"

Quanto si paga di tasse sulle criptovalute? Plusvalenze e redditi

Innanzitutto vediamo quali sono le fattispecie rientranti nel termine plusvalenze su criptovalute e tasse.

Il comma c-sexies, contenuto nella Legge di Bilancio e inserito nel Testo Unico menzionato in precedenza, sostiene che:

“[…]le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività”

Ragionandoci, la chiarezza varia in base al caso. Ad esempio, è palese che la legge venga applicata se vi è conversione di una plusvalenza in valuta fiat. Se acquistassimo 1 ETH a 100€ e lo rivendessimo a 3000 (incassando euro), rientreremmo nella casistica.

Al contrario, alcuni termini generano confusione: eliminiamola. Quali sono gli “altri proventi”? Ebbene, tra questi rientrano attività come lo staking e lo yield farming: generando reddito, diventano soggetti a tasse.

L’aliquota sulle plusvalenze resta al 26%. La stessa percentuale si applica ovviamente anche agli altri proventi. Per ora nessun aumento alle tasse su criptovalute, come molti invece temevano, ma non gioiamo troppo: dal 2026 l’aliquota passerà al 33% (ne parliamo meglio verso la fine dell’articolo, negli aggiornamenti).

Restano poi escluse le imposte dovute alle plusvalenze teoriche. Perciò, se anche avessimo aperta una posizione con 100.000€ di plusvalenza, potremo stare tranquilli fintantoché non andremo a chiuderla e convertirla in fiat.

Attenzione a quanto appena detto: è sufficiente la conversione per creare una fattispecie fiscalmente rilevante. Per esempio, se convertissimo 1 BTC in euro, lasciando tutto su Binance, sarebbe comunque un fatto tassabile. Occhio anche al passaggio crypto —> stablecoin, che una circolare dell’AdE ha stabilito come evento tassabile (lo vedremo meglio nell’ultimo paragrafo).

Resta ovviamente obbligatorio il monitoraggio fiscale.

La Legge di Bilancio ci fa salutare la famosa soglia di 51.645,69€, utilizzata dall’Agenzia delle Entrate non senza qualche perplessità. Infatti, assimilare le criptovalute alle valute estere è errato, come sostenuto anche in sede europea. La motivazione sta nel fatto che le crypto non hanno né sede fisica né riconoscimento; non sono quindi simili alle valute estere.

In origine, la legge provvedeva a sistemare questo punto introducendo una soglia pari a 2000€. Questa è stata poi rimossa a partire dal 2025.

Il testo specifica che “Non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni”. Ovviamente, questo passaggio genera confusione: quali sono le caratteristiche e funzioni prese in considerazione?

Indagando più a fondo e basandoci su quanto riferito direttamente in Parlamento:

  • I movimenti crypto-crypto non sono fiscalmente rilevanti. Esempio: vendo bitcoin e compro Ethereum, vendo Matic e compro BNB;
  • Acquistare un NFT con una coin o un token diventa fiscalmente rilevante;
  • In generale, al momento sembra che il mondo crypto sia stato distinto in quattro categorie: currency token, utility token, NFT e security token. Le conversioni all’interno di una categoria non sono fiscalmente rilevanti. Invece, quelle operate tra categorie differenti lo diventano.

Riassumendo:

  • La Legge ha valenza su tutti gli asset digitali che sfruttano la blockchain o tecnologie simili. Di fatto, stabilisce la disciplina che riguarda tasse e criptovalute.
  • La plusvalenza che resta nel mondo crypto (es. hold di BTC) non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante, quindi non è soggetta a tassazione.
  • I movimenti crypto-crypto non sono rilevanti. Spostandoci di categoria (es. da crypto a NFT) lo diventano e potremmo dover pagare la tasse.
  • Plusvalenze convertite in fiat currency (anche senza prelievo da exchange), spese per acquistare beni o servizi e simili sono invece rilevanti.
  • Resta l’obbligo di dichiarazione, sempre e comunque, su cui torneremo a breve.
  • Le minusvalenze possono essere dedotte esclusivamente sulle plusvalenze di cripto-attività. Si inizia con l’anno corrente, portandole eventualmente nelle dichiarazioni successive fino a 5 anni.

Quanto si paga di tasse sulle criptovalute? Plusvalenze e redditi

Quadro RW confermato per le tasse su criptovalute

Confermato l’obbligo di dichiarare le criptovalute in nostro possesso, anche se non è stata fatta alcuna conversione e/o cash out.

La Legge di Bilancio introduce delle modifiche alla L. n.227 del 4 agosto 1990: da “attività estere di natura finanziaria ovvero cripto-attività”, il primo periodo dell’articolo 4 comma 1 diventa “attività estere di natura finanziaria ovvero cripto-attività”; da “e delle attività estere di natura finanziaria”, il secondo periodo cambia in “delle attività estere di natura finanziaria e delle cripto-attività”. Tradotto: l’obbligo di dichiarazione trova una vera e propria legge a sostegno.

Le cripto-attività si sganciano dagli altri asset e diventano un mondo a parte.

Come suggerisce il nome, il monitoraggio ha la funzione di tenere controllato l’ammontare complessivo degli asset detenuti da una soggetto.

Il quadro RW si compila durante la dichiarazione dei redditi. I professionisti si stanno affacciando sempre più alle criptovalute, ma potrebbe comunque essere arduo trovare un commercialista che padroneggi tutto ciò che il mondo crypto ha da offrire.

Nel quadro RW viene dichiarato il valore iniziale delle nostre cripto-attività e quello finale, al 31/12.

In caso di plusvalenza, se non è stata effettuata alcuna conversione, stiamo tranquilli: non dovremo pagare le tasse su criptovalute.

Con “valore iniziale” intendiamo due aspetti distinti ma sommabili:

  • Se deteniamo crypto già dagli anni precedenti, dovremo dichiarare il loro valore al 1 gennaio di quello in corso;
  • Al punto precedente si aggiungono i prezzi di carico di qualsiasi acquisto di cripto-attività durante l’anno.

Fondamentale fornire dati corretti per evitare eventuali problemi. Ecco perché è di primaria importanza tenere tracciati tutti i movimenti effettuati, acquisti e vendite, nonché i prezzi di carico.

In queste righe abbiano utilizzato termini come “crypto” e “criptovalute“. Attenzione però alla nuova dicitura “cripto-attività” introdotta dalla legge: dovremo dichiarare il valore di tutti gli asset digitali in nostro possesso, non solo quello di coin e token.

Sorgono però dubbi più che leciti. Ad esempio, come possiamo determinare il valore di un NFT? Data la sua unicità, siamo in grado di indicare il valore iniziale (che può essere il prezzo di acquisto) ma non quello finale. Così com’è, la legge genera un po’ di confusione.

Nota importante: al momento della scrittura, la legge sulle tasse crypto prevede che ogni wallet in nostro possesso abbia una sua riga nel quadro RW.

Infine, la normativa prevede la possibilità per exchange e servizi CeFi di diventare sostituti d’imposta. In questo modo, l’utente non dovrebbe più dichiarare nulla né preoccuparsi delle tasse: sarebbe il broker a occuparsi di tutto, esattamente come accade per il trading classico mediante una banca. Una cosa simile è già successa con Binance, che a inizio 2024 bloccò senza preavviso parte delle criptovalute degli utenti per poter versare le tasse dovute relative all’imposta di bollo. Un operato che creò qualche grattacapo al famoso exchange.

Probabilmente, negli anni a venire assisteremo a una crescita delle CeFi sostituti d’imposta, così da favorire l’afflusso di nuovi clienti.

"Quadro RW confermato per tutte le cripto-attività possedute"

Imposta di bollo sulle crypto

Giungiamo a uno dei punti più tragicomici dell’intera Legge di Bilancio: le cripto-attività sono soggette al pagamento dell’imposta di bollo del 2 per mille, come già avviene per le attività estere.

Questo punto generò parecchie perplessità tra gli addetti ai lavori. Probabilmente il legislatore volle introdurre questa spesa solo per aumentare il gettito e le entrate fiscali.

Perciò, ogni persona che detiene criptovalute, NFT e simili deve versare annualmente un’imposta di bollo del 2 per mille di quanto detenuto. Una sorta di tassa per il possesso di criptovaluta e affini che non trova consenso da nessun attore del settore.

La scadenza per il pagamento è fissata a giugno di ogni anno, salvo deroghe.

Imposta di bollo sulle crypto

Tasse su criptovalute: onere di prova

Da sempre motivo di preoccupazione è l‘onere di prova a carico del contribuente.

La Legge sulla tassazione delle criptovalute non specifica nulla a riguardo. Ricordiamoci però che in caso di bisogno, saremo noi a dover fornire documenti e chiarimenti alle autorità.

Ciò di cui siamo certi è che il contribuente deve dichiarare le cripto-attività in proprio possesso senza dover allegare alcuna documentazione. Vale lo stesso discorso in caso di plusvalenze con relativa conversione in euro o cash out.

L’Agenzia delle Entrate non ha ancora a disposizione un software in grado di tracciare i movimenti su blockchain. Perciò, è difficile contestare quanto affermato dal contribuente. Ciò non significa che si è liberi di fare ciò che si vuole, anzi: è indispensabile muoversi nella maniera corretta per evitare problemi.

Ai fini dell’antiriciclaggio, gli exchange possono fornire delle rendicontazioni alle autorità. Si presume che l’AdE possa utilizzare questi dati per verificare i movimenti di uno specifico contribuente. Tuttavia, essi non sono completi come si tende a pensare.

In caso di controllo, per essere nelle migliori condizioni, sarebbe ideale disporre di prove da poter fornire, così da scongiurare qualsiasi complicanza.
Perciò, scattiamo degli screenshot con i saldi dei nostri wallet e la data a inizio e fine anno, scarichiamo i report degli exchange e teniamo traccia tramite un documento excel di tutti i movimenti. Saremo più tranquilli nel caso l’Agenzia dovesse bussare alla nostra porta.

I documenti più significativi sono però le ricevute di bonifici o movimenti verso/da exchange. Se dichiarassimo di aver acquistato 1000€ in bitcoin, dovremo poter dimostrare l’operazione. Già così ci metteremmo in ottima luce.

Dopodiché, i vari movimenti compiuti nel mondo crypto sono dimostrabili solo con file CSV, nostri documenti excel e screenshot. Non esistono altre prove: questo è il limite.

Fornendo le ricevute bancarie e corredandole di CSV/screenshot chiari non dovremmo perciò avere problemi. Poi dipende da caso a caso, purtroppo per adesso è ancora così.

Quanto appena consigliato non è obbligatorio ma probabilmente già lo facciamo: il monitoraggio del proprio portafoglio di investimento consiste in questo.

Rispondiamo ora a qualche domanda extra sul tema tasse su criptovalute.

Rivalutazione crypto al 1 gennaio 2025

Con l’aiuto del Dott. Andrea Russo, esperto in fiscalità crypto, scopriamo questo strumento.

ABC sulla rivalutazione criptovalute

La rivalutazione crypto ci permette di alzare i costi di carico (costi di acquisto) delle nostre coin e token al valore di mercato del 1 gennaio 2025. Per fare ciò dovremo corrispondere il c.d. affrancamento, ossia pagare il 18% di quanto rivalutato.

Rivalutare non è un obbligo, ma una facoltà a disposizione dei contribuenti che hanno dichiarato le proprie cripto-attività regolarmente. Non è invece uno strumento sanatoria e non può essere utilizzato da chi non è in regola con l’obbligo di dichiarazione.

Perché rivalutare le crypto?

Ma perché effettuare la rivalutazione delle criptovalute? Di fatto, alzando i costi di carico ai valori di quest’anno, in caso di vendita la plusvalenza sarà calcolata tra il prezzo di vendita e il costo rivalutato. Quindi, se si è criptoinvestitori sulla scena da tempo, vale la pena fare i calcoli del caso, perché potrebbe essere una soluzione conveniente.

Quando effettuare la rivalutazione crypto?

I casi principali sono due:

  1. Quando i costi di carico sono molto bassi, legati ad acquisti effettuati anni fa o in bear market;
  2. Quando non siamo in grado di ricostruire lo storico di coin e token e diventa impossibile ricostruire i costi di carico.

Come rivalutare le crypto?

Non ci sono documenti o pratiche specifiche. Dovremo pagare il dovuto mediante F24 entro il 30 novembre 2025, in soluzione unica o rateizzata (tre rate). In quest’ultimo caso, alla seconda e terza rata si aggiunge il 3% di interesse.

Altre cose da sapere sulla rivalutazione criptovalute

La rivalutazione non permette di realizzare minusvalenze utilizzabili.

Si possono rivalutare le cripto-attività aventi la medesima denominazione. Ossia: possiamo rivalutare tutti gli ETH in nostro possesso, ma non solo una parte; al tempo stesso, possiamo rivalutare tutti gli ETH, ma non saremo obbligati a procedere con altre coin e token.

Quando conviene? Nel video del Dott. Russo troverai due esempi che ti aiuteranno a fare i calcoli del caso.

Ti ricordiamo che con il software di rendicontazione fiscale Tatax potrai automatizzare la procedura di rivalutazione delle cripto-attività, capendo se effettivamente può essere vantaggiosa.

Il cashback implica tassazione? E un airdrop?

Risposta breve: purtroppo sì.

Risposta approfondita: il cashback rientra nel comma c-sexies analizzato in precedenza; infatti, è da considerarsi un provento crypto.

Dovremmo quindi tenere traccia del valore dell’asset, cosa peraltro piuttosto difficoltosa.

Pensiamo a un cashback ottenuto tramite una delle card di Crypto.com. CRO, la coin che riceviamo, varia di prezzo in continuazione. Quale valore dovremmo fornire in sede di dichiarazione? Quello di inizio giornata? Quello finale? Oppure quello corrispondente al momento di rilascio del cashback? Solo l’Agenzia delle Entrate potrà fornire risposta, dato che la legge non lo specifica.

Attenzione poi alla distinzione tra provento e plusvalenza.

Il provento è riferito al valore del cashback stesso: riceviamo 20 CRO che valgono in totale 2€, questo è il provento.

Se poi CRO dovesse raddoppiare di valore, i nostri 2€ diventerebbero 4. Convertendo in fiat o asset crypto di categoria diversa, la plusvalenza 4-2 = 2 sarà fiscalmente rilevantem e dovremo pagare le relative tasse.

Per quanto riguarda gli airdrop, stesso discorso, così come per lo staking e il farming: si ottiene del valore e rappresentano dei proventi fiscalmente rilevanti. Se vi è plusvalenza, dovremo versare le tasse sulle criptovalute in questione.

"Cashback, airdrop e staking sono da considerarsi proventi, soggetti quindi a tassazione"

Il mining non in regime d'impresa è tassabile?

Ricevendo delle criptovalute in cambio di una propria prestazione, il mining sembrerebbe essere soggetto a tassazione in quanto provento.

Secondo diverse letture, potrebbe essere tassabile come cessione a titolo oneroso.

Occorre però attendere una pronuncia dell’Agenzia delle Entrate perché vi è ancora incertezza.

ISEE e crypto: cosa fare?

Al momento non vi è una risposta sicura, seppur sia passato più di un anno dall’entrata in vigore della legge sulla tassazione crypto.

L’ISEE ha le proprie regole e nessuna di esse fa riferimento alle criptovalute.

Però, il buonsenso suggerisce di includere le cripto-attività nella dichiarazione ISEE, riportando quanto scritto nel quadro RW.

Si tratta di una prassi indicata da diversi professionisti, perché dopotutto è del capitale in nostro possesso.

Ora che c’è una legge sull’argomento, speriamo che anche le regole ISEE andranno fornire indicazioni più precise a contribuenti e commercialisti.

ISEE e crypto: cosa fare?

Fondi su CeFi fallite

I capitali andati persi perché depositati su exchange o altre piattaforme fallite, pensiamo a FTX, non sono effettivamente più in nostro possesso. Dovremo quindi smettere di riportarli in quadro RW.

Chiaramente, in caso di controllo dovremo fornire prove certe a sostegno della nostra affermazione. Riprendendo l’esempio di FTX, potremo mostrare i file CSV dell’exchange, corredati di qualche articolo giornalistico che riporta la notizia del fallimento. In questo modo ci saranno tutti gli elementi necessari a confermare quanto da noi affermato.

Attenzione però che non è sempre così facile, perché talvolta l’Agenzia delle Entrate potrebbe comunque sollevare delle perplessità. Insomma, il supporto di un professionista del settore è fondamentale nel caso fossimo soggetti a un controllo.

Proseguendo,  gli asset andati persi rientrerebbero teoricamente tra le minusvalenze. Però, nella pratica non sappiamo ancora se sarà effettivamente così.
La motivazione sta anche in questo caso nell’onere di prova: se non fossimo in grado di dimostrare al 100% che abbiamo perso dei fondi a causa del fallimento della piattaforma, probabilmente non riusciremo a sfruttarli come minusvalenza.

Inoltre, la possibilità che questi fondi rientrino nelle tasche degli utenti rende lo scenario ancor più intricato. Ripetiamo: meglio rivolgersi a un professionista affidabile e muoversi secondo le sue disposizioni.

Circolare Agenzia delle Entrate 27 ottobre 2023

Ecco qualche indicazione dell’Agenzia delle Entrate che mira a chiarire alcuni punti della Legge di Bilancio 2023. In verità, anticipiamo che persistono delle incertezze o se ne generano di nuove.

Partiamo con uno degli aspetti più interessanti: la conversione da crypto a stablecoin. Secondo l’AdE, sarebbero fiscalmente rilevanti le operazioni che portano allo scambio criptovaluta –> stablecoin e-money token, rifacendosi al regolamento MiCA. Per capirci: hai dei SOL e li converti in USDT? Bene: dovrai dichiarare il movimento e pagare le eventuali tasse.

Per non generare confusione, ricordiamo che il nuovo regolamento europeo suddivide le stablecoin in due categorie:

  • E-money token, ovvero una particolare crypto che ha come obiettivo quello di mantenere il proprio valore stabile e ancorato a una valuta fiat ufficiale;
  • Asset-referenced token, dove invece il sottostante è un’altra tipologia di asset o diritto.

Il MiCA non propone un elenco esaustivo e si limita a portare alcuni esempi. Perciò, sembrerebbe che stablecoin come USDT e USDC rientrino negli e-money token e, di conseguenza, andrebbero a generare un’operazione fiscalmente rilevante nel caso di conversione da una criptovaluta. Per intenderci, l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate va nella direzione in cui la vendita di BTC per USDT avrebbe appunto rilievo fiscale, con relative tasse. Non vi è però certezza e sarà necessario un ulteriore chiarimento.

Proseguiamo poi con lo staking, dove viene confermata la tassazione sui proventi sul lordo percepito, senza quindi considerare le eventuali commissioni pagate al proprio validatore.

Parlando di minusvalenze: parrebbe che non potranno essere dedotte tutte quelle precedenti alla Legge di Bilancio. Questa possibilità era nell’aria, ma ora ne abbiamo la certezza.

Resta poi obbligatoria la presentazione del quadro RW per qualsiasi cifra, con la novità che dovrà essere compilato un rigo per ciascun wallet (portafoglio o conto digitale) in possesso dell’utente. Inoltre, in caso di furto delle chiavi private, oppure di smarrimento, dovrà essere presentata regolare denuncia, così da poterne provare l’effettivo non possesso. Al contrario, non sarà più sufficiente dire “ho smarrito/mi hanno rubato le chiavi private”.

Il termine per la presentazione del quadro RW è inoltre spostato al 30 settembre, mentre in passato era al 30 novembre.

Prepariamoci poi a pagare l’imposta del 2×1000 (confermata) sul totale delle criptovalute possedute nell’anno precedente. Novità assoluta, l’imposta ha generato non pochi mal di pancia nella community crypto.

Per il resto, nessun’altra novità da segnalare, ma restiamo vigili e pronti a comunicare ulteriori aggiornamenti.

Criptovalute e tasse: considerazioni finali

Non di rado ci ritroviamo a dire “poteva andare peggio ma pure meglio!”; anche in questo caso, pensiamo la stessa cosa.

La Legge di Bilancio introduce diverse norme atte a disciplinare la tassazione sulle criptovalute e asset digitali.

Da un lato c’è del buono: finalmente abbiamo a disposizione un set di regole che prova a chiarire un tema in precedenza privo di qualsiasi supporto. I binomi “bitcoin tasse” e “bitcoin fisco” non ci faranno più venire un forte mal di testa… almeno fino a un certo punto!

Finora, quadro RW, aliquote e affini si basavano esclusivamente su pronunce dell’Amministrazione, in primis l’Agenzia delle Entrate. Questo modus operandi generava confusione e portava i professionisti a interpretazioni differenti: da quelli che consigliavano di dichiarare e pagare le tasse a coloro che ritenevano non corretto seguire quanto stabilito dall’Agenzia, proprio perché non vi era una legge alla base.

Il nuovo set normativo ha però anche diversi aspetti negativi.

Innanzitutto, siamo ben lontani dalla chiarezza. Anzi, alcuni punti danno vita a un caos addirittura superiore al precedente. Dovremo quindi attendere pronunce e circolari ministeriali per disporre di informazioni più specifiche. Nulla di strano: una nuova legge richiede sempre del tempo per entrare a regime, limare i difetti e rodarsi.

Vengono poi introdotti degli obblighi che lasciano quantomeno perplessi. È il caso dell’imposta di bollo, al centro della polemica sin dal rilascio della bozza e purtroppo sopravvissuta.

Senza dimenticare la definizione di cripto-attività, in grado di abbracciare qualsiasi asset digitale su registro distribuito: dovremo davvero dichiarare (ed eventualmente pagare le tasse) sugli NFT? La legge dice “sì”.

Insomma, non possiamo certo dirci contenti. Vero, ora almeno c’è una base di partenza. Però, la legge riesce nell’impresa di rendere ancor più complesso ciò che già lo era.

Consoliamoci perché c’è chi sta sicuramente peggio: pensiamo al Regno Unito, dove anche le conversioni crypto-crypto sono soggette a tassazione.

Di seguito troverai gli aggiornamenti che andremo a inserire nel tempo, per mantenere sempre attuale questo articolo.

Ulteriori update sulle tasse crypto 2025

Verso la fine del 2024, il governo avanzò la proposta di portare le tasse crypto sulle plusvalenze dall’attuale 26% al 42%. Questa misura, ritenuta assurda e altamente penalizzante dagli addetti ai lavori, incontrò non poche resistenze e pareri contrari anche tra i banchi del parlamento.

Dopo una discussione molto accesa, si trovò un compromesso. Dal 2025 viene rimossa la soglia di esenzione di 2.000€, mentre dal 2026 la tassazione passerà al 33%.
Seppur alcuni politici pro-crypto abbiamo celebrato questo traguardo come una vittoria, il settore ne esce certamente penalizzato. Resteremo alla finestra speranzosi di nuovi cambiamenti; per adesso, la non lungimiranza della classe politica colpisce ancora.


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