Come non pagare le tasse sulle crypto
Di Gabriele Brambilla
Rispettando al 100% la legge, scopriamo come non pagare le tasse sulle crypto, o comunque pagarne il meno possibile
Introduzione
Il tema della fiscalità è sempre di tendenza, soprattutto in un contesto dove cambiano spesso le carte in tavola e le istituzioni non si dimostrano di ampie vedute nei confronti del nostro settore.
Di imposte ne abbiamo già parlato in questo articolo sulla tassazione crypto in Italia, che manteniamo costantemente aggiornato. In questo contenuto, basato sul video che troverai qui sotto (che consigliamo vivamente di guardare per la massima completezza ed esempi pratici), vogliamo invece concentrarci su una questione specifica riguardo l’argomento, ossia come non pagare le tasse sulle crypto, o pagarne il meno possibile. Il tutto nella massima legalità.
Quando la pressione fiscale cresce e lo Stato se la prende con gli investitori in coin e token, bisogna trovare tutti i metodi per tutelare il capitale restando alla luce del sole. Vediamo come fare.
Indice
- La situazione attuale (provvisoria)
- Fattispecie fiscalmente rilevanti
- Serve liquidità, prendo un prestito: parliamone
- Restare sotto la soglia di 2.000€
- Focus sullo staking
- Attenzione agli spostamenti tra wallet
- La questione dei derivati
- Valutare di vendere nel 2024
- Trasferirsi all'estero
- Conclusioni
La situazione attuale (provvisoria)
Il video e il presente articolo nascono in seguito alle dichiarazioni del vice ministro dell’Economia italiano di ottobre 2024. Da quanto detto, il governo avrebbe l’intenzione di alzare l’aliquota sulle plusvalenze crypto dall’attuale 26% al 42%. Una crescita del tutto insensata e che non si allinea ai numeri applicati a tutti gli altri asset di investimento.
Le motivazioni dietro questa possibilità sono un po’ fumose e strane, ma quella principale farebbe riferimento alla crescita del fenomeno in Italia. Lasciamo al lettore i commenti del caso e ci limitiamo a esporre i fatti.
Al momento della stesura di questo contenuto (fine ottobre 2024), nulla è ancora deciso. La proposta è stata inserita nella bozza della Legge di Bilancio, che ora però dovrà passare da Camera e Senato. Quindi, le cose potrebbero ancora cambiare e auspichiamo che sarà così.
Fatta questa necessaria premessa, entriamo nel vivo dell’articolo!
"C'è il rischio che la tassazione sulle crypto passi dal 26 al 42%"
Fattispecie fiscalmente rilevanti
La soluzione più semplice per non pagare alcuna tassa consiste nel non dar vita a delle fattispecie fiscalmente rilevanti, ossia:
- Cessione a titolo oneroso (esempio: vendita di bitcoin in cambio di euro o dollari, il cosiddetto cashout);
- Scambio tra crypto aventi natura diversa (esempio: vendita di bitcoin in cambio della stablecoin USDC);
- Proventi da detenzione di criptovalute;
- Rimborsi in criptovalute.
Per farla ancor più facile, ecco qualche situazione.
Innanzitutto, se non vendiamo le crypto in cambio di valute fiat o stablecoin MiCA compliant, non sussiste un evento rilevante. Per esempio, dovremo evitare di vendere Ethereum in cambio di USDC, che è una stablecoin già da diversi mesi in regola con la normativa comunitaria che si appresta a entrare in vigore.
Potremmo invece sfruttare soluzioni come DAI, che per natura non rientra tra la categoria E-Money token definita dal MiCA, ossia quella che ospita le stablecoin regolarizzate con cui si può effettuare direttamente il redeem in valuta fiat (USDC è direttamente convertibile in dollari in rapporto 1:1).
Poi, importante evitare di comprare beni o servizi pagando in crypto. In questo caso avviene infatti una conversione che, in presenza di plusvalenza dell’asset utilizzato per pagare, comporta il pagamento delle imposte.
Sappiamo bene che per molti le criptovalute sono un mezzo di pagamento comodo, ma per aggirare le problematiche fiscali dovremo rinunciare a questo caso d’uso, almeno per ora.
Attenzione anche a generare proventi, come ad esempio quelli legati allo staking: sono tassabili. Torneremo sul punto tra qualche paragrafo.
Quanto detto finora ci consente di guadagnare tempo, ma non di risolvere il problema. Però, l’Italia è un Paese noto per i cambiamenti continui e i meccanismi che permettono di aggirare nella legalità determinati sbarramenti. Un esempio è la rivalutazione degli asset, che se riproposta in un mercato rialzista potrebbe far risparmiare parecchio denaro agli investitori. Ma per ora sono solo speculazioni: non sappiamo neppure se l’aliquota al 42% diverrà realtà.
Serve liquidità, prendo un prestito: parliamone
Quando serve liquidità, la prima cosa che viene in mente di fare è vendere degli asset. In questo caso però andremmo a creare una fattispecie fiscalmente rilevante e dovremmo pagare le tasse in caso di plusvalenza. In più, disinvestire potrebbe non rientrare nei nostri piani.
Un metodo per aggirare il problema è quello di utilizzare gli asset crypto come collaterale e chiedere un prestito. Così facendo non avviene alcuna vendita né conversione e, almeno secondo la legge, non dovrebbero esserci problemi. Potremo spendere liberamente questo denaro, con il solo obbligo di chiudere il prestito secondo le tempistiche e modalità previste.
Tuttavia, attenzione alle interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate. Un funzionario non pratico del mondo crypto potrebbe contestare questa attività e ritenerla comunque una conversione. Di fatto avremmo ragione, ma per dimostrarlo dovremmo entrare in una lunga trafila burocratica, supportati anche da un avvocato esperto in materia. Meglio quindi stare attenti a determinati punti.
Innanzitutto, occhio a girare i soldi ottenuti con il prestito sul conto corrente bancario. Un bonifico improvviso di 10.000 euro dalla CeFi/exchange di turno, come Bitget, potrebbe far alzare le antenne all’Agenzia. Se invece la somma dovesse restare nel mondo crypto ci esporremmo decisamente meno.
Poi, manteniamo tutte le prove dell’avvenuto prestito. In questo modo, se dovessimo addentrarci nelle procedure con l’AdE avremmo ciò che serve per dimostrare di non aver venduto gli asset.
Infine, evitiamo la liquidazione del prestito, perché innescherebbe una vendita e, di conseguenza, un evento fiscalmente rilevante. Esattamente ciò che dobbiamo evitare.
Queste osservazioni valgono anche per le carte crypto come la Nexo Card, che funziona esattamente secondo queste dinamiche: utilizza i fondi crypto come collaterale, ci permette di spendere valuta fiat senza convertire nulla e, in seguito, è necessario caricare l’importo in euro per saldare il debito.
"Prestiti crypto sì, ma attenzione"
Restare sotto la soglia di 2.000€
Al momento, la legge italiana prevede che le plusvalenze sulle criptovalute vengano tassate solo al superamento di una soglia annuale pari a 2.000€. Di conseguenza, una modalità semplice per non pagare le tasse è quella di non superare questo livello.
In aggiunta, per chi sa come muoversi, è possibile attuare una strategia che, sfruttando questa soglia, vada ad alzare il costo di carico. Così facendo si ha la possibilità di trarre ancor più beneficio, ma attenzione a come ci si muove per evitare di sforare il limite.
Qualche precisazione per evitare fraintendimenti:
- La soglia dei 2.000€ riguarda qualsiasi fattispecie fiscalmente rilevante, non solo la cessione a titolo oneroso. Quindi rientrano anche le voci menzionate in precedenza (proventi, acquisti di beni e servizi, rimborsi…)
- Questa soglia è riferita alle plusvalenze e non agli importi in generale. Ad esempio, se acquistassimo Solana per 99.000 euro e rivendessimo a 100.000, la plusvalenza sarebbe di 1.000€; essendo sotto la soglia di 2.000€, non dovremo pagare nulla. Al contrario, se comprassimo Solana per 1.000 euro e rivendessimo a 3.500, la plusvalenza (2.500€) supererebbe il livello.
Nota bene: a oggi la soglia c’è, ma chissà che non intervengano per eliminarla. Seguiteci su Telegram per tutti gli aggiornamenti del caso.
"La soglia di 2.000€ è la chiave per evitare le imposte"
Focus sullo staking
Lo staking è un provento da detenzione e rientra nelle fattispecie fiscalmente rilevanti. Tuttavia, anche su questi importi vi è la soglia di 2.000€ di cui abbiamo appena parlato. Perciò, è sufficiente non superare questo livello (ripetiamo, che comprende tutti gli eventi, non solo lo staking) per evitare legalmente di pagare le tasse.
L’alternativa è il liquid staking. Come ben sappiamo, questa modalità operativa di DeFi ci permette di mettere un asset in staking, ricevendo in cambio un altro asset che cresce di valore nel tempo. Di fatto, anziché ottenere una rendita percentuale come nello staking classico, il guadagno viene “caricato” nel valore dell’asset ricevuto.
Nel momento in cui vorremo riottenere la coin originale ne riceveremo quindi una quantità maggiore. Questa prassi è ormai molto diffusa e presente su piattaforme come Marinade Finance, che permette di mettere in staking SOL e ottenere in cambio il token mSOL.
Non generando una rendita passiva, il liquid staking permette di dribblare il pagamento delle imposte sullo staking. Oltretutto, trattandosi di scambi di asset di uguale natura (esempio: SOL e mSOL fanno parte della stessa famiglia tra quelle definite dalle normative), non vi è neppure una conversione tra crypto di natura diversa.
Prestiamo comunque attenzione perché le interpretazioni dell’AdE sono all’ordine del giorno, ma in questo momento la situazione è quella appena descritta.
"Il liquid staking può aiutarci a evitare legalmente le incombenze fiscali"
Attenzione agli spostamenti tra wallet
Possiamo spostare senza alcun limite i nostri fondi crypto tra wallet di nostra proprietà.
Attenzione però quando il wallet è esterno, ovvero non nostro. In questi casi, se non si ha modo di dimostrare che l’evento non è fiscalmente rilevante (ad esempio una donazione), l’operazione/le operazioni sono soggette a tassazione, purché ovviamente vi sia plusvalenza superiore ai 2.000 euro. Questo perché il wallet esterno potrebbe essere di qualcuno che ci ha venduto un bene o servizio, un fatto che innesca le imposte.
"I movimenti tra wallet esterni possono crearci qualche grattacapo"
La questione dei derivati
Per ora non disponiamo di norme chiare in materia e possiamo solo fare affidamento a una pronuncia dell’Agenzia dell’Entrate che assimila i derivati crypto a quelli tradizionali. Ne consegue che le plusvalenze dall’utilizzo di questi strumenti dovrebbero avere la consueta imposta del 26%, a prescindere dal possibile aumento al 42%, senza però la soglia di 2.000€.
Tuttavia, conosciamo bene il modus operandi della politica italiana. Quanto appena detto potrebbe cambiare e, in un caso paradossale, i derivati potrebbero persino essere tassati al 42% come le criptovalute. Si tratta comunque di congetture senza fondamento, almeno per adesso.
"Secondo l'AdE, i derivati rientrano sotto l'ala del mercato tradizionale"
Valutare di vendere nel 2024
Ok, questo è un caso estremo e che sarebbe valido solo nel caso in cui l’imposta al 42% diventasse realtà. Siccome quest’ultima entrerebbe in vigore dal 2025, alcuni potrebbero voler liquidare le posizioni quest’anno, beneficiando ancora di una tassazione al 26%.
Trasferirsi all'estero
L’idea di molti è aspettare che la valutazione degli asset cresca per poi trasferirsi verso destinazioni più favorevoli lato fiscale. Si tratta di una strada percorribile a patto di rispettare tutte le normative vigenti.
Dovremo dimostrare che il trasferimento non è puramente a scopo di aggirare il fisco, ma che è realmente avvenuto. Nel nuovo Paese dovremo quindi avere una casa (in affitto o di proprietà) un conto in banca, una vita, eventualmente il lavoro e gli affetti e via dicendo.
Pensare di poter prendere la residenza all’estero restando però a godersi la ricchezza in Italia è sbagliato: sarebbe illegale e presto ci ritroveremmo nei guai. Invece, lo spostamento reale è chiaramente permesso e rispetta la legalità.
Conclusioni
Non abbiamo scoperto l’acqua calda, ma abbiamo comunque avuto modo di conoscere o ripassare alcuni metodi semplici per non pagare le imposte su bitcoin e crypto, o comunque per ridurle il più possibile.
Ricordiamo che in ogni caso è obbligatorio dichiarare gli asset crypto in possesso, a prescindere da vendite e plusvalenze. Inoltre, se dovuta, vi è anche “l’imposta di bollo” del 2 per mille sull’intero capitale.
Per avere un quadro più completo, ti consigliamo di guardare il video all’inizio dell’articolo. Inoltre, puoi seguire il nostro Corso su tasse e fiscalità crypto 2024.
Cerchi un software che ti agevoli la vita con i calcoli sulle tue criptovalute? Scopri Tatax!