Lo stallo all’americana
Di Massimiliano Casini
La potenza dominante ha grandi responsabilità, che però si ripercuotono come una tempesta sull'economia. Analizziamo il recente scritto di Arthur Hayes dal titolo "The Periphery"
Introduzione al focus on di oggi
Salve amici investitori cripto e benvenuti al nostro focus della settimana.
Oggi affronteremo un argomento complesso che riguarda la macroeconomia e la geopolitica, cercando di renderlo comprensibile per un vasto pubblico.
Il nostro focus si basa sull’analisi, la traduzione e la semplificazione di un articolo scritto il 25 ottobre 2023 da Arthur Hayes, noto a tutti voi, intitolato The Periphery. In questo articolo, Hayes esamina diverse tematiche, partendo dall’analisi delle guerre finanziate dagli Stati Uniti in passato, per poi esplorare la situazione dei rendimenti sui bond a breve e lungo termine.
Successivamente, si addentra nella situazione economica e politica che si sta sviluppando in Medio Oriente e nell’Europa orientale. Infine, ci offre la sua visione sulle possibili ripercussioni sull’economia americana e sui benefici immediati per asset tangibili come l’oro e bitcoin.
Esamineremo quindi ciascuno di questi argomenti in dettaglio per comprenderne le implicazioni future.
Questo focus on è stato pubblicato in esclusiva sulla nostra newsletter Whale Weekend del 3 novembre 2023. Iscriviti per non perdere articoli inediti, analisi, news della settimana e tanto altro ancora!
Indice
I problemi di ieri e la guerra di oggi
Negli ultimi 20 anni, il governo americano ha finanziato molti dei conflitti nell’area medio orientale. Queste guerre sono state innescate principalmente dagli eventi dell’11
settembre 2001, che hanno portato gli States a dichiarare guerra al terrorismo.
Durante questo periodo si sono verificate numerose vittime e la spesa totale per finanziare queste guerre è stata stimata a oltre 10 bilioni di dollari. Questi fondi sonostati reperiti in parte attraverso la stampa di denaro da parte della Federal Reserve (FED), la banca centrale americana, e in parte attraverso l’aumento delle tasse per i cittadini, che si sono trovati a dover ripagare questa ingente spesa di guerra anche se questa, gran parte delle volte, li riguardava solo marginalmente.
Dopo più di 20 anni di conflitti, sembrava che la situazione si fosse risolta. Tuttavia, il 7 ottobre 2023, si sono verificate nuove ragioni per l’intervento economico e militare degli Stati Uniti nell’area. In questa data, l’organizzazione islamica Hamas ha attaccato cittadini israeliani, scatenando una risposta immediata da parte dei politici e del popolo israeliano, che ha dichiarato guerra a essa e i suoi alleati.
Il problema principale è che Hamas non è uno Stato, ma un’organizzazione, un’idea detenuta nelle menti delle persone che ne fanno parte. Questa idea potrebbe coinvolgere anche altre popolazioni al di fuori dei confini israeliani, portando Israele a doversi schierare contro altri Paesi del Medio Oriente e, di conseguenza, a fronteggiare i loro alleati, come Cina e Russia.
Gli Stati Uniti, desiderando preservare l’immagine della nazione più forte al mondo e con la finalità di preservare gli interessi strategici nella zona, devono sostenere i loro alleati israeliani. Tuttavia, ciò li espone al rischio di dover mantenere promesse fatte anni prima e di finanziare una guerra molto più ampia di quanto possa sembrare inizialmente, una guerra che coinvolge il Medio Oriente e il mondo intero.
Da non dimenticare è la partecipazione degli Stati Uniti nel finanziamento di un’altra guerra, quella nell’Europa orientale, in cui hanno già investito oltre 60 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina, impegnata ad affrontare la Russia sul suo stesso terreno di battaglia.
Pertanto, il periodo di pace noto come Pax Americana, che ha caratterizzato l’Occidente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi, sembra ora essere minacciato dai
crescenti conflitti in Medio Oriente e Europa orientale. Ciò ha portato il mercato a reagire e scommettere sul futuro, concentrandosi su asset non soggetti a inflazione come oro e bitcoin , visti come rifugi in tempi di incertezza.
Inflazione, recessione e stagflazione
Per introdurre le problematiche prettamente finanziarie che stanno caratterizzando questo periodo storico bisognerebbe ripercorrere con attenzione tutti gli avvenimenti
che dal 2008 a oggi hanno portato l’economia mondiale a esacerbare la sua dipendenza dal debito.
Ci limiteremo, invece, a partire dal 2016, quando Trump aumentò i dazi dell’import dalla Cina con una svolta protezionistica, mettendo in crisi la globalizzazione.
Le banche centrali continuano ad acquistare titoli di Stato, i rendimenti rimangono tendenzialmente bassi e i debiti pubblici vengono stabilizzati. Tutto sembra dirigersi verso crescita e ripresa. Quando però arriva l’anno 2020, l’inflazione, ormai spettro lontano, torna a spaventare il sistema produttivo mondiale.
Il Coronavirus impedisce alle varie aree produttive, separate ma interconnesse, di continuare a operare; la domanda non riesce più a essere soddisfatta da un’offerta che fatica a proseguire il suo corso a causa dei blocchi imposti dalla pandemia.
Per sostenere questa situazione di crisi, le banche garantiscono prestiti e le banche centrali inondano il sistema finanziario di nuova liquidità.
Con l’inflazione galoppante e le banche centrali prese in contropiede, un ulteriore nodo geopolitico arriva a intasare un pettine finanziario già in difficoltà: la guerra nel Vecchio Continente tra Russia (principale produttore di energia) e Ucraina (principale produttore di cereali). Si scatenano così le c.d. crisi energetica e crisi dei generi alimentari.
Non finisce qui. In questa pellicola che potrebbe essere tranquillamente partorita dalle menti di Chris Nolan e Tarantino, che rappresenta gli anni ’20 del XXI secolo, ricca di colpi di scena e nuove nemesi sanguinarie da affrontare, scoppia l’ennesimo atto del Conflitto Israelo-Palestinese. Un capitolo nuovo, aperto in un momento particolarmente rilevante per entrambe le fazioni, sia per la parte palestinese che per il governo di Netanyahu, che porta lo sguardo delle potenze mondiali a concentrarsi nuovamente sul Medio Oriente.
La preziosa stabilità economica, che pare sgretolarsi tra le mani delle economie mondiali, dovrà essere maneggiata con ancora più cura dalle banche centrali. Questo perché se da una parte abbiamo il rischio del ritorno dell’inflazione, e quindi la necessità di mantenere i tassi elevati o peggio, dall’altro lato il continuo aumento porta il rischio di una recessione, dovuta proprio all’inasprimento delle condizioni di credito.
Ricordiamo che l’accesso al credito è stato ed è tuttora il principale alimentatore dell’economia dal secondo dopoguerra. Tra le due possibilità, inflazione o recessione, il terzo scenario, il peggiore, è quello della stagflazione ossia una decrescita economica in un contesto generale di prezzi al rialzo.
La strategia dei precedenti 20 anni, dove abbiamo stampato denaro e con lo stesso poi comprato debito pubblico, funzionerà anche in questo caso? Oppure qualcosa si romperà negli assetti politico finanziari? La precedentemente citata Pax Americana sarà in grado di resistere? Come si comportano i principali asset in questo contesto di incertezza e di conflitti?
Cerchiamo di rispondere con ordine, affrontando i meccanismi del mercato dei bond, l’economia nelle fasi di guerra e i potenziali risvolti per il nostro mercato e quello del gold.
Bond vigilantes e rischi collegati alle obbligazioni per le banche commerciali
L’inflazione può essere positiva se serve a risanare il debito pubblico tramite la crescita, così come il debito può essere positivo se serve a migliorare i comparti produttivi, in modo da ridurre il rapporto tra debito e GDP.
Il problema principale è che le condizioni di questa affermazione difficilmente si verificheranno nel prossimo futuro se il contesto di conflitti di scala mondiale proseguirà.
Perché ogni dollaro speso per armamenti, ogni debito intrapreso a finanziare il conflitto, sono investimenti sottratti alla produzione. Ciò porta inevitabilmente a un aumento dell’inflazione, senza però alimentare la crescita, il che risulterà in una scarsa sostenibilità del debito contratto.
Questo è il motivo per cui il mercato dei bond e i c.d. bond vigilantes hanno iniziato un importante sell off di titoli di debito a lunga scadenza, reazione tipica in contesti in cui si prevede un’inflazione crescente a lungo termine. Il risultato, inconsueto nella fase di politica economica attuale, è il c.d. Bear Steepener, termine che avrete sentito nelle scorse settimane e che udirete ancora nei prossimi mesi.
Cerchiamo di semplificare le differenze tra Bull Steepener e Bear Steepener con una visualizzazione grafica e una definizione riassuntiva.
Il Bull Steepener è la classica reazione dei rendimenti sui titoli di Stato, in cui quelli a breve termine crollano più velocemente di quelli a lungo termine in previsione di un
taglio dei tassi di interesse e di una riduzione dell’inflazione. Il che dovrebbe accadere in questo contesto, dato che la FED ha già annunciato la pausa sui rialzi e il trend dell’inflazione è in decrescita da ormai un anno.
Invece, il Bear Steepener è una crescita maggiore dei rendimenti dei titoli a lungo termine rispetto a quelli di breve termine, in previsione di un aumento dell’inflazione e di
rialzo dei tassi da parte della FED per contrastarla. È quello che sta avvenendo in questa situazione a causa della visione dei bond vigilantes rispetto ai contesti di guerra e spesa affrontati poco fa.
La FED dovrebbe continuare ad aumentare i tassi finché non si verifichi una recessione o finché una figura importante del sistema finanziario non finisca sul lastrico. Una volta
verificata una di queste due situazioni, essa ridurrà i tassi a fronte di un’inflazione decrescente causata da un contesto economico debole.
Il mercato sconta tutto e lo fa spesso in anticipo. Pertanto, durante un ciclo di aumento dei tassi per contrastare l’inflazione, la curva dei rendimenti si inverte (rendimenti a lungo termine più bassi di quelli a breve termine) perché gli investitori a lungo termine prevedono un’economia futura più debole. È quello che è accaduto durante il 2022.
Viceversa, in un contesto di crisi finanziaria o di recessione, i tassi a lungo termine scenderanno meno rapidamente di quelli a breve termine, la curva dei rendimenti si
scomporrà e si inclinerà nuovamente verso l’alto (rendimenti a lungo termine più alti di quelli a breve termine). Questo come abbiamo visto è chiamato un Bull Steepener ed è
il modo classico in cui la curva dei rendimenti si è comportata nella storia finanziaria moderna.
Dato che al momento non si è presentato alcun crollo da parte di istituzioni finanziarie, anche grazie all’intervento tempestivo nel mese di marzo da parte delle FED con il BTFP, i livelli dell’economia sono ancora tendenzialmente stabili, come mercato del lavoro e inflazione. Si preannuncia quindi un nuovo pacchetto di stimoli e di emissione di debito per finanziarie i vari fronti delle guerre; non c’è quindi nessun motivo per cui il mercato dei bond debba detenere titoli di Stato a lungo termine: se si prevede inflazione sul lungo periodo, si preferirà vendere titoli più suscettibili, e questo è il motivo per cui sta avvenendo il Bear Steepener della curva dei rendimenti. Questo però porta inevitabilmente verso un potenziale periodo di stagflazione. Perché?
Abbiamo definito prima la stagflazione come una fase economica in cui i prezzi tendono a salire in un contesto di contrazione della crescita.
Se il mercato dei bond continuasse a vendere titoli di Stato a lungo termine, aumentando quindi il controvalore degli interessi necessari a pagare queste maturità, in una fase in cui il Paese ha bisogno di finanziare la guerra, ciò porterebbe inevitabilmente a una stampa massiccia di denaro.
Avremo il comparto produttivo legato alla crescita in sofferenza (difficile accesso al credito a causa di tassi elevati), le istituzioni finanziarie all’orlo del collasso a causa delle perdite legate al crollo del prezzo dei bond con rischio di bank run, e infine un’inflazione crescente portata dall’economia in guerra.
Questa è la ricetta perfetta per eliminare le banche commerciali in sofferenza maggiore, mantenere l’inflazione strutturale e far pagare ai cittadini il conto, perché arriverà il momento in cui la FED sarà costretta a intervenire per salvare la situazione stampando tutto il denaro necessario per non far crollare il sistema finanziario. Similmente a come avvenuto nelle precedenti crisi.
Di seguito riportiamo la traduzione di un passo dell’analisi di Arthur che descrive perfettamente quello che abbiamo appena spiegato:
“Sappiamo che qualcosa di insolito è in corso perché la volatilità dei bond misurata dall’indice MOVE sta aumentando insieme ai rendimenti. Questo mi fa capire che la vendita sta generando sempre più vendite in modo esponenziale. Questo è ciò che causa l’incremento della volatilità. E improvvisamente, il mercato farà “KLABOOM!” E sembrerà quasi dal nulla emergere il cadavere di un giocatore della finanza tradizionale rilevante per il sistema.”
E prosegue: “La Fed ne è consapevole, ed è per questo che sta facendo il massimo sforzo per raccontare la storia che la loro politica agisce con un ritardo e quindi devono mettere in pausa per “studiare gli effetti”. Per quanto tempo rimarrai seduto ad aspettare, Signor Powell? La vera ragione per cui stanno mettendo in pausa è che, se da un lato l’innalzamento dei tassi dovrebbe impedire che si verifichi una pericolosa “bear steepener” (aumento della differenza tra i tassi a breve e a lungo termine), d’altro canto
le banche regionali degli Stati Uniti inizieranno a soccombere di nuovo se la Fed continuasse ad alzare i tassi.
Ricordate: i depositanti preferiscono depositare i propri fondi in titoli che rendono il 5,5% o più, anziché tenere i loro depositi a rendimento molto più basso nei conti correnti e correre il rischio che la loro banca fallisca.
Le banche regionali sono in una brutta situazione, ma invece di subire un repentino aumento dei tassi Fed, la difficoltà è lenta e ritmica mentre che il bear steepener continua a spingersi avanti.
Inoltre, voglio ricordarvi che il sistema bancario statunitense è seduto su circa 700 miliardi di dollari di perdite non realizzate su titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Queste perdite aumenteranno man mano che i prezzi dei bond a lungo termine continueranno a crollare.”
Come si comportano quindi le banche per limitare queste perdite? Semplicemente applicando strategie di copertura, tipicamente vendita di bond a diversa scadenza che generano profitti di breve termine. Questo però inasprisce il Bear Steepener e aumenta il rischio di insolvenza dell’istituto stesso, che senso ha vi chiederete…
La risposta più controversa che risolutrice è: gli istituti finanziari stanno facendo cassa per sopravvivere nel breve termine e sperare di non rimanere con l’ultimo cerino in mano quando la FED sarà costretta a intervenire per salvarle.
Il budget statunitense
Come già menzionato nella prima sezione di questo focus, gli Stati Uniti non stanno affrontando una sola guerra in questo momento, ma diverse. Dato che la situazione economica interna ed esterna del Paese non è delle migliori, devono fare molta attenzione affinché queste azioni militari non diventino più ampie e prolungate di quanto previsto.
In caso contrario, potrebbero trovarsi costretti a ricorrere a una nuova massiccia iniezione di liquidità nel mercato attraverso il Quantitative Easing (QE). O, peggio ancora, potrebbero diventare vittime di restrizioni imposte da Stati rivali come la Cina e la Russia, che potrebbero alimentare e scatenare conflitti minori per indebolire l’economia statunitense.
Ora vediamo un riepilogo delle principali spese sostenute dal governo americano di recente.
Più di 60 miliardi di dollari sono stati destinati all’Ucraina per affrontare il conflitto nel suo territorio contro la Russia. Tuttavia, la situazione sembra attualmente in stallo, con le forze russe ancora ben presenti nella regione. Nonostante ciò, il presidente Biden ha recentemente richiesto ulteriori fondi al Congresso per finanziare questa guerra.
Inoltre, sono stati stanziati 14 miliardi di dollari per fornire supporto agli alleati israeliani. Biden ha quasi ripreso le parole di Mario Draghi del 2012, quando pronunciò la famosa frase “Whatever it takes”, riferendosi a quanto sarebbe stato disposto a fare per aiutare i suoi alleati. È quindi fondamentale comprendere quanto esteso possa diventare il conflitto in Medio Oriente per immaginare la quantità di denaro che il governo americano dovrà investire per sostenere Israele.
Gli Stati Uniti stanno affrontando una “guerra” diversa, non con armi da fuoco, ma contro una delle più gravi piaghe che affligge le periferie americane: il Fentanyl. Questa droga è 50 volte più potente dell’eroina e 100 volte più potente della morfina, ed è diffusa nelle comunità periferiche americane, causando la morte di milioni di cittadini ogni anno.
Nel 2022 si stima che abbia causato oltre l’80% dei casi di overdose. Questi dati sono allarmanti e preoccupano il governo americano, che sta cercando in ogni modo di bloccare l’importazione di questa droga nel Paese, destinando 14 miliardi di dollari per rafforzare le frontiere.
Inoltre, c’è la questione della frontiera Indo-Pacifica e del sostegno a Taiwan. Durante il suo mandato, l’ex presidente Obama ha cercato di contenere la crescita della Cina stringendo alleanze con altri stati orientali, tra cui: India, Filippine, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e, naturalmente, Taiwan. Questa, è una piccola isola situata a circa 200 kilometri dalla Cina, ed è oggetto di continue pressioni da parte del vicino di casa, che considera l’indipendenza di Taiwan insostenibile. Gli Stati Uniti hanno già investito 7 miliardi di dollari per sostenere questa piccola isola contro le pressioni cinesi.
La Cina, naturalmente, ha intensificato le pressioni su Taiwan, cercando di costringere gli Stati Uniti a distribuire ancora più risorse. Questo approccio, simile a quello utilizzato dagli Stati Uniti nel passato per indebolire l’URSS, mira a costringere uno Stato rivale a incrementare notevolmente le spese militari, portandolo a un punto di insostenibilità
economica e al collasso finanziario.
Gli Stati Uniti si trovano ora coinvolti in diverse guerre, il che non mette solo a repentaglio la loro economia attuale, ma ha anche implicazioni significative per la loro economia futura e, di conseguenza, per la percezione dei mercati sui loro titoli del tesoro a lungo termine.
Tutti i pezzi del puzzle sono stati messi al loro posto, ed è ora il momento di osservare l’immagine complessiva.
Spesa, inflazione e beni rifugio
Concludiamo cercando di capire quale possa essere la via d’uscita per noi investitori in questa fase di incertezza.
Abbiamo capito che i rendimenti dei titoli di Stato delle potenze mondiali in guerra avranno sempre meno appetibilità, soprattutto sulle lunghe scadenze, in quanto si
prevede un periodo di inflazione in crescita dovuta al finanziamento dei conflitti.
Questo porterà a un allentamento delle condizioni finanziarie e a un necessario intervento da parte delle banche centrali, le quali giustificheranno l’inflazione con lo stato di guerra e stamperanno quanto necessario per sostenere le loro posizioni di potere.
Lo sviluppo più importante riguarda quindi l’andamento del prezzo dell’oro e di bitcoin, dato che sono asset che già stanno rispondendo positivamente a questa situazione di conflitto data la loro natura di asset non inflazionabili e apolitici.
Infatti, dopo il discorso di Biden al Congresso, in cui ha dichiarato esplicitamente l’intenzione di aumentare il budget per sostenere i suoi alleati, possiamo osservare una risposta chiara e decisa dai mercati, come evidenziato nell’immagine. I titoli di Stato a lungo termine degli Stati Uniti, rappresentati in bianco, stanno perdendo valore, mentre
l’oro, indicato in giallo, e il bitcoin, in verde, stanno beneficiando da questo contesto favorevole verso gli hard asset oltre alla possibile approvazione dell’ETF da parte della SEC.
Chiudiamo questa disamina con una frase molto significativa tradotta nuovamente dall’intervento di Hayes:
“Né l’oro né il bitcoin generano alcun rendimento. Pertanto, se stanno salendo di prezzo mentre i rendimenti dei titoli del Tesoro USA aumentano, ciò mi indica che entrambi i beni rifugio stanno anticipando un futuro di maggiori spese governative e maggiore inflazione.”
Come sempre, rimaniamo vigili e seguiamo attentamente tutte le tracce lasciate dalla “mano invisibile” nei mercati, mantenendoci costantemente informati su ciò che sta accadendo sia nel mondo delle criptovalute che al di fuori di esso.