Lotta all'inflazione: bene l'Europa, ma gli USA...
Di Gabriele Brambilla
A che punto siamo con la lotta all'inflazione? Ecco lo stato di Europa e USA

Introduzione
Come procede la lotta all’inflazione in Europa e negli Stati Uniti?
Ecco il punto della situazione in una rapida lettura. Scopriremo che ci sono grandi differenze tra UE e USA e capiremo come potrebbe evolversi lo scenario nei prossimi mesi.
Inflazione europea: ciclo chiuso
Cominciamo dal nostro continente, dove ci sono notizie positive.
Il tasso di inflazione dell’Eurozona di maggio è stato dell’1,9% annuo. Ciò significa che la Banca Centrale Europea ha raggiunto l’obiettivo fissato nel 2022, ossia ritornare entro qualche anno a un’inflazione sana e sostenibile, appunto al 2%. Se andiamo a guardare l’evoluzione dell’inflazione, è da quasi un anno che ci troviamo in territorio 2%, a testimonianza dell’equilibrio raggiunto.
Conferma la fine del percorso Philip Lane, il Chief Economist della BCE. Nel corso di un’intervista con la CNBC, Lane ha dichiarato che “l’ultimo ciclo è concluso, ma dobbiamo comunque restare pronti per fare in modo che qualsiasi deviazione non cambi il quadro a medio-lungo periodo”.
In altre parole, la BCE continuerà a monitorare la situazione, ma i tempi duri dovrebbero essere davvero finiti.
Questo traguardo non era scontato, date le tante difficoltà incontrate in questi anni, incluse guerre e tensioni internazionali che restano all’ordine del giorno.
Lo stesso Chief Economist ha dichiarato che “nuovi shock colpiscono il sistema” e le politiche monetarie dovranno adattarsi per rispondere al meglio.
Al momento, i tassi d’interesse si trovano al 2% (deposit facility rate), dimezzati nell’arco di un paio d’anni. Alla luce dei fatti, presto potrebbe essere in arrivo un altro taglio. Ciò potrebbe aiutare la crescita economica, negli ultimi due anni piuttosto sottotono; d’altra parte, tra crisi, dazi e guerre, difficile puntare con decisione verso l’alto.
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Tassi d'interesse USA: le novitÃ
Scenario differente negli Stati Uniti. La Federal Reserve, capitanata da Jerome Powell, continua a mantenere i tassi d’interesse ai piani alti (tra il 4,25 e il 4,50%), ma non senza motivo.
L’inflazione è scesa parecchio rispetto ai picchi di qualche anno fa, ma continua a stare alla larga dal traguardo del 2%.
Il PCE di maggio è stato più alto rispetto al mese precedente, posizionando l’inflazione al 2,3%. Peggio il dato Core, che esclude cibo ed energia, al 2,7% annuo.
In aggiunta, non mancano segnali di rallentamento dell’economia. Nell’ultimo update, la spesa dei consumatori è diminuita dello 0,1%, contro un’aspettativa di crescita dello 0,1%. Il personal income è sceso dello 0,4%, mentre ci si aspettava una crescita dello 0,3%.
Non dobbiamo quindi stupirci se la FED continua ad andarci cauta, perché lo scenario americano resta incerto.
Ospite ieri al forum della BCE a Sintra, in Portogallo, Powell ha tenuto un’interessante conferenza stampa. Qui, il chairman della FED ha dichiarato che se non fosse stato per i dazi di Trump, i tassi d’interesse sarebbero certamente più bassi rispetto a quelli attuali.
Secondo Powell, i dazi sono stati inaspettati in termini di magnitudo. Da qui la decisione di aspettare, dato che l’annuncio delle tariffe aveva istantaneamente alzato le aspettative di inflazione negli Stati Uniti.
Nonostante a giugno il FOMC abbia reso noto che potrebbero esserci due tagli da qui alla fine del 2025, la FED resta ben posizionata e in attesa. La modalità wait-and-see è attivata: dovremo solo aspettare.
Intanto, Donald Trump continua a lanciare attacchi a Powell, anche ricorrendo agli insulti. Seppur egli abbia dichiarato più volte che è in cerca di un sostituto, il presidente USA non può teoricamente farci molto. Se poi ci sarà l’ennesimo colpo inaspettato che andrà oltre i poteri costituzionali, sarà un altro discorso.