Regolamentazioni crypto e adozione: il punto dal mondo

Di Gabriele Brambilla

A che punto siamo con le regolamentazioni? Come si comportano le persone nelle varie parti del mondo? Scopriamolo in questo "viaggio"!

Regolamentazioni crypto e adozione: il punto dal mondo

Il punto sulle regolamentazioni crypto

Arrivati quasi alla fine di un 2022 burrascoso per il settore crypto dobbiamo aggiornarci sul tema regolamentazioni. Partecipazione crescente, bear market e fallimenti hanno infatti attirato l’attenzione dei regolatori in ogni angolo del globo.

La motivazione ufficiale è quella di voler tutelare il consumatore da degli asset pericolosi e privi di controllo. Sappiamo però che c’è spesso un’altra volontà, neppure così velata: aumentare gli introiti derivanti dalla tassazione.

Visti gli eventi di quest’anno, delle regole servono assolutamente: non è concepibile che uno dei principali exchange al mondo, FTX, possa crollare nel modo a cui abbiamo assistito. Non si può permettere che un’azienda così importante gestisca in tal modo i fondi dei propri clienti. Senza menzionare poi i vari “colleghi” che hanno subito la stessa sorta.
Purtroppo però nulla di nuovo: anche prima delle crypto, gli esempi in questo senso non mancano.

In contemporanea, vi è il timore (in alcuni casi fondato) che le regolamentazioni andranno a soffocare un settore che è ancora in rampa di lancio. Insomma, nell’aria ci sono sentimenti contrastanti e le regole vengono viste come un modo per prendere il controllo di qualcosa di rivoluzionario, pericoloso per la finanza tradizionale.

Noi utenti e addetti ai lavori abbiamo quindi il dovere di restare informati, confidando in leggi che seguano la proverbiale “via di mezzo”. Un insieme di norme non opprimenti ma ben concepite sarebbe ottimo per legittimare l’intero comparto crypto, con tutti i benefici del caso.

In questo articolo compiremo un “giro del mondo” stando comodamente seduti. Scopriremo a che punto sono le regolamentazioni crypto nel mondo e quali saranno le possibili evoluzioni. Vedremo anche come procede l’adozione.

Sarà un viaggio strano: passeremo da ordinamenti aperti ad altri estremamente chiusi, toccando con mano le profonde differenze che determinano sorti completamente opposte sul tema regolamentazione e adozione crypto.

Unione Europea e MiCA

Iniziamo restando nei nostri confini e vediamo a che punto è il MiCA.

Il Markets in Crypto-Assets è un corposo insieme di norme europee sul tema criptovalute. Si tratta del tentativo al momento più audace e completo al mondo di regolamentare gli asset crypto. Copre elementi chiave come trasparenza, autorizzazioni, supervisione delle transazioni e molto altro ancora.

Il MiCA parte dall’ABC fornendo una propria definizione di asset crypto:

“[…] a digital representation of a value or a right which may be transferred and stored electronically, using distributed ledger technology or similar technology”

A questa definizione segue poi una differenziazione in tre categorie:

  • E-Money Token (EMT): un asset utilizzabile come mezzo di scambio, il cui valore è mantenuto stabile riferendosi a una valuta FIAT a corso legale. La definizione di EMT prodotta dal MiCA fa rientrare svariate stablecoin proprio in questo gruppo.
  • Asset-referenced token: anch’esso impiegabile come mezzo di pagamento, il valore è però mantenuto stabile riferendosi a diversi asset fra cui valute FIAT, commodities, criptovalute ecc.
  • All other crypto assets: tutti quelli che non rientrano nelle due categorie precedenti.

È stato chiarito che i token non fungibili (NFT) non saranno invece disciplinati. Nelle ultime settimane si sono però intensificati i dialoghi relativi anche a questa tipologia di asset. Perciò, seguiamo gli sviluppi perché nulla è ancora certo.

Il MiCA compie uno sforzo non da poco, cercando di inquadrare un settore giovane e soggetto a mutazioni rapidissime come quello delle criptovalute.

Ovviamente occorre ancora tanto lavoro perché l’opera è tutto fuorché perfetta. L’Unione Europea ha però tracciato la strada; grazie al MiCA, anche gli exchange troveranno norme precise da rispettare, sperando bastino a tutelare il cliente.

Eventi come il crash di Terra e FTX non hanno fatto altro che confermare la necessità di un insieme di norme puntuali sulle crypto.

Il Markets In Crypto-Assets  è un regolamento europeo. Ciò significa che alla data prestabilita entrerà direttamente in forza in ogni Stato dell’Unione, senza che sia necessario passare da delle leggi nazionali ad hoc che lo integrino. I regolamenti hanno forza superiore: la scelta in questo senso è la migliore che potesse essere fatta.

L’approvazione definitiva era attesa entro la fine del 2022. Dopodiché l’entrata in forza veniva stimata per il 2024 (12-18 mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE).

La procedura ha però subito dei ritardi, dovuti in parte alla lunghezza del testo che deve essere tradotto in tutte le lingue dell’Unione.

Si ipotizza che il voto potrà avvenire a febbraio 2023; non vi è però alcuna certezza e potrebbero insorgere ulteriori slittamenti.

Ecco un documento del Parlamento Europeo (in lingua inglese) perfetto per approfondire ulteriormente.

Stati Uniti: battibecchi e mal di testa

Chi è appassionato di coin e token saprà già qual è la situazione negli States. Chi in aggiunta con gli asset digitali ci lavora, avrà spesso dei gran mal di testa pensando alla coppia Stati Uniti-Crypto: vediamo perché.

Partiamo dagli aspetti positivi: non esistono ban di alcun tipo e i cittadini americani sono liberi di detenere, comprare e vendere criptovalute. Anche perché i divieti non sono mai visti di buon occhio in un Paese dove la libertà è parte profonda del pensiero comune.

La nuova regolamentazione, non ancora definita, dovrebbe proseguire sul filo della libertà. Nessun ban in vista, per farla breve. Al contrario, pare che l’idea sia di legittimare la compravendita di crypto anche per le banche tradizionali.

Fino a qui tutto bene. Ora però dobbiamo proprio farci venire il mal di testa.

Negli Stati Uniti, il vero problema sta nel dibattito istituzionale ancora in corso. Anzi, possiamo dire che più passa il tempo, più spuntano pareri spesso contrastanti tra loro.

Pensiamo alla SEC, da tempo impegnata a sostenere che alcune criptovalute potrebbero essere securities, soggette quindi alla sua giurisdizione.

Non tutte le coin e token rientrerebbero in questa categoria: se completamente decentralizzate e create con processi tipo il mining, sarebbero escluse. Però, coin come Ethereum (ora Proof-of-Stake) potrebbero cadere tra le securities.

Alcuni giorni fa è giunta la notizia che la CFTC (Commodity Futures Trading Commission) ha etichettato diverse crypto come commodities. Fra queste annoveriamo BTC, ETH e pure USDT, valute che nulla hanno a che vedere tra loro:

  • Bitcoin è una crypto basata sull’algoritmo di consenso Proof-of-Work, funzionante grazie al mining.
  • La struttura di Ethereum è da qualche mese basata sul Proof-of-Stake, profondamente diverso rispetto al PoW.
  • USDT è una stablecoin emessa da un’azienda, Tether.

Insomma: la SEC dice che alcune crypto forse sono securities; la CFTC ribatte ritenendone diverse (apparantemente a caso) come commodities. Non entreremo nel dettaglio in questa sede ma risulta difficile far quadrare questi pensieri, soprattutto quello della CFTC.

SEC VS CFTC

Per non parlare della disputa che si genera da pareri, interviste e uscite di altri importanti attori come politici, esponenti della FED, addetti ai lavori vari e opinionisti.

Ad aggiungere complessità vi è poi il contesto specifico americano: 50 Stati, ciascuno con un proprio punto di vista. Le leggi federali lasciano spazi di manovra, creando realtà più o meno aperte alle crypto.

Il Nevada è uno dei Paesi migliori per un cryptoinvestitore americano, in compagnia di Florida e California. Discorso opposto per Rhode Island, New York e Hawaii, più chiusi e possibilmente da evitare.

C’è però un tema che mette tutti d’accordo: la tassazione!

Dall’anno prossimo, gli exchange che operano sul suolo americano dovranno fornire i dettagli di ciascuna operazione avvenuta. Nel 2024, i contribuenti vedranno recapitato direttamente a casa il modulo 1099-B. Ciò è sia un bene che un male:

  • Il modulo conterrà tutti i movimenti avvenuti l’anno precedente su un exchange. L’utente non dovrà più tenere manualmente traccia di operazioni, prelievi ed eventuali plusvalenze: tutto sarà già pronto.
  • Purtroppo, assieme al modulo arriverà anche la documentazione dell’IRS, la collega americana della nostra Agenzia delle Entrate. Per quanto sia giusto contribuire e rispettare le leggi, è proprio vero che nella vita esistono solo due certezze: la morte e le tasse.

Parlando di adozione, gli Stati Uniti sono il principale Paese al mondo nel mining. Il settore è cresciuto soprattutto nel periodo iniziale post ban cinese.

Una ricerca di BanklessTimes riporta 23,3 milioni di cittadini come possessori di BTC. Circa il 16% degli americani ha fatto o fa trading sulle criptovalute.

Tutto sommato, nonostante il caos regolatorio, gli Stati Uniti sono un Paese aperto verso le crypto e la relativa industria.

Una cosa è certa: gli americani non si lasceranno scappare l’occasione di favorire lo sviluppo di un settore che può portare ulteriori entrate nelle casse dello Stato.

Canada: tutto tranquillo salvo cambiamenti

I vicini di casa degli Stati Uniti hanno un approccio abbastanza favorevole verso le crypto.

I cittadini canadesi possono liberamente acquistare coin e token, venderli e detenerli: non ci sono divieti né limitazioni.

In seguito al crollo di FTX, la Canadian Securities Administrators si è però mossa per tutelare meglio i clienti del Paese. Proprio da questo mese, dicembre 2022, qualsiasi azienda che offre servizi crypto (exchange, CeFi…) non potrà più proporre prodotti a margine o leva.

Al di fuori di questa misura, restano le libertà di cui dicevamo qualche riga sopra, compresa la possibilità di portare avanti l’attività di mining.

Pur non esistendo una regolamentazione precisa ed estensiva (cosa che per ora accomuna molti Stati), la tassazione è disciplinata. Anche in questo caso tutto si basa sul rapporto plusvalenze e minusvalenze; le criptovalute sono inquadrate come un qualsiasi investimento soggetto al pagamento di tasse sul capital gain.

I canadesi che posseggono delle crypto sono in costante crescita: secondo Bank of Canada, nel 2020 si stimava che il 5% della popolazione detenesse BTC; nel 2021 il dato ha raggiunto il 13%, quasi il triplo.

Sempre più persone sanno cosa sono bitcoin e le altre coin; tuttavia, ben il 40% degli intervistati mostra delle conoscenze complessive piuttosto basse.

Interessante infine un dato sul valore detenuto: il 35% dei nuovi investitori detiene al massimo 100$ in BTC. La cifra media detenuta si attesta invece a circa 500$.

Ci sono quindi margini di crescita sia qualitativi che quantitativi, nonostante una popolazione piuttosto esigua.

Canada: tutto tranquillo salvo cambiamenti

Russia: una via di fuga alle sanzioni?

Russia e criptovalute: un rapporto burrascoso e che ha visto più volte dei drastici cambi di posizione.

Fino a non molto tempo fa, questo Stato aveva escluso totalmente gli asset digitali dal proprio territorio. Tra l’altro, questi venivano visti come inutili per il benessere del Paese, se non addirittura pericolosi.

Poi però è arrivata la guerra in Ucraina e con essa le sanzioni internazionali ai danni della Russia in risposta all’evento. Di colpo, il Paese si è ritrovato quasi isolato dal sistema globale.

Come poter aggirare le sanzioni, magari promuovendo uno strumento che vada a minare il controllo degli Stati Uniti? La risposta sono proprio le criptovalute.

Da Stato anti-crypto, la Russia ha cominciato ad ammorbidirsi, valutando le potenzialità delle valute digitali. Grazie a esse è possibile far entrare e uscire capitali dal territorio, evitando sanzioni e ban internazionali attualmente in vigore.

In più, come dicevamo poco sopra, l’utilizzo crescente delle criptovalute potrebbe togliere controllo agli Stati Uniti; un aspetto che alla Russia ovviamente piace parecchio.

L’apertura alle crypto ha coinvolto tutti i principali esponenti politici e istituzionali del Paese: dal Ministero delle Finanze alla Presidente della Banca Centrale Elvira Nabiullina. Quest’ultima aveva espresso tempo addietro delle opinioni contrarie alle valute digitali; le cose sono cambiate.
Non è tutto: pure Vladimir Putin si è mosso, sostenendo che le criptovalute possono essere un’opportunità che la Russia non dovrebbe perdere.

Per ora comunque manca un insieme di normative chiaro e completo. Lo Stato è all’opera proprio per colmare il gap e sancire (definitivamente?) l’apertura.

Si parla anche di Rublo digitale, la CBDC russa che potrebbe fare il suo esordio già nel 2023. Sì perché la chiusura verso le crypto non riguardava tutti gli asset: una coin nazionale era stata etichettata da subito come promettente e da tempo si lavora proprio per darle vita.

Stando a voci ministeriali e governative, assieme al Rublo digitale farà la sua comparsa anche una normativa completa, paragonabile per contenuti e completezza al MiCA europeo.

Secondo un report di Triple A, datato Settembre 2022, il 10% della popolazione russa detiene criptovalute.

Con grande sorpresa, lo scettro di coin più diffusa va ad Ethereum, seguita da bitcoin.

"Manca un insieme di normative chiaro e completo. Lo Stato è all'opera proprio per colmare il gap e sancire (definitivamente?) l'apertura"

Asia: Cina, Giappone, India ed Emirati

Nel continente asiatico la situazione è molto diversa da Stato a Stato. Scopriamo come si comportano quelli principali.

Cina: ban non così efficace

Sappiamo che la Cina ha bannato le criptovalute oltre un anno fa, a settembre 2021. Nonostante questo avvenimento, la situazione è però tutto fuorché semplice da inquadrare.

Ci si aspetterebbe che il ban, soprattutto in uno Stato così autoritario, possa avere avuto successo: nulla di più sbagliato.

Certo, un impatto lo ha avuto: secondo Chainalysis, tra luglio 2021 e giugno 2022 si è assistito a un calo dei volumi di transazione di circa il 30% (nella Cina continentale). Però, il Paese resta comunque il principale mercato crypto della regione.

Il divieto ha creato probabilmente problemi ai nuovi arrivati, gente che non era già in possesso di asset digitali. Però, al di fuori di essi, in Cina le criptovalute continuano a essere scambiate.

La motivazione può stare sia in nell’ineffettività delle regolamentazioni sia in una loro scarsa applicazione.

Coin e token vengono principalmente scambiati peer-to-peer, appoggiandosi a wallet facilmente scaricabili. Il Governo non è finora stato in grado di troncare la cosa ma, chi può saperlo, magari non vi è un reale interesse a farlo.

Il ban fu pensato per evitare transazioni illecite e fughe di capitali, almeno sulla carta. Tuttavia in Cina si prosegue a utilizzare le crypto e pure a fare mining senza troppi pensieri.
Una ricerca dell’Università di Cambridge ha mostrato come nella primavera del 2022 il mining “Made in China” fosse tornato a livelli elevati, in barba al divieto, riportando lo Stato al secondo posto per potenza di calcolo su Bitcoin, dietro agli Stati Uniti.

Nel frattempo, il Paese ha comunque perseguito un percorso che ha portato alla nascita dello Yuan digitale. Questa CBDC ha raggiunto la scorsa estate un valore in transazioni di 100 miliardi di Yuan.
Oggi disponibile solo in alcune città e regioni, è prevista una graduale espansione nei prossimi mesi.

Crescente anche l’interesse verso gli NFT.

cina crypto

Giappone: scenario in evoluzione

Vediamo come se la cava il Paese del Sol Levante in tema regolamentazioni e adozione.

Da un luogo così tecnologicamente avanzato potremmo aspettarci un certo utilizzo ed effettivamente è così. Il 2022 sta segnando un forte incremento nelle transazioni crypto in Giappone, segno di interesse crescente da parte di persone e aziende.

Tra i principali interessi menzioniamo la DeFi e i token non fungibili (NFT).

L’approccio delle istituzioni è abbastanza aperto ma non mancano le problematiche.
Ad esempio, le aziende giapponesi che emettono crypto sono tenute a pagare una tassa del 30% anche se coin e token non vengono vendute.
Proprio in queste ore è in corso il dibattito che dovrebbe portare a un cambiamento in questo senso, evitando di far scappare altrove investitori e realtà promettenti del settore.

Le persone non incontrano limiti nel possesso delle crypto né nello scambio.

Le regolamentazioni esistono fino a un certo punto e sono in continua evoluzione. Il Governo ha annunciato che arriverà presto (primavera 2023) un set normativo pensato per contrastare il riciclaggio di denaro sporco mediante le criptovalute.

India

Situazione non fra le più rosee in India, dove le criptovalute sono ammesse ma penalizzate da una tassazione elevata.

Nello specifico, troviamo una tassa del 30% sul capital gain, in vigore dalla primavera del 2022. A questa si aggiunge poi un ulteriore prelievo dell’1% su ciascuna transazione di acquisto o vendita.

Questi interventi hanno di fatto soffocato lo sviluppo dell’industria, penalizzando soprattutto le realtà locali e avvantaggiando i competitor stranieri.

E dire che in India le criptovalute potrebbero essere d’aiuto per rimediare a un popolo principalmente unbanked, tagliato fuori dai servizi finanziari tradizionali.

Una tassazione così pesante mina alla radice la volontà degli indiani di avvicinarsi alle crypto e sperimentare. Senza contare che imprenditori e idee non trovano un terreno fertile su cui poter fiorire.

In tutto ciò, non esiste una regolamentazione precisa: si è solo fatto in modo di guadagnare il più possibile, senza curarsi delle opportunità offerte dalla novità.

Il contesto è quindi non favorevole, corredato anche da più voci (fra cui quelle della Banca Centrale) che da sempre ritengono un ban la soluzione migliore per il benessere del Paese.

Singapore: passi indietro

La Città-Stato di Singapore si è guadagnata negli anni il titolo di luogo crypto-friendly. Non a caso, diverse tra le principali compagnie del mondo crypto hanno qui le sedi.

Nell’ultimo periodo è però iniziato un percorso inverso, responsabile di piccoli passi indietro sul tema. Ne è un esempio la decisione di bandire gli ATM crypto, diffusi e comuni sul territorio.

Un tempo luogo perfetto per le startup dell’industria, oggi a Singapore ci si imbatte in alcune barriere che spingono all’estero sempre più investitori. Verso quali mete? Gli Emirati Arabi Uniti sopra tutti.

Emirati: un panorama crypto-friendly

Gli Emirati Arabi Uniti, con Dubai in testa, sono piuttosto aperti verso le criptovalute. La classe politica ha compreso da tempo le potenzialità del comparto e guarda con fiducia al futuro.

Dubai ha approvato una regolamentazione specifica, soggetta a variazioni nel corso del tempo. Sono state gettate le basi per lo sviluppo delle imprese crypto sul territorio, cosa che in effetti sta già avvenendo.

Più prudente Abu Dhabi ma non per questo da meno: le persone possono comprare, vendere e detenere liberamente criptovalute. Tra i principali broker spiccano quelli che troviamo anche sul nostro territorio, fra cui Coinbase e l’onnipresente eToro.

In generale, possiamo dire che gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei luoghi al momento più adatti a chiunque volesse portare avanti un progetto nell’industria delle criptovalute.

"Gli Emirati Arabi Uniti, con Dubai in testa, sono piuttosto aperti verso le criptovalute"

Australia: sicurezza con apertura?

I regolatori australiani operano con l’idea di poter raggiungere la sicurezza senza penalizzare il settore.

Nelle varie consultazioni parlamentari è infatti emersa più volte l’esigenza di trovare il giusto equilibrio, evitando fughe all’estero di grandi investitori, fondi e compagnie che operano nell’orbita crypto.

Il pensiero australiano è intelligente: trattandosi di un comparto ancora tutto da definire ma dall’elevato potenziale, è buona cosa tenersi stretti coloro che potrebbero portare parecchi soldi nelle casse dello Stato.

Al tempo stesso però è massima l’attenzione per la sicurezza delle persone.
Il caso FTX ha mostrato quanto disonestà e cattiva gestione aziendale possano danneggiare i clienti. In Australia, i decisori hanno stabilito che serve un insieme chiaro ed efficace di norme per evitare altri eventi di questo tipo.

Al momento, la situazione nel grande Paese oceanico è la seguente:

  • Innanzitutto, le criptovalute sono escluse dalla tassazione come valuta estera. Nel budget federale 2022-2023 il Governo ha confermato che le crypto rientreranno negli asset di investimento, soggette quindi alla tassa sul capital gain.
  • Il prima possibile, forse già nella prima metà del 2023, il Governo vorrebbe intervenire sulla questione exchange. Missione: salvaguardare i fondi dei clienti e definire delle regole operative che gli operatori dovranno rispettare. Questo punto ha subito una brusca accelerata dopo la caduta di FTX.
  • Definizione delle tipologie di crypto mediante una mappatura dei token. Procedura già in essere, si tratta di un esperimento interessante e sensato: conoscendo la natura degli asset è possibile inquadrarli (e disciplinarli) al meglio.

Secondo diversi esperti, l’Australia potrebbe essere sulla via giusta verso un equilibrio tra innovazione e tutela.

Il Paese è particolarmente attivo in ambito crypto: una ricerca Roy Morgan ha mostrato che oltre 1 milione di australiani detiene criptovalute di varia natura, da bitcoin ed Ethereum fino a Shiba Inu.

Il 69% dei possessori è composto da maschi. Tuttavia, il rapporto uomini-donne sta lentamente slittando verso una sempre maggior presenza al femminile.

Questo interesse verso gli asset digitali rende più che mai necessaria una buona normativa. Finora però il tema era stato trascurato, probabilmente a causa della non lungimiranza del precedente Esecutivo. Il “nuovo” governo targato Anthony Albanese, all’opera da fine maggio, punta a rimediare e sistemare la questione nel 2023.

Australia: sicurezza con apertura?

Centro e Sud America: qual è la situazione?

Centro e Sud America sono territori piuttosto interessanti per quanto riguarda il settore delle criptovalute. I motivi sono diversi ma principalmente ne riscontriamo due:

  • Una considerevole parte della popolazione non ha accesso ai servizi bancari tradizionali, come tra l’altro in molti luoghi asiatici e africani.
  • Aree remote sono spesso escluse dalle reti di pagamento elettronico.

Serve quindi un’alternativa economicamente sostenibile, che consenta a chiunque di poter sfruttare smartphone e computer per custodire e gestire i propri soldi, non di rado davvero pochi. Cosa c’è di meglio di coin e token?

Brasile: un Paese aperto alle crypto

Partiamo con il Brasile, dove le criptovalute trovano un terreno abbastanza amichevole.

Giusto un paio di settimane fa (fine novembre 2022) è stato approvato un quadro completo di norme sul tema. In esso, bitcoin ottiene il riconoscimento di “rappresentazione digitale di valore”, utilizzabile come metodo di pagamento o asset di investimento sul territorio nazionale.

Occhio a non far confusione però: BTC non è diventato valuta a corso legale, come invece è accaduto in El Salvador. Questo sarebbe lo step successivo e finale, per ora non previsto.

Il quadro normativo tratta in generale di tutte le criptovalute, chiamate asset virtuali.
L’idea è di fornire delle regole chiare per evitare qualsiasi problema, favorendo al tempo stesso una crescente adozione. In questo senso, importante l’introduzione del reato di frode mediante valute digitali, che implica la reclusione dai 2 ai 6 anni più una sanzione pecunaria.

Non mancano falle e parti che potrebbero essere meglio formulate. Ad esempio, non è stato approvato un taglio della tassazione per i miner che impiegano risorse energetiche rinnovabili, cosa che avrebbe dato una spinta green all’intero movimento.
In ogni caso, la portata di queste norme non è da sottovalutare.

Il Brasile è uno Stato in cui quasi l’8% (Fonte Triple A) della popolazione detiene e utilizza bitcoin e/o altre crypto. Un numero non da poco, considerando gli oltre 200 milioni di abitanti.

Per il 2024 è atteso l’arrivo di una CBDC.

Argentina: stablecoin contro l’inflazione

Spostiamoci rapidamente in uno degli Stati confinanti: l’Argentina.

Da molti anni, questo Paese sta avendo grandi problemi di inflazione. Dagli anni ’80, periodo in cui raggiunse cifre a tre zeri, gli argentini si sono abituati ad acquistare dollari americani da tenere al sicuro in casa, cercando di preservare il proprio potere d’acquisto.

Questo modus operandi non piace però allo Stato, che ha quindi imposto dei freni: utilizzando le banche tradizionali, il cittadino medio riesce ad accantonare solo 200 USD al mese.

Chiaramente è nato un mercato nero dedicato a chi vuole portare a casa più dollari possibili. Però, oltre a essere illegale, il tasso di cambio è decisamente peggiore rispetto a quello ufficiale.

Quale poteva essere la soluzione? Le stablecoin.

Data la loro natura, le criptovalute stabili sono perfette per accumulare dollari senza doverne acquistare fisicamente. In più, il tasso di cambio è sostenibile, il che consente di assicurarsi moneta al giusto prezzo.

Oggi, circa 1/3 delle piccole e medie transazioni crypto argentine sono in stablecoin. La popolazione ha trovato un metodo valido e sicuro per tutelarsi dall’inflazione.

In Argentina, le leggi non vietano l’utilizzo delle criptovalute. Tuttavia, trattandosi di un Paese da sempre piuttosto restrittivo sul tema “valuta estera”, esistono delle regole in continua evoluzione.

Al momento le crypto non sono considerate valuta a corso legale, anche se potrebbero essere ritenute moneta.

Finora le leggi si sono dedicate all’antiriciclaggio e alla tassazione. Su quest’ultima, le plusvalenze sono ritenute dei redditi soggetti al pagamento di una tassa.

El Salvador: il primo Stato con Bitcoin come valuta a corso legale

El Salvador fece parlare di sé nel giugno 2021 in quanto primo Paese in cui BTC divenne a corso legale.

Il Paese iniziò ad accumulare bitcoin, acquistandone in discrete quantità vicino o durante il massimo storico. Il mercato ribassista ha poi portato alla perdita di gran parte del valore di questi asset. Nonostante ciò, il Presidente Bukele prosegue con il suo piano; anzi, non troppi giorni fa egli ha annunciato che El Salvador acquisterà 1 BTC al giorno per un periodo indefinito.

Quella di El Salvador è un po’ scommessa e un po’ genialità. L’idea è di accumulare più bitcoin possibili, confidando in un considerevole apprezzamento futuro. Se così fosse, il Paese centramericano potrebbe uscire dalle precarie condizioni economiche che l’hanno da sempre caratterizzato.

Vi è inoltre la volontà di proporsi come una sorta di “capitale mondiale di BTC“, nella speranza di attirare investitori e aziende che operano nel settore.

Non trascuriamo poi un ulteriore aspetto: il popolo viene spesso escluso dal sistema bancario tradizionale. In questo senso, Bitcoin diventa un’arma al servizio delle persone, proprio perché accessibile a tutti e privo di barriere e vincoli.

Chiaramente esistono dei rischi: se bitcoin non dovesse comportarsi in questo modo, El Salvador si ritroverebbe con un pesante buco nei propri forzieri.

Ma come sta vivendo la popolazione? Il cambiamento è nell’aria?

Per quello che sappiamo, l’utilizzo di BTC nelle attività commerciali è ancora indietro. Tra le cause principali vi è la difficoltà nel comprendere la tecnologia e gli strumenti che permettono di scambiarsi denaro tramite la blockchain.

Non possiamo però parlare di esperimento fallito, come detto da molti che forse hanno trascurato un punto fondamentale: occorrono anni prima che le novità vengano assimilate dalle persone. È assurdo pensare che in un anno e mezzo siano tutti esperti di crypto e Lightning Network: diamo tempo al tempo.

Guatemala: Bitcoin Lake

Restiamo in America Centrale per scoprire che cosa sta accadendo in Guatemala.

Le leggi di questo Paese non attribuiscono alle crypto alcun corso legale. Anzi, viene messo in evidenza il loro lato pericoloso, invitando le persone a investire consapevolmente in questi asset.

Nonostante ciò, esiste un esperimento davvero interessante: Bitcoin Lake.

Siamo a Panajachel, paese di 11 mila abitanti sulle rive del Lago Atitlan. Un luogo di rilievo turistico e che offre scorci davvero molto belli.

Data la forte presenza di visitatori, numerose attività hanno iniziato ad accettare bitcoin come mezzo di pagamento. Non solo ristoranti e alberghi ma anche bancarelle e piccole realtà locali.

Dalle interviste disponibili in rete traspare la volontà degli esercenti: restare al passo coi tempi e favorire un afflusso di turisti sempre maggiore. Bitcoin viene visto come un’opportunità da cogliere in ottica futura.

Il Lago Atitlan è quindi diventato ufficiosamente Bitcoin Lake. Potrà essere la testa di ponte per un’adozione crescente in tutto il Guatemala?

Caraibi

Nei Caraibi la situazione varia da Paese a Paese. Tuttavia, “apertura” è il termine che rappresenta l’andamento complessivo.

Nell’isola di Barbados le crypto operano legalmente da quest’anno. Una CBDC è pronta a fare la sua comparsa sulla scena.

Esiste poi DCash, una versione digitale dell’EC Dollar, emessa dalla Eastern Caribbean Central Bank.

Inclusione, crescita economica e competitività sono tra i principali obiettivi di questa valuta digitale diffusa in vari Stati caraibici fra cui Antigua e Barbuda, Grenada e Dominica.

Le Isole Cayman dispongono di una normativa favorevole verso le crypto, soprattutto per quanto riguarda la tassazione, incentivando investitori e compagnie del settore a sbarcare nell’arcipelago.

All’opposto è invece schierata la Repubblica Dominicana, dove le criptovalute sono vietate.

Infine le Bahamas, dove coin e token non sono valuta a corso legale. Questo Paese è comunque apprezzato dalle aziende del settore grazie al regime regolatorio favorevole.

Africa: una via di uscita?

Secondo Chainalysis, il continente africano rappresenta uno dei mercati crypto a maggior crescita nel mondo, restando comunque il più piccolo.

Kenya, Nigeria e Sud Africa sono al momento gli Stati in cui l’attività è superiore, vuoi per motivi demografici o per disponibilità economiche.

Nel complesso, basandoci sui dati riportati dal Regional Economic Outlook di Ottobre 2022 del Fondo Monetario Internazionale, solo 1/4 dei Paesi dell’Africa sub-sahariana hanno in qualche modo regolamentato le criptovalute. Altrove troviamo gravi lacune, peraltro una situazione purtroppo nota anche per quanto riguarda altri settori in cui sarebbe necessario l’intervento normativo.

Sei Stati hanno bannato le crypto. Si tratta di Camerun, Etiopia, Lesotho, Sierra Leone, Tanzania e Repubblica del Congo. Un peccato, data l’impossibilità del popolo di accedere ai servizi bancari tradizionali, restando di fatto tagliato fuori.

Un solo Paese ha invece deciso di seguire El Salvador rendendo bitcoin valuta a corso legale: la Repubblica Centrafricana.
L’avvenimento preoccupa diversi osservatori e politici; il motivo? Le criptovalute potrebbero favorire la fuga di capitali dal territorio, causando importanti problemi nelle politiche monetarie.

Quanto all’Africa del Nord, tutto dipende dal Paese.

L’Algeria ha bannato le criptovalute in quanto non sostenute da alcun asset.

Stesso approccio per il Marocco sin dal 2017 ma ora qualcosa sta cambiando. Dopotutto, nonostante il divieto, questo Stato è tra i principali hub crypto africani; una discreta quota di marocchini detiene coin e token e l’industria è comunque in crescita.

Da qui è nata una rivalutazione del ban, sempre più destinato alla “rottamazione”. Anzi, parrebbe che il Marocco potrebbe cambiare totalmente parere e aprirsi verso le criptovalute, attirando in questo modo investitori e aziende.

Sarebbe una scelta saggia: solo il 30% dei cittadini ha accesso ai servizi bancari, un dato penalizzante per un Paese in forte crescita.

Anche innalzando questo dato, i marocchini si dimostrano restii a depositare i propri soldi in banca: le persone saprebbero che dispongono di fondi e verrebbero a chiedere prestiti in continuazione. Questa motivazione è uscita da uno studio del The Guardian.
Al contrario, le criptovalute vengono viste come un’alternativa più discreta.

Insomma, aspettiamoci clamorosi ribaltoni sulle regolamentazioni!

"Il continente africano rappresenta uno dei mercati crypto a maggior crescita nel mondo"

Regolamentazioni crypto nel mondo

L’adozione delle criptovalute prosegue, così come le procedure che porteranno a ulteriori regolamentazioni.

Ogni Stato rappresenta una realtà a sé: da quelli che abbracciano totalmente la “novità” a quelli chiusi, decisi a lasciarla fuori dai propri confini.

Seguiamo sempre con interesse gli sviluppi perché è anche da qui che passa l’eventuale crescita e consacrazione del settore.


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