Tecnologia Polkadot: visione d'insieme
Di Gabriele Brambilla
Introduciamo la tecnologia di uno dei più importanti layer-0, soffermandoci sulle caratteristiche fondamentali e più innovative
Introduzione
Nei vari approfondimenti abbiamo visto più da vicino Polkadot, i suoi casi d’uso e anche l’importantissima questione governance. In questo articolo andremo ad aggiungere un altro tassello nello studio di uno dei layer-0 più innovativi e interessanti: la tecnologia.
In una struttura di questo tipo, le caratteristiche tecniche sono i pilastri su cui si fonda tutto il resto. Dobbiamo quindi conoscerle e capirle per poter valutare con esattezza la bontà del progetto. Cercando di non entrare in discorsi eccessivamente complessi, scopriremo alcuni dei punti fondamentali lato tecnico come:
- La Relay Chain
- Le Parachain
- XCM
- Coretime (in arrivo prossimamente)
Prima di iniziare, spazio però a qualche riga di ripasso generale sul network.
Un rapido ripasso su Polkadot
Polkadot è uno dei layer-0 di eccellenza nel panorama blockchain. Questa tipologia di struttura funge da base fondamentale per garantire sicurezza e interoperabilità sui progetti che andranno a formarsi al di sopra di essa. Ma non solo: anche la scalabilità trae grandi benefici da questa soluzione.
Le origini di Polkadot prendono vita proprio dal problema di scarsa scalabilità e interoperabilità di molti network in circolazione. L’idea era quella di costruire una struttura che consentisse di sviluppare le più svariate blockchain, in grado di muoversi in totale autonomia e capace di spingere sull’acceleratore delle performance in caso di necessità. Però, condividendo la base, queste blockchain possono entrare in contatto tra loro, cosa invece molto complessa nella normalità.
Non dimentichiamo poi un altro punto fondamentale: Polkadot mette al centro la decentralizzazione ed è completamente open-source.
Dietro le quinte opera la Web3 Foundation, creata da Gavin Wood che, guarda caso, è uno dei nomi a cui dire “grazie” per la nascita di Ethereum. Questa entità fornisce supporto allo sviluppo e anche ai vari protocolli e network che fanno parte dell’ormai grandissimo ecosistema.
Ok, adesso che sappiamo molto a grandi linee in cosa consiste questa realtà, possiamo entrare nel vivo dell’articolo. Lo faremo partendo dalla Relay Chain, il cuore del progetto.
"Decentralizzazione, scalabilità, interoperabilità e sicurezza al centro"
Relay Chain
La Relay Chain è la blockchain principale dell’intero progetto, responsabile della sicurezza condivisa, del consenso e dell’interoperabilità cross-chain. Senza di essa nulla potrebbe esistere e il suo ruolo è quindi importantissimo anche per tutti i network costruiti al di sopra.
L’algoritmo di consenso impiegato è il Nominated Proof-of-Stake (NPoS), pensato per massimizzare la sicurezza senza penalizzare le prestazioni. Gli staker della coin DOT hanno la possibilità di contribuire al mantenimento in buona salute della chain. Chi invece vuole compiere un passo extra, può diventare validatore.
Le tipologie di transazioni che la Relay Chain processa sono abbastanza ridotte e comprendono la governance e le aste parachain (che vedremo in seguito). Sono invece escluse tutte le funzionalità non indispensabili, compreso il supporto agli smart contract, di cui si occupano i layer superiori. In questo modo non si rischia di congestionare il network e si premia la sicurezza. La Relay Chain può essere vista come un coordinatore di tutte le altre realtà che vengono costruite al di sopra.
La Relay Chain è costruita mediante Substrate, ossia un framework molto performante. In questo ambiente virtuale, gli sviluppatori possono lavorare sui loro progetti blockchain in relativa semplicità e risparmiando parecchio tempo. Inoltre, facendo leva sui concetti di modularità e flessibilità, è difficile che si incontrino dei limiti stringenti nel processo di sviluppo, il che ha contribuito alla fioritura di progetti basati su Polkadot molto differenti tra loro, premiando soprattutto l’innovazione.
In aggiunta, il runtime è codificato in Rust, C++ e Go, favorendo l’afflusso di un vasto numero di developer a cui basta conoscere uno di questi linguaggi di programmazione.
Riassumendo: la Relay Chain è concepita per restare più basica possibile, così da premiare sicurezza e prestazioni. L’utilizzo del Substrate permette agli sviluppatori di lavorare agevolmente e creare blockchain e applicazioni che soddisfino gli obiettivi prefissati.
Ora però occorre fare un passo avanti, perché così com’è, la struttura non esprime ancora il suo potenziale. Scopriamo quindi qualcosa in più sull’altro tassello fondamentale: le Parachain.
L’immagine rappresenta la struttura dell’intero network. Fonte: documentazione ufficiale polkadot.network e Polkadot Arena.
Parachain
Ed eccoci quindi alle parachain. Se la Relay Chain può essere vista come le fondamenta, le parachain sono le case che vengono costruite al di sopra. Utilizziamo il plurale perché le strutture che poggiano sulle fondamenta possono essere tantissime, ciascuna delle quali con caratteristiche e funzionalità distintive.
Le parachain sono delle blockchain layer-1 sovrane. Ciò significa che ognuna può avere una propria coin, casi d’uso, costruzione, applicazioni e via dicendo.
Se economie e community sono indipendenti, resta però il fatto che il layer-0 si occupa di alcuni aspetti fondamentali tra cui la sicurezza e l’interoperabilità. Al contrario, un layer-1 tradizionale deve pensare anche a queste importanti tematiche, creando così maggior complessità e potenzialmente riducendo le proprie performance.
Inoltre, mentre in un layer-1 standard si possono costruire solo applicazioni (come protocolli DeFi o marketplace NFT), utilizzando una struttura come Polkadot si creano direttamente delle blockchain che restano sotto il controllo degli sviluppatori e/o della community. Le possibilità offerte sono quindi decisamente superiori, perché si può plasmare una chain secondo i propri bisogni, nonché adattarla nel tempo. Ciò si traduce in molteplici benefici tra cui maggiore sicurezza, flessibilità e servizi migliori.
Per ottenere uno spazio e agganciarsi alla Relay Chain, le Parachain devono partecipare alle apposite aste (che si tengono sfruttando la coin nativa DOT). In questo modo lo slot viene preso in affitto, con un deposito di DOT bloccato per tutto il periodo di locazione.
Chiunque sia in possesso di DOT può contribuire al successo del progetto di suo interesse, aiutandolo a vincere l’asta. In cambio si può ottenere una ricompensa.
Le parachain possono essere validate dalla Relay Chain ed ereditano la sua sicurezza. Aspetto importante: questi network possono comunicare nativamente tra loro tramite il formato XCM, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Le parachain sono i luoghi dove l’ecosistema Polkadot vive e fiorisce. Qui troviamo progetti come Moonbeam e Astar, che spaziano dalla finanza decentralizzata sperimentale fino a servizi specifici e ritagliati per particolari necessità.
XCM
Qual è uno dei più grandi ostacoli tra le blockchain tradizionali? Se hai risposto “il fatto che non possono comunicare tra loro”, complimenti!
Le chain tradizionali sono progettate in modo diverso tra loro. Ciò comporta che, ad esempio, Bitcoin non possa comunicare nativamente con Solana, così come con Ethereum o Cardano.
Nel tempo sono nate diverse soluzioni per ovviare a questo limite e consentire agli utenti quantomeno di spostare i fondi da un network all’altro. Ecco quindi che ci siamo trovati a che fare con i bridge, così come con le soluzioni sintetiche alla WETH.
Sono però i bridge a mettere in contatto due mondi differenti, anche se, nella pratica, ciò non avviene. È infatti il bridge stesso a collegarli (proprio come un ponte), senza però che le chain parlino realmente tra loro.
Questa soluzione impone quindi grandi limiti, ma c’è addirittura di peggio: le problematiche lato sicurezza. I protocolli-ponte sono soluzioni ingegnose, a suo tempo innovative, ma che si sono dimostrate piuttosto deboli per quanto riguarda la tutela dei fondi depositati su di essi. Exploit e vulnerabilità hanno riempito le pagine della cronaca crypto e i developer si sono messi all’opera per scovare soluzioni che andassero alla radice del problema.
Entriamo quindi nel vivo di XCM, lo standard adottato da Polkadot per la messaggistica tra le blockchain native della sua struttura, nonché anche con reti esterne.
XCM mette le chain nelle condizioni di comunicare tra loro, scambiare dati, integrare prodotti e servizi e molto altro ancora. Gli utenti hanno molta più libertà operativa, così come gli sviluppatori. Capitali e idee possono fluire liberamente, facendo crescere e migliorare l’intero ecosistema.
Tra le caratteristiche distintive di XCM troviamo il supporto a dati anche molto avanzati: non si limita a permettere di muovere token, ma consente anche di spostare intere applicazioni cross-chain. Per capirci: una piattaforma DeFi è sulla blockchain XYZ? Grazie a XCM potremmo spostarla anche sulla chain ABC.
Nota di merito anche lato programmazione, che raggiunge livelli elevatissimi: si arriva al punto in cui i network possono programmarsi a vicenda.
Salutiamo i bridge convenzionali: i messaggi che circolano su XCM sfruttano la sicurezza della rete, non necessitano di depositi e, di conseguenza, nessuna terza parte dovrà conservare fondi. Si eliminano quindi le vulnerabilità più comuni delle soluzioni ponte.
Infine, XCM funziona sia sui network che tra gli smart contract, arrivando potenzialmente a connettere reti che sfruttano algoritmi di consenso diversi tra loro.
XCM è un elemento chiave del panorama di questo layer-0, nonché modello da cui altre strutture hanno preso ispirazione.
All’appello manca solo un ultimo punto non ancora operativo ma che andrà a rivoluzionare Polkadot: il Coretime… scopriamolo!
"XCM: comunicazione nativa e sicura tra i vari network"
Coretime (in arrivo)
Il Coretime è una funzionalità non ancora disponibile, prevista per il futuro, che andrà a cambiare significativamente le carte in gioco.
Per conoscerla dobbiamo introdurre il concetto di blockspace, che molti lettori già conosceranno. In breve, il blockspace è la capacità di una blockchain di processare e finalizzare le transazioni. Ogni network ne ha uno ben specifico, che ne condiziona le prestazioni e la capacità di soddisfare le fluttuazioni della domanda.
Di fatto, il blockspace rappresenta l’unione di parametri tecnici quali potenza computazionale, larghezza di banda e memoria.
Come possiamo intuire, se un progetto vuole avere successo nel mondo web3, dovrebbe garantire un blockspace di un certo livello. In caso contrario, sviluppatori e utenti andrebbero probabilmente a impiegare altre soluzioni più performanti e adatte alle loro esigenze.
A questo punto possiamo tornare a Polkadot: Coretime permetterà di acquistare il blockspace nel momento in cui serve, per il tempo necessario e nella misura opportuna. Se ci pensiamo, si tratta di una vera e propria rivoluzione per tutti i progetti coinvolti, parachain in primis.
Possiamo immaginare Polkadot come un super computer che ha come obiettivo quello di creare una rete multi-chain scalabile. E proprio grazie alle sue caratteristiche, Coretime sarà un ulteriore passo fondamentale per concretizzare questa ambiziosa visione.
In futuro, questo layer-0 potrebbe addirittura cambiare il concetto di cloud computing, mettendo a disposizione del cliente core decentralizzati a richiesta. La blockchain è anche questo!
"Coretime sarà una svolta epocale nel mondo Web3"
Conclusioni
Quello di oggi era solo un assaggio. Come avrai compreso, ogni punto potrebbe essere trattato decisamente più a fondo e nelle prossime settimane faremo proprio questo: scenderemo in profondità, entreremo più nel tecnico e ti aiuteremo ad approfondire ancor di più questa struttura.
Nel frattempo, se non puoi proprio attendere, puoi leggere la documentazione ufficiale del layer-0, che spiega piuttosto bene i concetti indispensabili.
Chiudiamo con il nostro video dedicato al network e a ciò che devi sapere nel 2024… buona visione!